mercoledì 14 novembre 2012

Educare il desiderio


In una recente udienza Benedetto XVI ha parlato dell’utilità di promuovere una “sorta di pedagogia del desiderio, sia per il cammino di chi ancora non crede, sia per chi ha già ricevuto il dono della fede”. Suggerisce almeno due aspetti su cui svilupparla: imparare o re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita; non accontentarsi mai di quanto si è raggiunto”. Non tutte le gioie della vita e le soddisfazioni conseguenti sono uguali. Alcune “ci rendono più attivi e generosi”; altre, svanita la parvenza positiva, ci lasciano delusi, in preda “all’amarezza o a un senso di vuoto”. Educare sin dalla tenera età ad assaporare le gioie vere, in tutti gli ambiti dell’esistenza, “significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi”. La lettura integrale del testo dell’udienza svela la sapienza del Papa, vero maestro ed educatore, che sa sminuzzare la sapienza teologica e il tesoro della tradizione culturale cristiana rendendo comprensibili concetti elevati. La Chiesa “esperta di umanità”, come scrisse Paolo VI nella Populorum progressio , dimostra di saper accompagnare l’uomo nel suo cammino di consapevolezza di sé e di potergli offrire una lettura del vissuto esistenziale ed esperienziale che prende luce dalla fede per svelare la profondità che abita il suo cuore. La cultura materialista dominante ha capovolto il senso di quello che il Papa pone come il secondo aspetto fondamentale della pedagogia del desiderio, il “non accontentarsi mai di quanto si è raggiunto”. Questo principio, infatti, oggi si traduce spesso in arrivismo o in un’ insoddisfazione vorace, proprio per una conoscenza distorta della natura umana. In realtà, è solo “perché nulla di finito può colmare il nostro cuore” che nulla ci soddisfa e “anche le gioie più vere sono capaci di liberare in noi quella sana inquietudine che porta ad essere più esigenti –volere un bene più alto, più profondo –. Il desiderio è il luogo in cui si gioca la libertà dell’uomo e in cui si esprime la domanda della felicità. Esso ci protende verso il futuro e nel suo dinamismo “è sempre aperto alla redenzione. Tutti abbiamo bisogno di percorrere un cammino di purificazione e di guarigione del desiderio”. Il desiderio si trova spesso imbrigliato in una logica di possesso o di chiusura da cui occorre liberarsi per non soffocare dentro ciò che desideriamo ostinatamente nell’illusione che ci compia. Infatti, “nemmeno la persona amata è in grado di soddisfare il desiderio che alberga nel cuore dell’uomo, anzi, tanto più è autentico l’amore per l’altro, tanto più lascia dischiudere l’interrogativo sulla sua origine e sul suo destino”. Accorgersi e accettare che il desiderio debba essere guarito dall’egoismo e purificato per tendere al vero bene, ci fa trovare “disarmati verso quel bene che non possiamo costruire o procurarci con le nostre forze” perché l’esistenza dell’uomo è un mistero. E’ proprio in questo essere “disarmati” che sta la possibilità della libertà. Pertanto “quando nel desiderio si apre la finestra verso Dio, questo è già segno della presenza della fede nell’animo”. Così, il desiderio, sorretto dalla fede – cioè dal riconoscimento della Presenza di Dio –, è profondamente legato alla speranza perché poggia sulla certezza che la risposta alle proprie esigenze e ai desideri del proprio cuore, c’è. Non siamo destinati a desiderare e a sperare invano. Tanto più sapremo riconoscere “che il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio”, tanto più il nostro rapporto con la realtà potrà diventare ricco e fruttuoso. Dio, infatti, “che non cessa di attirare a sé l’uomo”, gli offrirà “la felicità che cerca senza posa”, permettendo che nulla di ciò che l’uomo ama vada perso.
 da http://www.culturacattolica.it

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