Via
Crucis con l’Arcivescovo
Stabat Mater dolorosa
«Il
Figlio che sostiene la madre!» (Stazioni IV-VIII)
Lam 1,11b-12.13c; Lc 23,26; Sal(27[26],7-9;
Sal 69, 2-4; Lu 23,27-29
Testi di Paul Claudel, papa Paolo VI, Charles Péguy, don Primo Mazzolari,
san Bonaventura
Duomo
di Milano, 26 febbraio 2013
Martedì
della seconda Settimana di Quaresima
Catechesi di S.E.R.
Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
«è il Cristo che sostiene la Madre. Ella
gli grava sulle spalle ed Egli se la carica tendendo le braccia, appena
abbozzate, all’indietro come per avvolgerla tutta e portarla con sé» (Dalla
presentazione artistica iniziale). La Vergine Maria Lo aveva portato nei nove
mesi della gravidanza e poi sostenuto nei primi passi, Lo aveva pazientemente
accompagnato, presenza discreta, autorevole e nello stesso tempo obbediente,
lungo gli anni della sua giovinezza fino questa Sua ora.
Anche noi – magari costretti come il Cireneo, o
invece protesi nello slancio dell’amore, come la Veronica; o scossi da un
pianto straziato come le donne di Gerusalemme – cerchiamo di sostenerLo nella
Sua passione. Ma in realtà è Lui che sostiene e porta noi, in questa immensa
gravidanza dell’uomo nuovo «perché si
riveli in noi la potenza della sua resurrezione» (Orazione iniziale).
Immedesimiamoci quindi, ora, con tutto il cuore,
con tutta la mente e con tutto noi stessi nell’amata figura di Gesù lungo la via dolorosa.
IV Stazione - Gesù incontra la Madre
«Voi tutte
che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio
dolore» (Lam 1,12). La tradizione
della Chiesa mette in bocca alla Vergine queste parole con cui Gerusalemme
manifesta il proprio strazio: «Osserva,
Signore, e considera come sono disprezzata!» (Lam 1, 11b). Altro che benedetta
tra le donne come l’aveva salutata Elisabetta, assecondando quel misterioso
esultare del bimbo nel suo seno..!
Quel Figlio a cui le folle, affamate di pane e di
verità, accorrevano piene di speranza, quel Figlio fino a pochi giorni prima
osannato e acclamato come re, avanza verso il Calvario come agnello immolato,
sfigurato sotto i colpi della violenza brutale, quasi irriconoscibile, eppure
non c’è fibra del Suo essere che non voglia andare fino in fondo in quel dono
totale di Sé. E questo Suo sì deciso,
incrollabile sostiene il sì della
Madre. Il fiat di trentatre anni
prima avanza verso il suo compimento finale. «Non c’è nulla nel suo cuore che si rifiuti o s’arrenda. Neppure una
fibra nel suo cuore trafitto che non accetti o consenta» (Claudel).
Che ne è del nostro sì? Non dimentichiamo che la
nostra vita è risposta a Dio!
V Stazione - Gesù è aiutato da Simone
di Cirene
«Fermarono
un certo Simone… che tornava dai campi e gli misero addosso la croce» (Lc 23,26).
Anche a noi spesso la croce arriva addosso così,
inaspettata. Ci coglie di sorpresa, mentre torniamo
dai campi dell’ “umana avventura”. Piomba come un rapace sul nostro quieto
quotidiano, fatto di affetti e di lavoro, e lo sconvolge. Pensiamo alla
malattia, alla morte, alla perdita del lavoro, alle ferite dell’amore…
All’improvviso ci cambia la vita. Niente è più come prima.
Anche noi ci troviamo di fronte all’aut-aut
drammatico del Cireneo: o rimanere «ignari
e ribelli» (Paolo VI), puntando i piedi nel disperato tentativo di opporci,
o abbandonarci a questo misterioso modo con cui il Signore ci si avvicina per
amarci: «Tu l’hai amato certamente, o
Signore, cedendogli il peso della tua croce» (Paolo VI), e balbettare le parole dell’apostolo Paolo: «do compimento a ciò, che dei patimenti del Cristo,
manca nella mia carne» (Col
1,24).
Così, misteriosamente ma realmente, Simone di
Cirene divenne testimone, aprendo la strada a tutti coloro che, dall’inizio
della Chiesa fino a noi, accettano di portare la croce di Cristo.
«Cominciò in quel momento la
diffusione della tua passione. Tu allargasti il nostro cuore a soffrire e ad
amare negli altri che con Te e per Te sarebbero stati crocifissi» (Paolo
VI). Ecco la sorgente inesauribile della carità della Chiesa manifestata
capillarmente in migliaia di opere presenti nel nostro territorio.
VI Stazione - Gesù incontra Veronica
«Il mio
cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!” Il tuo volto; Signore, io
cerco» (Sal 27).
Questo invito
è scolpito nel cuore di ogni uomo. Fin dalla nascita l’io cerca il volto del tu.
Il bimbo, anche piccolissimo, cerca il volto della madre per imparare quanto è
bene che egli sia. L’amato, tra le centinaia di volti anonimi delle nostre
metropoli, cerca il volto dell’amata, lo sposo della sposa, il figlio della
madre… Fino all’ultimo respiro, ogni io
si riconosce e ritrova nella relazione con il tu. Perché è così nell’inesauribile mistero d’amore della Trinità,
e noi siamo fatti a Sua immagine.
Per questo ogni volto ed ogni relazione – secondo
il posto che il Padre, nel suo Disegno imperscrutabile ma buono, gli ha
assegnato – diventa segno del Suo volto e via a Lui. Con tutta la fisicità, ma
anche la fragilità e la piccolezza del segno. «Un fazzoletto per soffiarsi il naso», dice con familiarità
dissacratoria Péguy, «un vero fazzoletto»,
che però diventa preziosissimo, «un
fazzoletto imperituro”» segnato dal per sempre, perché «asciugò la sua vera faccia».
«Cercate il
mio volto». «Nel volto di Gesù
splende l’amore del Padre», abbiamo pregato nelle Invocazioni. L’infinito –
in cui solo si quieta il nostro cuore inquieto – si è fatto finito per farsi
incontrare e amare da noi.
Ma, per poterLo vedere, occorre un cuore limpido,
senza schermature, come quello dei bambini: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8).
Come la Veronica, ciascuno di noi, asciugando «la polvere di tutti, la polvere sulla sua
faccia; incollata dal sudore» (Péguy), partecipa alla Sua passione per
tutti i fratelli uomini. Pensiamo alla cura amorevole con cui Madre Teresa
asciugava il volto dei moribondi… O a quella, per me indimenticabile, dei padri
e delle madri che ho visto accudire i loro figli, ammalati terminali o in stato
vegetativo.
VII Stazione -
Gesù cade la seconda volta
«Nelle
cadute di Gesù», durante il suo doloroso e obbediente procedere verso il
Calvario, «ci siamo tutti noi»
(Mazzolari) piegati sotto il peso della nostra debolezza fino a venir meno,
perché – come scrive genialmente don Mazzolari – «il caduto non è un disertore, ma uno che “viene meno per via”: e Gesù
l’attende, chino a sua volta sotto la croce, perché nessuno si senta solo
nell’ora più buia».
Al nostro grido ormai sfinito – «Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola.
Sono caduto… e la corrente mi travolge» (Sal 69) – Gesù risponde raggiungendoci “per terra” da dove stavamo
perdendo la speranza di rialzarci e ci as-sicura: “Non temere, il mio amore non
verrà meno e ti salverà”. Quale speranza contro ogni speranza.
Le cadute di Gesù durante la Via Crucis
anticipano, in un certo senso, la Sua discesa agli inferi, quando – come
vediamo nelle potenti raffigurazioni dell’Anàstasi
– dopo aver compiuto fino in fondo il Suo sacrificio, Egli afferrò con la sua
mano vigorosa le mani deboli e imploranti di tutti i giusti ‘caduti’
dell’Antico Testamento e della storia umana per trascinarli con Sé nella sua
resurrezione.
VIII Stazione -
Gesù incontra le donne di Gerusalemme
«Non
piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli» (Lc 23,28).
Di fronte al dolore, soprattutto al dolore
innocente causato dalla malvagità umana, la chiesa nostra Madre ci educa a non
fermarci alle pur umanissime lacrime di compassione, ma ci conduce fino alla
radice personale di questa responsabilità, che è sempre corresponsabilità col
male. Siamo chiamati a confessarlo con cuore contrito: «Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa
è “il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati
dal proposito di non peccare più in avvenire” (Concilio di Trento)»
(Catechismo Chiesa Cattolica, 1451).
E la contrizione attraversa tutta la mossa del
sentimento («facevano lamenti su di lui»
Lc 23,27) per attingere al giudizio e
alla decisione della libertà. Lo sguardo di Gesù che corregge le donne di
Gerusalemme è lo sguardo di un amore tanto severo quanto misericordioso, lo
sguardo che, incrociando quello di Pietro dopo il tradimento lo mosse a «piangere amaramente» (cf Mt 26,75)
sopraffatto dal prodigio del suo amore
infinito di cui San Bonaventura scrive: «Anima mia ammira, ringrazia, ama, loda e adora!… Gesù fu schernito, perché tu sia onorata; fu
flagellato perché tu abbia conforto; fu crocifisso per darti la libertà; venne
immolato come agnello per nutrirti di grazia; venne ucciso per ridarti la vita».
Non sottraiamoci al dono della misericordia dispensato nella confessione
sacramentale!
Dal profondo a Te grido, Signore.
Dal profondo della mia debolezza mortale,
del mio peccato ostinato.
Dal profondo e buio gorgo della mia dimenticanza.
Signore, Ti incontriamo ogni giorno
sulla Via
Crucis che Tu compi fino alla fine
con noi e per noi.
Aiutaci ad acconsentire al Tuo sacrificio,
imitando l’amore della Tua santissima Madre
e quello della Veronica,
o almeno la forzata accettazione del Cireneo.
Aiutaci e perdonaci. Amen.
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