martedì 31 marzo 2015

"In Comunione e Liberazione imparare dai nostri errori"

Julián CarrónJULIÁN CARRÓN
È uno dei movimenti più importanti della Chiesa cattolica. Nacque nel 1954 grazie all’intuizione di don Luigi Giussani (1922-2005), giovane sacerdote e professore di religione in un liceo milanese. Da allora è in costante crescita e oggi la sua presenza è arrivata in 90 paesi. Si tratta di Comunione e Liberazione. Ma nella sua sorprendente crescita ci sono state anche polemiche e scandali.

A 10 anni della morte del fondatore, Papa Francesco ha concesso un’udienza ai membri del movimento in Piazza San Pietro, lo scorso 7 marzo, nella quale ha riflettuto sulle tentazioni e sulle sfide che il movimento deve affrontare. Julián Carrón, il successore di don Giussani, ne parla in questa intervista con Notimex

In questi due anni di pontificato, Papa Francesco ha stupito con il suo messaggio innovatore, di radicalità evangelica, ma creativo. Ha sorpreso anche CL?

«Papa Francesco ci ha sorpreso per la semplicità con la quale si è rivolto a tutti fin dal primo istante, con un linguaggio accessibile ad ognuno: dalle persone con un livello culturale più alto fino alla gente più semplice. La potenza dei suoi gesti, che dicono più di mille parole, la fiducia che nutre nella potenza inerme della verità evangelica (perché lui crede nella bellezza disarmata della verità) e l’irruzione di una figura come la sua hanno un significato stimolante per tutti e anche per noi. La sua persona e i suoi gesti costituiscono una provocazione in quanto riflettono una maniera di vivere il cristianesimo nelle circostanze storiche attuali, come se Cristo ci avesse dato un modo di vivere il cristianesimo nei nostri tempi che, quando lo si vive così come lo vive il Papa, ci rende capaci - diversamente da quanto pensiamo tante volte - di entrare in dialogo con chiunque e con tutte le culture».

Nonostante le difficoltà, il movimento è arrivato in tanti paesi e realtà diverse. Come vivete questa diffusione?

«Siamo stupiti del fatto che una realtà di origine italiana abbia suscitato quest’interesse in latitudini, culture e situazioni umane così diverse. Questo costituisce una conferma della validità di quanto ci ha comunicato Giussani in un contesto culturale come quello di oggi, globale, e lo viviamo con tutto il senso di responsabilità che implica. Vedere delle persone della Nuova Zelanda, della Russia, dell’Argentina, degli Stati Uniti o dell’Uganda interessate alla nostra esperienza, è per noi la conferma che il cuore dell’uomo attende un cristianesimo che possa rispondere a tutte le esigenze del proprio essere, nonostante le condizioni umane nelle quali si trova a vivere».

La diffusione del movimento presenta alcune sfide. Esso, in tanti ambiti, rappresenta il “volto visibile” della Chiesa. Come vivete questa responsabilità?

«Con umiltà. Sappiamo perfettamente quanto siamo piccoli, conosciamo tutti i nostri limiti e tutta la nostra sproporzione. Allo stesso tempo viviamo gioiosi vedendo che il Signore, con il nostro piccolo “sì”, fa delle cose che ci meravigliano e che ci danno la certezza della fede. In questo momento storico, nel quale tutto si frantuma, vedere che la certezza della fede in Gesù Cristo cresce (non perché ce lo immaginiamo, ma perché vediamo le persone che Lo incontrano vivono meglio, sono più contente, più in grado di affrontare le sfide della vita), ecco questo ci riempie di gioia e gratitudine».

Papa Francesco vi ha messo in guardia da certe tentazioni come l’«autoriferenzialità» e il «cattolicesimo da etichette». Cosa pensate di questi richiami?

«Per noi sono molto salutari perché ci sentiamo richiamati alla verità del nostro carisma. Don Giussani ci ha invitati sempre a uscire e riconoscere il valore in tutto ciò che incontriamo, in qualsiasi persona che conosciamo e circostanza che viviamo. Per questo, il richiamo a non rimanere rinchiusi corrisponde a quello che lui ci ha indicato per non perderci tutto il buono, il bello, il meraviglioso che possiamo trovare nel rapporto con le persone e le circostanze».

Il Papa vi ha anche chiesto di non perdere «la freschezza del carisma». Come affrontate le critiche che emergono quando il movimento si trova sotto lo sguardo severo dell’opinione pubblica?

«Noi siamo andati a Roma, all’udienza con il Papa, non per avere semplicemente un momento per celebrare un anniversario, ma con il desiderio di imparare, di chiedergli sinceramente come possiamo – a dieci anni della morte di don Giussani – preservare la freschezza del carisma. Il Papa ci ha risposto molto chiaramente: la chiave è mettere costantemente Cristo al centro, e non l’ha detto solo con parole, ma l’ha fatto accadere: in Piazza San Pietro abbiamo sentito parlare del cristianesimo come ce lo testimoniava anche don Giussani. Il Pontefice ha fatto rinascere in noi la freschezza del carisma; per questo sentiamo così urgente farla permanere».

Ma ci sono state anche molte difficoltà in questi anni, non è vero?

«Evidentemente, quando si parla di una realtà sociale delle dimensioni del movimento, ci troviamo sempre sotto i riflettori. A volte, questo ci permette di offrire agli altri un contributo; a volte, invece, è motivo di umiliazione, perché anche noi abbiamo dei limiti, come succede anche alla Chiesa nel suo insieme. Noi lo viviamo con il desiderio costante di tenere sempre in considerazione le osservazioni di valore che ci vengono fatte, lasciando perdere gli aspetti di esagerazione, di polemica giornalistica strumentale, che lasciamo passare, perché a noi interessa imparare anche dai nostri limiti».

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