lunedì 12 dicembre 2011
Come barchette nella tempesta
A una mamma capita di affrontare emergenze teologiche affettando la carne o infliggendo minestroni. L'altra sera, appunto, una delle mie bambine, cinque anni, mi ha chiesto a bruciapelo: “Mamma, chi non crede in Gesù Bambino ma solo in Babbo Natale va all'inferno?”. Poiché sono stata io, non posso negarlo, a raccontarle che Gesù ha detto “chi crede in me avrà la vita eterna”, mi sono trovata costretta a rispondere l'unica cosa che non mettesse in discussione la mia coerenza. “Be', sì, se lo rifiuta fino alla fine sì”. “Oddio! Quindi anche la mia amichetta?” Di nuovo, in nome della coerenza ho dovuto dire che sì, è così, anche se l'amichetta ha quattro anni, ed è ancora in tempo per cambiare idea. D'altra parte è scritto nel Vangelo, e non voglio essere io ad avere la responsabilità di averlo addomesticato. “Anzi, tu devi essere così buona con lei da convincerla a venire dalla tua parte”. Mia figlia è una minuscola donna di parola, è la stessa bambina che va nel panico se qualche volta mi sfugge l'espressione “lo giuro”, che, come è detto sempre nel Vangelo, non si deve usare mai (il vostro sì sia sì...).
So bene che una simile affermazione, quella sull'amichetta e Babbo Natale, è ormai considerata gravemente lesiva della libertà, della tolleranza, del rispetto delle differenze. So bene che scandalizzerei praticamente tutte le mamme dell'asilo, se mi sentissero. Per contro credo di trasmettere ai miei figli l'idea dell'importanza e della serietà della loro vita.
Tranquilli, non sono turbati: dormono come ghiri, hanno un sacco di amici, conoscono la tecnologia e sono molto allegri, anche troppo. Perché i ragazzi, tutti, sanno che la vita è una cosa seria, e non serve a niente fingere il contrario. Anzi, le certezze salde come roccia li rassicurano molto. Un giorno potranno abbattere, forse, queste colonne, ma le hanno avute, almeno. E' il contrario che non fa dormire sonni tranquilli, l'idea di navigare alla cieca, senza punti cardinali che non cambino mai.
Ecco, io non so se riuscirò a trasmettere la fede, né so assolutamente che tipo di genitori siamo, io e mio marito. Ho visto ragazzi meravigliosi venire su da famiglie difficili, e ragazzi così così nonostante i genitori a me sembrassero ottime persone. Non so se dovrò ingerire a brandelli tutte le pagine che ho scritto in merito, quando i miei figli combineranno qualcosa di brutto. Spero di no, ma non posso metterci la mano sul fuoco, perché educare è prendere su di sé il rischio della libertà dei propri figli.
E non mi piace accusare gli altri genitori – mi riferisco alla ragazza che si è inventata lo stupro, al ragazzo che ha ucciso l'amico con un pugno – perché nessun genitore davvero è esente da errori, nessuno sa cosa farà suo figlio tra dieci anni, che persona sarà diventato.
Non mi piace neanche arrivare a conclusioni generali da episodi singoli, sebbene tra noi giornalisti vada di moda, e ci permetta di versare fiumi di inchiostro senza troppa fatica, senza indagini, ricerche, verifiche sul campo.
Prescindendo dunque dai due ultimi agghiaccianti episodi mi sento però abbastanza libera di dire che l'idea della serietà della vita, delle conseguenze pesanti delle proprie azioni è davvero pochissimo diffusa tra i ragazzi ma anche tra gli adulti. Il male si è sempre commesso, anzi, ci sono stati periodi del passato molto ma molto meno sicuri del nostro, senza alcun dubbio. Ma si chiamava male. Aveva un nome e un volto precisi. Si poteva scegliere di commetterlo, ci si poteva cadere trascinati dalle passioni. Ma era il male. Punto e basta.
Io credo invece che la temperie culturale nella quale viviamo tenda a farci vivere tutti come ragazzini, senza responsabilità. Sulle cause ci sarebbe molto da dire – sistema economico, possibilità, tecnologia – ma a ben vedere la causa ultima è una sola. Avere abbattuto le cattedrali, avere rifiutato quel Dio al quale ogni bene rimanda, non avere più l'idea delle conseguenze eterne di ogni nostra più piccola azione. Non c'è più Qualcuno che ci guarda, crediamo. E questo, invece che liberarci, ci rende fragili e ondivaghi come barchette nella tempesta.
Costanza Miriano
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