mercoledì 14 dicembre 2011

Musica, la serenità di Dio


La musica è uno dei più grandi misteri della storia dell’uomo. Mistero nel senso di unità tra cielo e terra, unità tra quello che c’è di più profondo dentro di noi, ciò che c’è in superficie e ciò che c’è sopra di noi, cioè all’origine.
È un linguaggio universale. Attraversa trasversalmente tutte le barriere create dalle diversità delle lingue, ma necessita di ascolto: desiderio di ascoltare e capacità di ascoltare. Certo, si può sentire musica classica anche facendo altro, con la coda dell’orecchio. Ma se si vuole veramente che le note diventino in noi immagini, sentimenti, emozioni, occorre che tutto il nostro essere sia lì, dentro quell’avvenimento che accade ogni volta nuovo e differente. Mi colpiscono le melodie che si ripresentano, con diversi tempi e accordi, così come mi colpiscono motivi musicali che si chiamano e si rispondono. Talvolta la musica mi parla di temi che avevo dentro di me da sempre, eppure non lo sapevo. Da dove vengono queste note? E dove vanno?
Le prime produzioni sinfoniche che ho a lungo ascoltato, durante gli anni della scuola media, sono state le sinfonie di Beethoven dirette da Arturo Toscanini. L’autore tedesco mi rivela la profondità del cuore umano nelle sue più diverse sfumature: ora pieno di baldanza, ora sereno, ora cupo e segnato dal dramma.
Nella giovinezza ho scoperto Mozart e l’infinita pace che dal suo animo attraversa tutto quanto vi è di oscuro nel mondo e raggiunge la serenità di Dio. Hans Urs von Balthasar ha scritto che Mozart è la rivelazione definitiva della bellezza eterna in un vero corpo terreno, qualcosa di fanciullesco eppure di eternamente vero.
La musica di Chopin mi sembra assimilabile alle onde del mare, quando la spiaggia è nel silenzio. Si è al tramonto, e le ombre sembrano portare dei messaggi.
A Bach mi accosto con immenso tremore, come a una montagna abitata dalla divinità. I suoi movimenti, così pensati e ripetuti, mi riportano alla Commedia di Dante e alla Summa di Tommaso d’Aquino.
La musica leggera ha svolto nel ventesimo secolo il compito che in quello precedente aveva avuto la musica operistica. I Verdi e i Donizetti del Novecento li dobbiamo cercare tra i cantautori. Alcune canzoni napoletane, alcune esecuzioni di Mina, di Frank Sinatra, di Edith Piaf, alcuni brani di De Andrè, di Battisti e Mogol, di Venditti, di De Gregori, resteranno per sempre.
I musicisti sono come dei compagni di strada dell’uomo, nel lungo o breve viaggio della vita. Compagni che hanno la conoscenza della profondità dell’uomo e la vocazione di aiutare Dio a rivelare il suo Destino. Platone, nella Repubblica, scrive che «il ritmo e l’armonia penetrano profondamente entro l’anima e assai fortemente la toccano, conferendole armoniosa bellezza. […] Perciò chi ha avuto una perfetta educazione musicale, sarà prontissimo ad accorgersi delle cose trascurate o imperfettamente lavorate o difettose per nascita. […] Il fine ultimo della musica è infatti l’amore del bello». E profeticamente Paolo VI aveva detto, alla fine del Concilio: «Il mondo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione» Massimo Camisasca - http://www.sancarlo.org

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