domenica 2 novembre 2014

Ecco perché la Chiesa e tutti noi festeggiamo il giorno dei defunti

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Alcuni giorni fa durante la processione con il Santissimo Sacramento

ho sentito il pianto a dirotto delle infermiere e del personale delle pulizie. 

Accelero il passo per rendermi conto di ciò che stava accadendo: la 

responsabile della cucina mi viene incontro singhiozzando: «Padre, è 

morto Fernando!». Molto ferito per questa notizia, arrivo finalmente 

nella camera del ragazzo deceduto da alcuni minuti. Le infermiere 

mentre sistemavano con cura la salma singhiozzavano. Sono rimasto 

colpito dall’umanità di queste persone, dal cuore semplice che hanno: 

sanno ridere e piangere con il paziente terminale. Una posizione del 

cuore che solo Gesù può regalare quando la persona lascia aperta 

una piccola fessura che gli permette di entrare. Ma questa posizione 

se da un lato è un dono di Gesù, dall’altro è frutto di un lavoro 

personale, di una ascesi come dice sempre don Carrón: «Non 

aspettatevi un miracolo ma un cammino». Il lavoro personale 

coincide con una intensa vita sacramentale e con la formazione 

settimanale. Da un anno a questa parte ogni mercoledì si incontrano

 insieme medici, infermieri e suor Sonia per valutare la situazione

di ogni paziente. La chiamano la Interdisciplinare e se non ci sono

pazienti nuovi dura un’ora e mezza. Spesso mi chiedono: «Padre, 

ma come fa il personale medico e paramedico a mantenere sempre

 aperta questa ferita che permette loro di non scappare, di non

cercare un ospedale più tranquillo e di non cadere nell’indifferenza?».

 La risposta è molto semplice, si tratta di aiutarci continuamente 

a vivere le tre premesse del libro di don Giussani Il senso religioso,

un testo che invito a comprare e studiare.


Questo è un lavoro che nella pazienza ti risveglia il cuore e la ragione.

Il ragazzo che è morto si chiamava Ferdinando, aveva 14 anni, già gli 

avevano amputato una gamba ma la metastasi si era impadronita di 

lui. Ma non ha impedito a Ferdinando di essere forte. Tutte

 le sere sulla sedia a rotelle mi accompagnava cantando, aveva una

bella voce. Eravamo in buona compagnia, la compagnia di Gesù 

eucarestia. Stando solo noi nell’ascensore mi diceva: «Padre, 

questa sera mi porta una pizza?». Mi commuoveva questa 

domanda per cui dopo aver parlato con i medici, una sera 

sì e una no, gli portavo la pizza.


Anche la sera prima di morire mi ha chiesto la pizza. Alla mattina

seguente i sintomi della

 morte erano evidenti. Vedendomi vicino al suo letto mi disse:

«Preghiamo il Santo Rosario». Non siamo riusciti a terminarlo 

perché stava troppo male. Grazie al lavoro settimanale sul Senso 

Religioso le domande essenziali dell’esistenza esplodono, per cui

 perfino il piangere è una testimonianza della drammaticità della vita.

Quando è arrivata la madre di Fernando e piangendo ci chiedeva 

perché il figlio era morto, non potevamo ignorarla. Ma se uno non 

è veramente impegnato con la propria umanità, è difficile che

l’abbraccio dato alla madre sia la comunicazione di un affetto, per

cui il suo dolore diventa il mio e la mia certezza che l’anima di 

Fernando sta al cospetto di Dio diventi la sua.


Tutto il grande lavoro con le persone è quello di aiutarle a tener

sempre viva la piccola fiamma delle domande ed esigenze ultime 

della vita. In questo momento mi dicono che è morta una giovane 

mamma di sette figli. Sono cinque coloro che hanno raggiunto il 

Padre negli ultimi tre giorni. Tutti giovani e poveri. Ricordo che 

da piccolo mi chiedevo perché il parroco quando moriva uno non 

piangeva mai, mentre la gente aveva le lacrime agli occhi.

Non vedevo la differenza fra il parroco e il becchino, il quale però

si consolava con la grappa. Come è facile abituarsi a tutto, 

abituarsi alla vita. Per uscire da questa abitudine la Chiesa nel mese 

di novembre dedica un giorno al ricordo dei defunti. Per sottolineare 

la coscienza che la Chiesa ha dell’ultimo articolo del Credo, il 2 

novembre e a Natale sono gli unici giorni in cui ogni sacerdote può 

celebrare tre Messe. Questo per dire l’attenzione che ha la Chiesa per 

le anime del purgatorio. Ricordiamoci anche di ciò che è scritto in un

 cimitero a Milano: «Noi eravamo quello che voi siete, e quello che

noi siamo voi sarete».

 Una provocazione per non scherzare con la vita.


paldo.trento@gmail.com

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