lunedì 3 novembre 2014

Guardi dottore che non sono “io” l’immagine in quella lastra


radiografia
Ogni volta che una radiografia mostra le mie ossa, sono presa da un senso d’inquietudine. Come sia che questo insieme di muscoli e nervi, materia dunque, sostenga ciò che è un uomo, mi risulta un assoluto mistero
«Vede, signora, questo è il calcagno, e questa è la calcificazione che la fa zoppicare». Nel

 monitor del pc del medico osservo la radiografia del mio piede sinistro. Tutte le volte che

 mi trovo davanti a una lastra che mostra le mie ossa, sono presa da questo stesso senso

 d’inquietudine. Dunque, mi dico con stupore, io sono fatta così, dentro. Le immagini dei

polmoni, con il disegno netto delle costole e l’ombra del cuore, mi turbano. È una cosa

 difficile da dire, ma, insomma, ciò che la tecnica può fotografare di me è indubitabilmente

 oggettivo, e in quelle radiografie ci sono io. Eppure, avverto sempre come uno scarto.

 Vorrei dire al medico: guardi, dottore, che io non sono semplicemente ciò che lei può

 fotografare.

D’altronde, dove veramente sta ciò che io chiamo “io”? Nel cervello forse, nell’equilibrio

 segreto dei neuroni? Ma una Tac al cervello mostrerebbe solo carne e ossa e nervi:

materia, roba. Nel cuore forse, allora? Ma, a guardarlo da vicino si palesa come una

 robusta, semplice pompa che ritmicamente spinge il sangue nelle arterie.


Come sia che questo insieme di muscoli e nervi, materia dunque, sostenga ciò che è un

 uomo, mi risulta un assoluto mistero. E prendo le mie radiografie e me le riguardo,

 sconcertata: sono io, quelle ombre e quelle viscere buie. Sono io, eppure, dottore, vorrei

 spiegarle: tutto ciò che lei fotografa e scansisce è reale, inoppugnabile.

Eppure nulla compare in

 quelle immagini, nulla di ciò che sono io, davvero.

Marina Corradi

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