C’è qualcosa di nuovo nell’aria, anzi di antico. Un fenomeno consueto ma che ha connotati nuovi, a cui bisogna trovare un nome nuovo. Intendo quella usuale eccitazione che sale piano in questi giorni e che riguarda i regali di Natale. Ma forse bisognerà trovare dei nomi nuovi. Perché le cose cambiano. E se pur occhieggiano da vetrine e spot i soliti inviti, le "clamorose" offerte, i "mai visti" sconti e le "sensazionali" offerte, c’è qualcosa di nuovo nell’aria. La solita bella eccitazione si sta forse venando di una ponderatezza nuova. Insomma, è come se la normale, abituale eccitazione di pensare a cosa regalare a figli amici parenti, fosse abitata da una nuova inquietudine, da un sospetto, o meglio da una domanda. Mentre si comincia a dare un’occhiata, ancora senza troppo impegno, a vetrine e promozioni, mentre si fanno i primi svagati sondaggi su desideri e gusti, un pensiero rintocca nel profondo: ma cosa ha davvero senso regalare? Certo, la crisi ci ha insegnato a misurare con altra attenzione il denaro, a valutare con più senso critico il valore vero di oggetti, di beni che a volte beni veri e propri non sono, ma sfizi, lussi piccoli o grandi, e a riconoscere come superfluo quel che ieri ci pareva necessario. Ma non è solo una sorta di "complesso morale" determinato dalle notizie sulla crisi e dalla realtà di minori risorse a muovere questa strana cosa nuova e antica che chiamerei "eccitazione pensosa" al regalo.
Credo che ci sia qualcosa di più profondo. Come se la circostanza della crisi avesse almeno in parte aiutato a mettere a fuoco meglio anche il valore del farsi regali. Da un lato, infatti, il gesto del donare qualcosa sfugge a qualsiasi calcolo. È bello fare doni anche se si ha poco. Anche se le risorse diminuiscono. Donare è un atto non superfluo. Si può rinunciare a parecchie cose, ma non a donare. Perché fa parte della nostra natura umana. Un uomo che non dona è diventato meno uomo. Nella gratuità "assurda" di fare un regalo anche quando sono aumentati i nostri bisogni, nella gratuità che va contro ogni logica di tornaconto pur in un momento in cui si devono più attentamente fare i conti, risiede un barlume di vero intorno alla nostra natura: l’uomo è fatto per donare, per donarsi. C’è un impeto positivo che fa parte della nostra natura, prima e sopra ogni altro. Questo barlume di verità – così piccolo ma evidente e tenace – può illuminare non solo il breve episodio del periodo dei regali di Natale, ma potrebbe indicare qualcosa di importante a riguardo della vita sociale. Occorre scommettere su questo indirizzo positivo della nostra natura. Lo stesso su cui si fondano tante iniziative di valenza pubblica, nei campi dell’assistenza e dell’educazione e in altri settori. Sul fatto che l’uomo è un essere che dona, si può fondare una visione della società e della sua organizzazione non più improntata al sospetto e alla mortificazione burocratica e impositiva. Dall’altro lato, questa eccitazione pensosa che ci prende nel periodo di Natale è una sottolineatura del bene che sono i legami, le relazioni che compongono concretamente e esistenzialmente la vita di una persona.
L’uomo è un essere che dona e che ha legami. Il fatto che tali legami siano oggetto di attenzione particolare, di scambio di doni, ci fa vedere come la risorsa principale della nostra vita (anche in un’epoca di crisi) non sta nella chiusura egoistica, paurosa e calcolatrice in termini di diritti e doveri. Non si ha vera società intorno all’uomo che come una monade isolata pensa a se stesso, misurando o inventando bisogni e diritti in astratto, ma intorno alla persona come nodo di relazioni viventi, nelle quali si evidenziano non solo potenti indicazioni della natura, ma anche limiti e rispetto. L’uomo che dona e che non è fatto per la solitudine è il regalo di Natale che tutti possiamo ricevere mentre iniziamo a pensare quali regali belli – ma belli davvero – fare, siano essi piccole cose graziose o beni che vogliamo restino come nostra eredità.
Davide Rondoni - © avvenire
lunedì 5 dicembre 2011
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