sabato 2 febbraio 2013

«Fede e carità sono unite Non possiamo separarle»



il testo del Messag­gio di Benedetto XVI per la Quaresima 2013 sul tema: Credere nella carità suscita carità ­«Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16). 







Cari fratelli e sorelle, la celebrazione della Quaresima, nel contesto del­l’Anno della fede, ci offre una prezio­sa occasione per meditare sul rapporto tra fe­de e carità: tra il credere in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, e l’amore, che è frutto dell’azio­ne dello Spirito Santo e ci guida in un cam­mino di dedizione verso Dio e verso gli altri. 
 1. La fede come risposta all’amore di Dio.
 Già nella mia prima enciclica ho offerto qual­che elemento per cogliere lo stretto legame tra queste due virtù teologali, la fede e la ca­rità. Partendo dalla fondamentale afferma­zione dell’apostolo Giovanni: «Abbiamo co­nosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (
 1 Gv 4,16), ricordavo che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avveni­mento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisi­va... Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l’amore adesso non è più solo un 'comandamento', ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro» (Deus caritas est, 1). La fede costituisce quel­la personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell’amore gratuito e «appassionato» che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cri­sto. L’incontro con Dio Amore che chiama in causa non solo il cuore, ma anche l’intellet­to: «Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e senti­mento nell’atto totalizzante dell’amore. Que­sto però è un processo che rimane conti­nuamente in cammino: l’amore non è mai 'concluso' e completato» ( ibid.,17). Da qui deriva per tutti i cristiani e, in particolare, per gli «operatori della carità», la necessità della fede, di quell’«incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo al­l’altro, così che per loro l’amore del prossi­mo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conse­guenza derivante dalla loro fede che diven­ta operante nell’amore» (ibid., 31a). Il cri­stiano
 Massima opera di carità è l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola», rendere partecipe il prossimo della Buona Notizia del Vangelo L’evangelizzazione è la più alta promozione umana

  è una perso­na conquistata dall’amore di Cristo e perciò, mosso da questo amore - «
ca­ritas Christi urget nos » ( 2 Cor 5,14) –, è aperto in modo profondo e concre­to all’amore per il prossimo (cfr ibid., 33). Tale atteggia­mento nasce anzi­tutto dalla coscienza di essere amati, perdo­nati, addirittura serviti dal Signore, che si chi­na a lavare i piedi degli apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l’umanità nel­l’amore di Dio. «La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittorio­sa certezza che è proprio vero: Dio è amore! ... La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sul­la croce, suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sem­pre di nuovo un mondo buio e ci dà il co­raggio di vivere e di agire» ( ibid., 39). Tutto ciò ci fa capire come il principale atteggiamen­to distintivo dei cristiani sia proprio «l’amo­re fondato sulla fede e da essa plasmato» . 
 2. La carità come vita nella fede

 Tutta la vita cristiana è un rispondere all’a­more di Dio. La prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il «sì» della fe­de segna l’inizio di una luminosa storia di a­micizia con il Signore, che riempie e dà sen­so pieno a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Pao­lo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr
 Gal 2,20).
  Quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio,
 siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa la­sciare che Egli viva in noi e ci porti ad ama­re con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la no­stra fede diventa veramente «operosa per mezzo della carità» ( Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12).
  La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr
 1 Tm 2,4); la carità è «camminare» nella verità (cfr Ef 4,15). Con la fede si entra nell’amici­zia con il Signore; con la carità si vive e si col­tiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento del Signo­re e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in prati­ca (cfr Gv 13,13-17). Nella fede siamo ge­nerati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseve­rare concretamente nella figliolanza di­vina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22). La fede ci fa ricono­scere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttificare (cfr Mt 25,14-30).
 
 3. L’indissolubile intreccio tra fede e carità
 Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teo­logali sono intimamente unite ed è fuor­viante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato, infatti, è limitante l’atteggiamento di chi mette in modo così forte l’accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprez­zare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo. Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’e­sagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostitui­scano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dal­l’attivismo
 moralista. L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fra­telli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nel­la Sacra Scrittura vediamo come lo zelo de­gli apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla pre­mura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cfr At 6,1-4). Nella Chiesa, contem­plazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrar­si (cfrLc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr Cate­chesi all’Udienza generale del 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine «carità» alla soli­darietà o al semplice aiuto u­manitario. È importante, in­vece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’e­vangelizzazione, ossia il «ser­vizio della Parola». Non v’è a­zione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossi­mo che spezzare il pane del­la Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Noti­zia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l’e­vangelizzazione è la più alta e integrale promozione del­la persona umana. Come scrive il servo di Dio Papa Paolo VI nell’enciclica Popu­lorum progressio, è l’annun­cio di Cristo il primo e prin­cipale fattore di sviluppo (c­fr n. 16). È la verità originaria dell’amore di Dio per noi, vissuta e annunciata, che apre la nostra esistenza ad accogliere questo a­more e rende possibile lo sviluppo integrale dell’umanità e di ogni uomo (cfr enc.Cari­tas in veritate , ). In sostanza, tutto parte dall’amore e tende al­l’amore. L’amore gratuito di Dio ci è reso no­to mediante l’annuncio del Vangelo. Se lo ac­cogliamo con fede, ricevia­mo quel primo ed indispen­sabile contatto col divino ca­pace di farci «innamorare dell’amore», per poi dimora­re e crescere in questo amo­re e comunicarlo con gioia a­gli altri. A proposito del rapporto tra fede e opere di carità, un’e­spressione della Lettera di san Paolo agli Efesini riassume forse nel modo migliore la lo­ro correlazione: «Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né vie­ne dalle opere, perché nes­suno possa vantarsene. Sia­mo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha prepara­to perché in esse camminas­simo » (2, 8-10). Si percepisce qui che tutta l’iniziativa sal­vifica viene da Dio, dalla sua Grazia, dal suo perdono ac­colto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della ca­rità. Queste non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fe­de senza opere è come un albero senza frut­ti: queste due virtù si implicano reciproca­mente. La Quaresima ci invita proprio, con le tradizionali indicazioni per la vita cristia­na, ad alimentare la fede attraverso un a­scolto più attento e prolungato della Parola di Dio e la partecipazione ai sacramenti, e, nello stesso tempo, a crescere nella carità, nell’amore verso Dio e verso il prossimo, an­che attraverso le indicazioni concrete del di­giuno, della penitenza e dell’elemosina. 
 4. Priorità della fede, primato della carità

 Come ogni dono di Dio, fede e carità ricon­ducono all’azione dell’unico e medesimo Spirito Santo (cfr
 1 Cor 13), quello Spirito che in noi grida «Abbà! Padre» ( Gal 4,6), e che ci fa dire: «Gesù è il Signore!» ( 1 Cor 12,3) e «Ma­ranatha! » ( 1 Cor 16,22; Ap22,20).
  La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la ve­rità di Cristo come amore incarnato e croci­fisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina ver­so il prossimo; la fede radica nel cuore e nel­la mente la ferma convinzione che proprio questo amore è l’unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guar­dare al futuro con la virtù della speranza, nel­l’attesa fiduciosa che la vittoria dell’amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr
 Rm 5,5).
  Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fonda­mentali della Chiesa: il Battesimo e l’Eucari­stia. Il Battesimo (
 sacramentum fidei) pre­cede l’Eucaristia ( sacramentum caritatis ), ma è orientato ad essa, che costituisce la pie­nezza del cammino cristiano. In modo ana­logo, la fede precede la carità, ma si rivela ge­nuina solo se è coronata da essa. Tutto par­te dall’umile accoglienza della fede («il sa­persi amati da Dio»), ma deve giungere alla verità della carità («il saper amare Dio e il prossimo»), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù (cfr 1 Cor13,13). Carissimi fratelli e sorelle, in questo tempo di Quaresima, in cui ci prepariamo a cele­brare l’evento della Croce e della Risurrezio­ne, nel quale l’amore di Dio ha redento il mondo e illuminato la storia, auguro a tutti voi di vivere questo tempo prezioso ravvi­vando la fede in Gesù Cristo, per entrare nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo nella nostra vita. Per questo elevo la mia pre­ghiera a Dio, mentre invoco su ciascuno e su ogni comunità la Benedizione del Signore! 
 Benedetto XVI

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