Duomo di Milano, 12 febbraio 2013 XXXI anniversario del Riconoscimento Pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione - VIII Anniversario della morte di Mons. Luigi Giussani
in una Cattedrale che quasi non riesce a contenere le migliaia di aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione che continuano a giungere, l’eucaristia presieduta dal cardinale Scola in memoria appunto di “don Gius” - nell’ottavo anniversario dalla morte e nel XXXI del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione - è anche un modo, forse il più bello e intenso, per ritrovarsi e pregare insieme. Sono presenti i fratelli di monsignor Giussani, Gaetano e Livia, volti noti come Roberto Formigoni o Gabriele Albertini, ma soprattutto è la grande massa dei fedeli che “scalda”.
L’Arcivescovo - concelebranti molte decine di sacerdoti, tra cui Julián Carròn, successore di Giussani alla guida della Fraternità, il Vicario generale della diocesi monsignor Mario Delpini e l’assistente diocesano di Cl don Mario Garavaglia - a tutti si rivolge, con la voce forte e chiara di sempre, ma che tradisce comunque un poco di emozione, quando, in apertura dell’omelia, citando il Qoélet della Lettura, parla delle domande decisive della vita. “Criteri” per trovare un senso, una direzione nell’esistenza; risuona, allora, tra le navate quella parola - “destino”, “nome mirabile” secondo la definizione del Prefazio - che, se liberata da troppo facili interpretazioni, è “cifra” dell’umano, come don Giussani comprese e testimoniò con la sua vita e il suo carisma educativo.
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola , Arcivescovo di Milano
1. «Tutto
ha un suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo» (Lettura, Qo 3,1). Ogni uomo – è quasi banale osservarlo – nell’arco della sua
esistenza si trova a demolire e a costruire, a piangere e a ridere, a far lutto
e a danzare… In definitiva, come conclude con potente sintesi il saggio, a
nascere e a morire.
L’esistenza, allora, si riduce ad
un’ineluttabile alternanza di vicende da subire o è possibile viverla da
protagonista?
Come può l’uomo riconoscere se è tempo di
demolire o tempo di costruire, se è tempo di conservare o tempo di “buttar via”?
In altri termini, l’uomo può essere effettivamente se stesso dentro ogni
circostanza, anche in quella più inattesa, sconcertante, sfavorevole?
Sono domande decisive di fronte alle quali
questa sera la liturgia mette tutti noi, qui convenuti, in occasione
dell’Ottavo anniversario della morte del Servo di Dio Monsignor Luigi Giussani,
per ringraziare il Signore del riconoscimento pontificio della Fraternità di
Comunione e Liberazione.
2. La Chiesa, nostra indefettibile madre e
maestra, non cessa di offrirci i criteri fondamentali per trovare risposta
adeguata a questi drammatici interrogativi che, volenti o nolenti, attraversano
il cuore di tutti.
Di questi criteri cerchiamo anzitutto di
cogliere il nucleo centrale, tanto più che il carisma donato dallo Spirito a
don Giussani continua a renderli storicamente persuasivi per la vita di molti
fedeli in tutto il mondo.
L’unica prospettiva per giudicare ed accogliere
fino in fondo ogni circostanza ed ogni rapporto è la loro verità ultima. Per
illustrare questo dato fondamentale, Don Giussani – il cui “pensiero sorgivo” lo
conduceva sovente alle acquisizioni più pregnanti del pensiero contemporaneo –
ha fatto ricorso alla parola destino.
Spogliandola dal carattere di “cieca necessità” egli l’ha riproposta alla
libertà come criterio di verità definitiva per o contro il quale essa è
chiamata a decidersi. Quante volte ci siamo sentiti invitati a “guardare e amare ogni cosa e ogni persona
per il suo destino”!
La liturgia della Messa Votiva del Santissimo
Nome di Gesù che stiamo celebrando lo sottolinea con forza attraverso
l’insistente richiamo al cielo e alla
vita eterna: «Tu hai inviato a noi il tuo Unigenito perché… ci chiamasse a
condividere la gloria eterna del tuo regno» (Prefazio). La vita eterna è il destino dell’uomo. Ma, fatto
sorprendente e felice, il Prefazio ci
dice il “nome mirabile” che strappa il tema del destino dal rischio di essere
relegato in un remoto ed astratto “dopo la morte”. Questo nome è il santissimo
nome di Gesù, il Verbo fattosi carne. Il nostro destino è presente a noi fin da
ora. E l’Eucaristia cui stiamo partecipando è già, in germe, la nostra
risurrezione.
3. Il singolare episodio del Vangelo di Marco che
abbiamo appena ascoltato, anche se a noi può risultare un po’ostico, è una
conferma critica, cioè piena di ragioni, che Gesù è il destino dell’uomo. Egli
è la verità vivente e personale, all’opera nella storia, nella mia, nella tua,
nella nostra storia, nella storia della Chiesa e di tutta la famiglia umana.
I sadducei, volendo metterlo in difficoltà, Gli
sottopongono una questione relativa al matrimonio e alla discendenza. Si tratta
della domanda sulla verità del rapporto tra uomo/donna nel matrimonio, in
particolare del suo essere ordinato alla fecondità. Nonostante la cosiddetta
rivoluzione sessuale e la diffusa prassi di una sessualità tutta ripiegata su
se stessa, l’uomo e la donna hanno bisogno di sapere che il loro amore oggettivo
ed effettivo sarà fecondo. Qual è la risposta di Gesù? Egli situa la verità di
questo fondamentale desiderio nella prospettiva del destino. Esso sarà compiuto
definitivamente nel rapporto personale ed eterno con il Dio vivente, cui però
la sequela di Gesù già ci abilita. Come? Attraverso il valore straordinario del
matrimonio indissolubile, fedele ed aperto alla vita.
Quindi, carissimi, la passione per il destino
proprio e altrui, che don Giussani ci ha insegnato con l’esserne alto testimone,
è l’offerta totale di sé perché ogni uomo e ogni donna possa incontrare il
Volto umano del destino: il Figlio di Dio incarnato per la nostra salvezza,
Gesù, l’amato. Questo e solo questo è il criterio adeguato per rispondere alle
domande del Qoèlet.
Due sono i fattori da considerare in proposito.
Essi sgorgano dal criterio insegnato da Monsignor Giussani: “guardare e amare ogni cosa e
ogni persona per il suo destino”.
Anzitutto Gesù, nostro destino, assicura l’unità dall’origine fino al compimento. Il
primo atteggiamento è quindi l’indomabile passione per l’unità come orizzonte
totale dell’esistenza: unità dell’io rigenerato in Cristo, unità della
compagnia vocazionale che le varie forme di realizzazione della Chiesa offrono,
unità nella Chiesa tra tutti i fedeli e soprattutto con il Papa e i Vescovi in
comunione con lui, unità del genere umano. A questo proposito don Giussani ricordava:
«L'amicizia è il luogo dove
l'amore al destino dell'altro è costitutivo del vivere insieme» (Tu (o dell’amicizia), Milano 1997, 293).
Non altro. E proprio la tensione per l’unità segnala quella “purità di umanità” da lui
instancabilmente richiamata che non indietreggia di fronte alla strana
necessità del sacrificio. L’istanza
dell’unità è costitutiva del destino dell’uomo. Pensiamo al cosiddetto
testamento di Gesù (cfr. Gv 17).
Affinché però
l’esperienza dell’unità non si riduca a pura esortazione bisogna riconoscere un
secondo atteggiamento proprio di un cristiano maturo. Quello della
“confessione”. Per cogliere bene il valore Gesù in quanto destino mette in
campo possiamo riferirci al Papa. Parlando di san Pietro egli, qualche giorno
fa, ha detto: «Questo uomo, pieno di
passione, di desiderio di Dio, di desiderio del regno di Dio, del Messia,
quest’uomo che ha trovato Gesù, il Signore e il Messia, è anche l’uomo che ha
peccato, che è caduto, e tuttavia è rimasto sotto gli occhi del Signore e così
rimane responsabile per la Chiesa di Dio, rimane incaricato da Cristo, rimane
portatore del suo amore» (Benedetto XVI, Lectio divina. Seminario Romano , 8 febbraio 2013). L’uomo non ha paura
di muoversi libero entro la realtà se sta spalancato e nudo di fronte alla
Presenza del destino. Si lascia scrutare fin nel profondo dallo sguardo di Dio.
Allora egli è disposto non solo a confessare di aver sbagliato, ma soprattutto
impara che un atteggiamento stabile di confessione è garanzia di verità per
ogni sua azione. La croce di Cristo, morto innocente per noi, lo esige. Da
questa attitudine noi invece di solito sfuggiamo, tanto ostinatamente il nostro
io pretende su di sé le luci della ribalta. Don Giussani parlava in proposito
di moralità come continua ripresa: «L'ascesi sta proprio lì: non nel non sbagliare,
o nello scivolare e basta, ma nella ripresa continua» (Affezione e dimora, Milano 2001, 275).
Per comprendere
cosa sia l’atteggiamento di confessione facciamo un passo ulteriore. Al recente Sinodo dei
Vescovi il
Papa ha legato la parola confessione alla parola martirio, cioè al pagare di
persona. Il martire, il testimone è colui che, esponendosi per primo, rende
possibile l’incontro tra la libertà di Dio e la libertà degli uomini. Sempre
l’incontro con Gesù Risorto avviene nell’incontro, da esperienza a esperienza,
con il testimone. La testimonianza non è solo buon esempio, questo è in un
certo senso ovvio, ma è conoscenza della realtà e perciò è comunicazione della
verità.
L’umile gesto sorprendente compiuto
ieri da Benedetto XVI non dilata forse il nostro modo di conoscere cosa sia una
vita piena che sa stare di fronte a Gesù destino dell’uomo? E questa posizione
di verità non viene così comunicata a tutta la famiglia umana?
5. La Chiesa
universale e la Chiesa ambrosiana, che vive ad immagine della Chiesa universale
(cf. LG 23), hanno bisogno che ogni
cristiano, secondo la propria fisionomia personale e secondo le affinità
spirituali che i carismi creano nella comunità, viva, nella tensione per
l’unità a tutti i livelli e in atteggiamento di confessione testimoniale,
questa passione per Gesù destino dell’uomo.
A questo
proposito anche a voi amici della Fraternità di Comunione e Liberazione,
insieme a tutti i fedeli ambrosiani, l’Arcivescovo vuol ricordare che la fede della
Chiesa è per il bene della società plurale. Nella Lettera pastorale affermavo:
«I cristiani sono presenti nella storia come l’anima del
mondo, sentono la responsabilità di proporre la vita buona del Vangelo in tutti
gli ambiti dell’umana esistenza. Non pretendono una egemonia e non possono
sottrarsi al dovere della testimonianza» (Alla scoperta del
Dio vicino 12.4).
Il carisma pedagogico di don
Giussani è sorto per comunicare Gesù in tutti gli ambienti dell’umana
esistenza. In questo carattere incarnatorio sta la sua peculiare e
provvidenziale natura.
Chiediamoci: nella rapida
trasformazione oggi in atto quali sono gli ambienti dell’umana esistenza in cui
portare Cristo? Io credo che quelli delle stanche Chiese di Europa e dei
provati Paesi in cui esse vivono siano ambienti decisivi degli uomini del terzo
millennio. Mi permetto di dire che in essi i cristiani, assecondando il disegno
di Dio, sono chiamati a testimoniare la logica dell’incarnazione. Dentro le
situazioni vocazionali quotidiane quali la scuola, il lavoro, i quartieri, la
società, l’economia, la politica, ma con largo respiro, documentate quindi la
bellezza della fede. Alla crisi della fede europea, che secondo Benedetto XVI
può condurre al «tedio dell’essere»,
testimoniate, rischiando di persona, che il cristianesimo è l’ “umanesimo veramente
umano”. Questo compito già vi vede all’opera. Lo Spirito non mancherà, se
necessario, di suggerire nuovi passi.
6. Carissimi, nel Salmo
abbiamo ascoltato: «Una cosa al Signore
domando, questa sola io cerco: abitare nella casa
del Signore ogni giorno di vita». Possa essere questo, ogni giorno di più, il
desiderio
del nostro cuore, la forza propulsiva di ogni nostre pensiero e giudizio, di
ogni nostra decisione e azione. Invochiamo dunque dallo Spirito questo gusto di vita nuova, affidandoci, anche
questa sera come tutte le sere, alle braccia della Madonnina. Amen.
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