sabato 24 dicembre 2011

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO



MESSA NELLA NOTTE DEL NATALE DEL SIGNORE
DUOMO DI MILANO, 24 DICEMBRE 201

1. «Noi abbiamo conosciuto in terra il fulgore del suo mistero» (Preghiera all’inizio
dell’Assemblea liturgica).
Figli carissimi, il potente ossimoro contenuto nella Preghiera con cui abbiamo iniziato questa celebrazione liturgica esprime bene l’indicibile dono di cui siamo investiti. «Oggi la luce risplende su di noi» ci ha fatto pregare il ritornello del Salmo responsoriale. È venuta nel mondo «la luce vera quella che illumina ogni uomo» (Vangelo, Gv 1,9) proclama Giovanni, all’inizio del suo Vangelo. Perciò, ci ha invitato il profeta Isaia, «Venite, camminiamo nella luce del Signore» (Prima
Lettura, Is 2,5) Anche noi in questa notte santa ci siamo messi in moto convocati (chiamati insieme) dal Dio-Bambino nel nostro Duomo, casa dei milanesi. Stiamo, qui ed ora, facendo l’esperienza di cui ci parla lo stesso brano evangelico: «… Noi abbiamo contemplato la sua gloria» (Vangelo, Gv 1,14b). Noi contempliamo, vale a dire guardiamo con intensità, stupiti e commossi, la presenza di Dio che agisce nella storia. Questo è il senso biblico della parola “gloria”. La solenne processione
d’ingresso con cui, qui in Duomo e in tutte le parrocchie e comunità della Diocesi, abbiamo introdotto nell’azione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana il nuovo, artistico Evangeliario donato dal carissimo cardinale Tettamanzi, è un riflesso luminoso di questa gloria del Dio-Bambino che trasfigura le nostre esistenze.

2. «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Vangelo, Gv 1,14a). In questo versetto del prologo del Vangelo di Giovanni sintetizza l’assoluta novità del cristianesimo. La luce è una persona reale: il «figlio unigenito che viene dal Padre» (Vangelo, Gv 1,14). Con la parola “carne” Giovanni ha deliberatamente scelto un termine che ben esprime la contingenza dell’uomo.
Già nell’Antico Testamento la carne, senza essere in sé cattiva, senza essere in antitesi a Dio, rappresenta tutto ciò che è transitorio, mortale e imperfetto. Noi sappiamo inoltre che la carne è stata ferita dal peccato e, per questo, domanda «riscatto» (Epistola, Gal 4,5), come ci ha ricordato san Paolo. Ebbene il «Natale del Salvatore è il natale della nostra salvezza» (Prefazio), il natale del
riscatto della carne che noi uomini siamo. Il Verbo ha assunto la nostra carne e la carne è diventata «cardine di salvezza» (Tertulliano, De resurrectione mortuorum VIII, 6-7). Il Santo Natale è l’ineffabile dono del Dio che si è “abbassato per noi”. I Padri della Chiesa arrivavano a dire: «Dio si è abbreviato fino a rendersi visibile agli occhi, palpabile alle mani, portabile sulle spalle».

3. Per noi «l’Autore del tempo si è fatto temporale», scrive Agostino (Agostino, Sermo 192, 1), e insiste: «Egli nacque affinché noi rinascessimo». La nascita del Dio Bambino è per noi qui ed ora - lo ripeto - una rinascita. Non è casuale né sentimentale la tenerezza che continua a fluire in questa notte santa dalla grotta di Betlemme. È la forte dolcezza che ci fa toccare con mano in cosa consiste la salvezza del Natale. Il Prefazio la descrive con tre sintetiche affermazioni che dobbiamo
far nostre. La prima: «Al mortale è promessa la vita». Al mortale, in concreto a te, a me, a noi tutti è donata la vita senza fine. «Al peccatore è rimesso il peccato»: se non resistiamo alla forza dell’amore appassionato di Gesù il perdono, vale a dire il pieno riscatto della nostra libertà, diventa una reale opportunità. Infine «anche il mondo rinasce». La Sua gloria opera la salvezza per la famiglia umana, anche la nostra in questo inizio del Terzo millennio, attanagliata dalle difficoltà
della crisi. La riprova di questo triplice frutto dell’incarnazione viene dal dono di essere resi, in Gesù, figli: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… perché ricevessimo l'adozione a figli» (Epistola, Gal 4,4-5). Di essere figli, non di essere stati figli, ognuno di noi, soprattutto in tarda età, sente la struggente necessità. Gesù Bambino continua ad elargirci il prezioso dono di rivolgerci personalmente a Dio chiamandolo «Abbà, Padre!» (Epistola, Gal 4,6).

4. In che modo il Bambino Gesù procura la nostra salvezza? Il Figlio di Dio, con la sua venuta nella carne, introduce nella storia una forza di unità: «il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s'innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti» (Prima Lettura, Is 2,2) La visione di Isaia prospetta un movimento opposto a quello di Babele. La storia con il
Salvatore non è più un agglomerato di frammenti (dispersione: di-sgregatio), ma possiede un orientamento di pace per tutti gli uomini e per tutti i popoli (con-gregatio). Ma come si può affermare questo se guardiamo al panorama che l’oggi ci presenta: crisi, guerra, fame, emarginazione, miseria, dolore? Dov’è questa salvezza, questo orientamento di unità e di pace, se poco o niente di nuovo si riesce a vedere dopo la Sua Redenzione? Risponde il Vangelo: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome» (Vangelo, Gv 1,11-12). L’opera del Salvatore è in atto ma attende la libertà dell’uomo. Chiede di divenire manifesta in ogni uomo.
La gratuità dell’Avvenimento del Natale del Figlio di Dio provoca inevitabilmente la nostra libertà. Ora siamo chiamati a posizionarci rispetto al Figlio che si offre alla nostra mercé come un Bambino. La fede è la risposta piena a questa inquietante domanda. Come ci ha ricordato recentemente il Santo Padre la crisi del cristianesimo in Europa è anzitutto crisi di fede. La riprova sta nel fatto che nella fede eucaristica dei santi, anche dei molti santi anonimi di oggi, ogni uomo è
già condotto a riconoscere i vividi segni della Sua salvezza.

5. Per questo, umili e lieti in questa notte santa, davanti a Gesù Bambino preghiamo con il nostro Padre Ambrogio: «Già il tuo presepe rifulge / e la notte spira una luce nuova; / nessuna tenebra più la contamini / e la rischiari perenne la fede» (Inno di Natale). Amen

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