domenica 9 febbraio 2014

Omelia di don Carlo Venturin 5^ dopo l’Epifania – 9/2/2014

Isaia 66, 18-22   Tutte le genti testimonino le opere del Signore
Salmo 33             “Esultate, o giusti, nel Signore
Rm 4, 13-17        la giustizia deriva dalla fede, che comanda solidarietà globale
Gv 4, 46-54         Gesù è sempre in uscita verso chi è in ricerca di senso

Viandanti della fede
(Giornata diocesana della solidarietà)


Gesù è “in uscita”, un viandante verso l’umanità. Egli esce dalle proprie “comodità”, in viaggio verso i villaggi, per incontrare e sanare, per incoraggiare e curare, per donare la “bella notizia” del Dio, mano nella mano, amante delle sue creature.

Le domeniche dopo l’Epifania manifestano, in ogni circostanza, il Figlio di Dio presente e solidale, inclusivo e aperto, operante verso chi si rivolge fiducioso, “ricco di misericordia”. Il messaggio alla Chiesa riguarda sia le modalità dell’agire di Dio in Gesù, in forza dello Spirito Santo, sia la comunità credente in Lui. Come Lui è “in uscita”, così la Chiesa “in uscita” è la comunità dei discepoli missionari, che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano, che sperimentano il Signore. Come il viaggiatore Gesù, la Chiesa fa il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, sa andare incontro per cercare i lontani  (cfr. Isaia), arriva agli incroci delle strade per invitare gli esclusi, come i servitori si recano per le vie e le piazze per il pranzo preparato per i primi invitati, che erano occupati altrove. Come il Maestro, la comunità dei discepoli si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo: “L’avete fatto a me”.

Giovanni rivela Gesù nelle prime pagine del suo Vangelo, ma anche la reazione delle persone al suo contatto. Poco prima aveva narrato l’incontro con l’ebreo Nicodemo, di notte, poi la donna samaritana al pozzo di Giacobbe, ora, dopo gli sposi, a Cana incontra un pagano, funzionario del re sanguinario Erode Antipa. Sa di non essere ben accolto, ma incurante procede: la sua missione non è aver paura, è sanare ciò che è guasto, se il richiedente si fida. In Giovanni non Gesù prende l’iniziativa, ma un funzionario bisognoso, disperato, in cerca di chi può risollevare il figlio agonizzante. Nel racconto vi sono due tensioni: Gesù rimprovera una fede troppo o esclusivamente in cerca di miracoli, di segni visibili; ciò nonostante si compie il “Segno”. La tensione è rilevabile su due aspetti del funzionario; l’uomo crede semplicemente, basandosi sulla parola di Gesù, ma soltanto dopo l’esatta ora della guarigione, a distanza, giunge alla fede piena, con tutta la sua famiglia. Giovanni invita a credere sulla parola (come Maria nella stessa Cana), la sua è una esortazione a pervenire a una fede autentica, dinamica, progressiva, una fede senza “vedere”. Egli sottolinea il “viaggio della fede”: da una incerta, impressionata dai prodigi, a una autentica, che si fonda sulla Parola, per giungere a una fede piena: è il viaggio. Tre personaggi (un Giudeo, una Samaritana, un pagano ): tre mondi che sfilano davanti a Cristo, tre modalità di viandanti della fede. Per accoglierLo tutti e tre devono andare oltre se stessi, oltre la sicurezza religiosa, oltre il proprio schema di salvezza, oltre la ricerca di un Dio portentoso.

I molti attori del secondo Segno a Cana “recitano” la loro parte: il figlio morente, morto e “rivivo”, il funzionario del re addolorato, dopo aver osato ogni suo espediente, si rivolge supplice all’Ultimo, di cui aveva sentito parlare, i rimbrotti di Gesù verso chi crede soltanto se “vede segni e prodigi”, ma anche la sua risposta “tuo figlio VIVE”, ripetuto due volte e richiamato dai servi, la famiglia intera che comunitariamente crede: “credette lui con tutta la sua famiglia”. Tutti questi coprotagonisti sono transitati dal Segno al fatto che vuole indicare, il Segno per tutti loro è l’indicatore di un’altra realtà, come l’acqua e il vino alle nozze. Come dal SEGNO-EUCARISTIA si fonda la fede della comunità che la celebra, per poi riverberarsi nel quotidiano vivere: solidali come il Maestro nel suo itinerario terreno.

La  Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dell’amore all’umanità intera, ascolta il “grido” di Gesù di fronte alla folla nel deserto: “Date voi stessi da mangiare” (Mc 6, 37 ).  Perciò non è possibile essere indifferenti, passare oltre, come il Sacerdote e il Levita, il malcapitato della parabola. La parola solidarietà, dice Papa Francesco, si è un po’ logorata, “ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità, che pensi in termini di COMUNITA’, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”.
Continua con un avvertimento forte: “Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde”. Gesù da ricco che era si è fatto povero per rendere ricchi tutti (cfr. Efesini).

Gesù solidale, la Chiesa solidale, viandante con i viandanti. Ecco la conclusione di Papa Francesco:
“Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione… Facilmente finirà con l’essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata da pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti”.  (cfr. Evangelii Gaudium 207).



Don Carlo

Nessun commento: