martedì 11 novembre 2014

La differenza tra l'essere «fortino» o «scintilla»

Aula magna gremita al Carducci di Milano, liceo classico "storico", e uno dei più prestigiosi della città. Studenti e insegnanti di oggi e di ieri, e anche dell'altroieri, a giudicare dai capelli bianchi. Molti amarcord, strette di mano e abbracci tra gente che non si vedeva da anni e che è tornata nella "sua" scuola per partecipare alla presentazione della biografia di don Giussani, alla presenza dell'autore, Alberto Savorana, e di tre persone che a vario titolo incrociano il tema dell'educazione: il preside del Carducci, Michele Monopoli, il presidente della Fondazione Sacro Cuore, Marco Bersanelli, e don Erino Leoni, direttore del seminario salesiano di Nave in provincia di Brescia.

Due di loro hanno frequentato molto da vicino il fondatore di CL, gli altri due lo hanno conosciuto leggendo il libro. Ma tutti e quattro ne parlano come di una persona viva, che ha da dire qualcosa di decisivo sulla frontiera più instabile della nostra società, l'educazione appunto.

«È ancora attuale il metodo educativo di Giussani? Ha qualcosa da dire a chi lavora oggi nella scuola?». Comincia così il suo intervento il professor Monopoli. E ricorda che, quando nel 1954 il giovane prete brianzolo entra al liceo Berchet di Milano, la Chiesa è una presenza ancora salda nella società italiana: c'è l'ora di religione affollata, i crocifissi sui muri, le chiese piene. «Ma a lui tutto appare formale, consuetudinario. Non una presenza viva e partecipata, ma un prevalere della forma sull'essenziale». E allora lui sollecita la ragione e la libertà, superando vecchi schemi e consuetudini inveterate, accende il desiderio come scintilla per conoscere, discutere, vivere. Aiuta gli studenti a maturare una coscienza critica, li educa a cogliere la bellezza nelle sue diverse espressioni. La fede non è un fortino nel quale accamparsi per difendersi dalle ostilità del mondo, «non un dogma rassicurante ma un nuovo inizio, un'inquietudine che spinge a conoscere, a cercare ancora». E insegnare non esime dalle cadute. Citando lo psicanalista Massimo Recalcati, ricorda che anche il docente può inciampare, perché l'inciampo, come il provvisorio fallimento, può diventare stimolo alla ricerca della verità.

Oggi come ieri c'è bisogno di un maestro, e vero maestro è colui che sa «portare il fuoco», sa «inculcare nelle giovani menti non un sapere freddo e accademico, ma il demone della conoscenza, come stimolo a non saziarsi mai, a cercare sempre, fino al disvelamento di una verità che ci doni la meraviglia». Nell'epoca delle passioni tristi, come qualcuno ha definito questo nostro tempo, Giussani ha testimoniato che insegnare è una passione forte, che mette in azione cuore e ragione ed apre al mondo. Per questo, conclude rispondendo alla domanda con cui aveva cominciato, «il suo metodo è attuale, anzi metastorico, valido per tutti i luoghi e tutti i tempi».

Marco Bersanelli è presidente della Fondazione Sacro Cuore, nata dal carisma educativo di Giussani, ma è anche astrofisico di fama internazionale. Inizia chiedendosi: chi è il genio? «È colui che è sempre assetato di novità, che si arricchisce in ogni impegno. È colui che impara di più, come Giussani quando riconosceva come autorità i ragazzi di quinta ginnasio che dicendo certe cose lo lasciavano a bocca aperta. Sotto il suo sguardo ti sentivi la persona più importante dell'universo, guardato con stima nella tua imperfezione e nella tua verità». Per uno come lui, che di mestiere studia le stelle e l'universo e che fin da piccolo si era innamorato delle scienze, quella sconfinata fiducia nella ragione e i reiterati inviti a fare i conti con la realtà, con i fatti in tutta la loro evidenza, sono stati e continuano a essere l'ossigeno che alimenta il suo lavoro e l'esistenza intera.

Don Erino Leoni, che prima di diventare direttore del seminario di Nave ha insegnato a lungo nelle scuole salesiane, si appassiona nel mostrare le affinità tra due grandi educatori come il suo padre spirituale, don Bosco, e Giussani. «Da tutti e due ho imparato l’amore all’istante, allo sguardo del ragazzo che hai davanti, col suo carico di problemi, domande, fragilità e desideri d’infinito. Tutti e due mi hanno contagiato con la loro passione all’umano che li faceva diventare creativi e innovatori. Perché dev'essere animato da una gran passione chi si porta da casa a scuola un giradischi per fare ascoltare Mozart e Beethoven ai suoi studenti, convinto che faccia bene alla loro anima. Come ha fatto bene anzitutto a me, alla mia anima, leggere questo libro».

Nelle parole conclusive di Alberto Savorana c'è uno spazio anche per il poeta al quale è intitolato il liceo che ospita l’incontro. Ricorda che quando Giussani vede la fotografia in cui è ritratto sotto il faro di Portofino in compagnia di alcuni studenti, con lo sguardo proteso verso il mare infinito (immagine che diventerà un cult nella storia di CL), chiede di ricavarne una gigantografia e di accompagnarla con una frase: «Tu sol pensando, o ideal, sei vero». Non è una frase presa dalla Bibbia o da qualche testo religioso, è un verso dell’ode a Mazzini composta da Giosuè Carducci. Sono parole laiche scritte da uno spirito laico, che comunicano una tensione che abita nel cuore di ogni uomo e nelle quali egli rintraccia l’inconsapevole evocazione di Cristo. Parole che meritano di essere valorizzate, come ogni frammento di verità che si incontra. Per questo l'unica condizione per essere veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale.

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