I domenica d’Avvento
Duomo di Milano, 18 novembre 2012
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola , Arcivescovo di Milano
«Dio
che viene»
Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo
popolo
1. Il dono del Salvatore
«Innalzate nei cieli lo sguardo:/ la salvezza
di Dio è vicina./ Risvegliate nel cuore l’attesa/ per accogliere il Re della
gloria./ Vieni Gesù, Vieni Gesù…». In queste parole del canto iniziale il
nostro cuore e la nostra mente trovano il giusto atteggiamento per prendere
parte alla presente azione eucaristica, sorretti dalla convinzione che quella
eucaristica è la più nobile ed elevata azione cui l’uomo possa prendere parte.
Convenuti
dalle nostre case qui nella Chiesa cattedrale, o collegati attraverso i mezzi
di comunicazione, siamo consapevoli che il tempo prezioso dell’Avvento, cui la liturgia ambrosiana oggi
dà inizio, è tempo propizio per la verità della nostra persona. In che senso?
«(Di)sposando l’umana natura nell’inviolato
grembo di una vergine sei venuto a salvarci» (Conditor alme siderum, Inno dei Vespri di Avvento). Il cambiamento,
necessario alla verità, bontà e bellezza della nostra esistenza, scaturisce dal
dono della tenerezza infinita del Padre, il dono del Salvatore. Se il “Dio che viene” è la grande notizia,
allora non si può non alzare lo sguardo verso di Lui. “Qualcuno”, non qualcosa,
anzi Uno
è il cuore dell’attesa, carica di indomita ma pacata tensione verso il compimento.
Vogliamo
vivere insieme queste sei domeniche di Avvento, vigilando ogni istante immersi
nel sacrificio redentore che celebreremo in tutte le nostre chiese e in questa
chiesa cattedrale. Il
Vescovo ed il popolo, riuniti,
supplicano con fervore: «Vieni Gesù».
2. Dove andremo a finire?
Il
Vangelo che abbiamo ascoltato annuncia la glorificazione del Figlio dell’uomo:
«Allora vedranno il Figlio dell’uomo
venire… con grande potenza e gloria»
(Lc 21,27). Il Vangelo propone così
immagini che si collegano ad un tema dalle antichissime radici bibliche. Il
tema del giorno del Signore. Inizia
dalla considerazione della distruzione del Tempio (cf. Vangelo, Lc 21,6), per
allargarsi a quella della città di Gerusalemme e alle popolazioni della terra
(cf. Vangelo, Lc 21,20-24), finendo per coinvolgere il cosmo intero (cf. Vangelo, Lc 21, 25-28) «Si solleverà
nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi
terremoti, carestie e pestilenze» (Vangelo,
Lc 21,10-11).
Il
quadro del discorso sulla fine dei tempi (escatologia) propostoci oggi dal
Santo Vangelo, in un brano assai difficile, è rovinoso, apocalittico. Sul suo
sfondo sta la visione di Isaia che annuncia la fine di Babilonia. Dal profeta «il giorno del Signore» è descritto come
«una devastazione» (Lettura, Is 13,6), a cui partecipa la stessa creazione: «Le stelle del cielo e le loro costellazioni
non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non
diffonderà la sua luce» (Lettura, Is
13,10).
In
questi passaggi dell’odierna Liturgia della Parola non facciamo fatica a
riconoscere alcuni “segni sconvolgenti” presenti anche nei nostri tempi. Non
mancano le guerre, le tragedie cosmiche, ingiustizia e miseria continuano a
segnare pesantemente il cammino della famiglia umana. Soprattutto ci rendiamo
chiaramente conto che questa situazione di prova persistente incomincia dalla, o meglio, dentro la nostra persona. «Ognuno
osserva sgomento il suo vicino» (Is
13,8) scrive Isaia e sembra che parli di noi, delle nostre paure, delle nostre
inquietudini, delle nostre gravi insicurezze ingigantite dal travaglio inedito
del nuovo millennio.
“Dove andremo a finire?” è l’ovvio
ritornello che sempre più frequentemente ci ripetiamo. E non è tanto un
lamento, quanto l’espressione dello sconcerto di fronte alle gravi difficoltà e
ai non pochi motivi di sofferenza. Affiora inoltre, di tanto in tanto, il
fatto, troppo spesso rimosso, che la fine del nostro tempo personale implicherà
il giudizio misericordioso, ma giusto, di Dio su ognuno di noi.
Eppure il Santo Vangelo oggi conclude con un
rincuorante invito alla speranza: «Risollevatevi
e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Per questo siamo qui, per rivolgerci
al Padre, con le parole del Salmo responsoriale: «Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo» (Salmo 67).
La fine dei tempi non si identifica così con la
terribile descrizione del giorno del Signore fatta da Isaia, né con il
travaglio doloroso descritto dalle immagini apocalittiche dal Vangelo. Non è
questa l’attesa compiuta del cristiano. Non sarà questa la fine del mondo.
3. La fine
del mondo
Il termine – la fine e il fine
– del tempo e della storia è la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo,
cioè di Gesù Cristo. Con lo sguardo fisso sul Crocifisso Risorto, il Veniente, Colui
che è il fondamento si possono attraversare tutti i segni dei tempi, anche i
più catastrofici.
Non aspettiamo terrorizzati la
fine del cosmo e della storia. Questa avverrà secondo tempi e modi su cui i
saperi giustamente continuano ad indagare, ci auguriamo senza ignorare la
libertà di Dio, quella dell’uomo e il gioco perverso del Maligno. Noi aspettiamo
pazientemente la manifestazione gloriosa di Colui che è già venuto: Cristo,
ieri, oggi e sempre.
Così infatti ci farà pregare il Prefazio: «Con la sua prima venuta nell’umiltà della
carne portò a compimento l’antica speranza…; quando verrà nello splendore della
gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo
sperare vigilando nell’attesa».
La fede in Gesù Cristo capo dell’umana famiglia,
centro del cosmo e della storia è il contenuto dell’umanissima attesa cristiana.
4. Nella storia sperando contro ogni speranza
La posizione del cristiano di fronte alla realtà e alla storia, anche a
quella più negativa e contraddittoria, alla sua inevitabile fine, è quindi diversa
rispetto a quella di quanti non sperano nel ritorno glorioso del Figlio dell’uomo.
Se si è senza speranza si subisce l’inganno dei falsi profeti, chi spera
autenticamente non lo subisce («badate di non lasciarvi ingannare» Lc 21,8); se si è senza speranza ci si spaventa, chi spera nel ritorno
del Figlio dell’uomo è fiducioso («non vi terrorizzate» Lc 21,9); se si è senza speranza si può, talora, diventare
persecutori: in quel caso chi spera coglie l’occasione per dare testimonianza
in forza dello Spirito e per rinnovare la sua certezza nel Signore Gesù («nemmeno
un capello del vostro capo andrà perduto» Lc 21,18); se si è senza speranza si è deboli («tutte le mani sono fiacche, ogni cuore viene
meno. Sono costernati», Lettura, Is 13,7-8), chi spera invece sa che «la liberazione è vicina» (Lc 21,28). La nostra fede eucaristica,
nella passione, morte e risurrezione di Gesù ne è, fin da ora, la convincente
conferma.
5. Con la vostra perseveranza
salverete la nostra vita
«Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Vangelo, Lc 21,19): abbiamo ascoltato nel Vangelo. Salvare la vita non è
salvare la pelle, ma compiere la propria umanità. E a questo nessuno di noi può
rinunciare: tutti lo desideriamo e tutti possiamo imparare ad invocarlo.
Ecco perché ho potuto scrivere a tutti i fedeli nella Lettera Pastorale che «la fede in Cristo fa storia: il trascorrere
del tempo, l’evoluzione dei rapporti entro la famiglia, entro la comunità di
appartenenza, il mutare delle situazioni, l’assunzione delle diverse
responsabilità, il variare delle condizioni di lavoro, di salute … tutta la
vita pone domande alla fede e tutta la vita riceve risposte, nuova luce
dall’unica rivelazione di Gesù. La perseveranza nella fede scrive una storia
salvata» (Lettera pastorale Alla
scoperta del Dio vicino, p.5). La mia, la tua storia personale, cioè la mia, la tua
piena biografia è nello stesso tempo la storia comunitaria della Chiesa, che
contribuisce alla storia dell’umanità.
6. Camminate nella carità
«Fratelli, fatevi imitatori di Dio… e camminate nella carità, [cioè]
nel modo con cui anche Cristo ci ha amato
e ha dato se stesso per noi» (Epistola,
Ef 5,1-2). L’amore per Sua grazia ci
è reso possibile.
La parola decisiva nella vita
dell’uomo – di ciascuno di noi e dell’umana famiglia – è la carità, l’amore
oggettivo ed effettivo. Perché? Perché Cristo è venuto e ha dato Se stesso per
noi. Gesù è il nome proprio dell’amore.
Per questa ragione il Santo
Padre ci ricorda nel n. 6 del Motu proprio
Porta fidei che «l’Anno della fede, in questa
prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore,
unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha
rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di
vita mediante la remissione dei peccati (…) Grazie alla fede, questa vita nuova
plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella
misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e
il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un
cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende
operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di
intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo».
Si diventa imitatori del Signore, immedesimandoci con Chi ci ha dato la
vita e ci segna la strada: è una legge fondamentale, imprescindibile per la
maturazione di ogni uomo.
7. Le virtù dell’Avvento
Fede, speranza e carità: le virtù teologali del cristiano vengono
esercitate lungo l’Avvento nella forma dell’attesa
e della vigilanza. Non perdiamo il
prezioso richiamo che la Chiesa ci fa in questo tempo di grazia. Consentitemi
tre raccomandazioni in proposito. Anzitutto invito ad un momento di preghiera
breve e semplice in famiglia al mattino, alla sera, ai pasti. In secondo luogo propongo
un regolare gesto per educarci ad amare. Chissà perché siamo restii a
comprendere che bisogna imparare ad amare. Dedichiamo una piccola parte del
nostro tempo ogni settimana a chi è nel bisogno! Infine sarebbe bene, in questo
tempo in cui l’attesa diventa una ginnastica del desiderio, partecipare ad una
santa Messa feriale almeno una volta la settimana.
«Con
l’attesa, Dio allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo
lo rende più capace»(Agostino, Commento alla Prima lettera di Giovanni,
4,6). La Vergine santa, madre dell’attesa, ci renda più capaci di accorgerci
che Dio ci ama. Amen.
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