domenica 18 novembre 2012

«La salute, non merce ma bene universale»


Il Papa agli operatori sanitari: vivete la scienza cristiana della sofferenza.
il testo integrale del discorso tenuto ieri da Benedetto XVI nell’Aula Pao­lo VI durante l’udienza con i partecipanti al­la  XXVII Conferenza internazionale orga­nizzata dal Pontificio Consiglio per gli ope­ratori sanitari 


 Signori cardinali, venerati fratelli nell’e­piscopato e nel sacerdozio, cari fratel­li e sorelle! 
Vi do il mio caloroso ben­venuto! Ringrazio il presidente del Pontifi­cio Consiglio per gli operatori sanitari, mon­signor Zygmunt Zimowski, per le cortesi pa­role; saluto gli illustri relatori e tutti i pre­senti. Il tema della vostra Conferenza – «L’O­spedale, luogo di evangelizzazione: missio­ne umana e spirituale» – mi offre l’occasio­ne di estendere il mio saluto a tutti gli ope­ratori sanitari, in particolare ai membri del­l’Associazione dei medici cattolici italiani e della Federazione europea delle associa­zioni mediche cattoliche, che, presso l’U­niversità Cattolica del Sacro Cuore di Ro­ma, hanno riflettuto sul tema «Bioetica ed Europa cristiana». Saluto inoltre i malati presenti, i loro familiari, i cappellani e i vo­lontari, i membri delle associazioni, in par­ticolare dell’Unitalsi, gli studenti delle Fa­coltà di medicina e chirurgia e dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.

  La Chiesa si rivolge sempre con lo stesso spirito di fraterna condivisione a quanti vi­vono l’esperienza del dolore, animata dal­lo Spirito di colui che, con la potenza del­l’amore, ha ridato senso e dignità al miste­ro della sofferenza. A queste persone il Con­cilio Vaticano II ha detto: non siete «né ab­bandonati, né inutili», perché, uniti alla Cro­ce di Cristo, contribuite alla sua opera sal­vifica (cfr Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti, 8 dicembre 1965). E con gli stes­si accenti di speranza, la Chiesa interpella anche i professionisti e i volontari della sa­nità. La vostra è una singolare vocazione, che necessita di studio, di sensibilità e di e­sperienza. Tuttavia, a chi sceglie di lavora­re nel mondo della sofferenza vivendo la propria attività come una «missione uma­na e spirituale» è richiesta una competen­za ulteriore, che va al di là dei titoli accade­mici. Si tratta della «scienza cristiana della sofferenza», indicata esplicitamente dal Concilio come «la sola verità capace di ri­spondere al mistero della sofferenza» e di ar­recare a chi è nella malattia «un sollievo sen­za illusioni»: «Non è in nostro potere – dice il Concilio – procurarvi la salute corporale, né la diminuzione dei vostri dolori fisici... Abbiamo però qualche cosa di più prezio­so e di più profondo da darvi... Il Cristo non ha soppresso la sofferenza; non ha neppu­re voluto svelarcene interamente il miste- ro: l’ha presa su di sé, e questo basta perché ne comprendiamo tutto il valore» ( ibid. ). Di questa «scienza cristiana della sofferenza» siate degli esperti qualificati! Il vostro esse­re cattolici, senza timore, vi dà una mag­giore responsabilità nell’ambito della so­cietà e della Chiesa: si tratta di una vera vo­cazione, come recentemente testimoniato da figure esemplari quali san Giuseppe Mo­scati, san Riccardo Pampuri, santa Gianna Beretta Molla, santa Anna Schäffer e il ser­vo di Dio Jérôme Lejeune. questo un impegno di nuova evan­gelizzazione anche in tempi di crisi e­conomica che sottrae risorse alla tu­tela della salute. Proprio in tale contesto, o­spedali e strutture di assistenza debbono ripensare il proprio ruolo per evitare che la salute, anziché un bene universale da assi­curare e difendere, diventi una semplice «merce» sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi. Non può essere mai dimenticata l’attenzione parti­colare dovuta alla dignità della persona sof­ferente, applicando anche nell’ambito del­le politiche sanitarie il principio di sussi­diarietà e quello di solidarietà (cfr Enc. Ca­ritas in veritate , 58). Oggi, se da un lato, a motivo dei progressi nel campo tecnico­scientifico, aumenta la capacità di guarire fisicamente chi è malato, dall’altro appare indebolirsi la capacità di «prendersi cura» della persona sofferente, considerata nella sua integralità e unicità. Sembrano quindi offuscarsi gli orizzonti etici della scienza medica, che rischia di dimenticare come la sua vocazione sia servire ogni uomo e tut­to l’uomo, nelle diverse fasi della sua esi­stenza. È auspicabile che il linguaggio del­la «scienza cristiana della sofferenza» – cui appartengono la compassione, la solida­rietà, la condivisione, l’abnegazione, la gra­tuità, il dono di sé – diventi il lessico uni­versale di quanti operano nel campo del­l’assistenza sanitaria. È il linguaggio del Buon Samaritano della parabola evangeli­ca, che può essere considerata – secondo il beato Papa Giovanni Paolo II – «una delle componenti essenziali della cultura mora­le e della civiltà universalmente umana» (Lett. ap. Salvifici doloris, 29). In questa pr­o­È spettiva gli ospedali vanno considerati co­me luogo privilegiato di evangelizzazione, perché dove la Chiesa si fa «veicolo della presenza di Dio» diventa al tempo stesso «strumento di una vera umanizzazione del­l’uomo e del mondo» (Congr. per la Dottri­na della Fede, Nota dottrinale su alcuni a­spetti dell’evange­lizzazione, 9). Solo avendo ben chiaro che al centro del­l’attività medica e assistenziale c’è il benessere dell’uo­mo nella sua con­dizione più fragile e indifesa, dell’uomo al­la ricerca di senso dinanzi al mistero in­sondabile del dolore, si può concepire l’o­spedale come «luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cat­tedra e il volto dell’uomo sofferente il volto stesso di Cristo» ( Discorso all’Università Cat­tolica del Sacro Cuore di Roma , 3 maggio 2012).
  C ari amici, questa assistenza sanante ed evangelizzatrice è il compito che sempre vi attende. Ora più che mai la nostra società ha bisogno di «buoni samaritani» dal cuore generoso e dalle braccia spa­lancate a tutti, nel­la consapevolezza che «la misura del­l’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente» (Enc. Spe salvi, 38). Questo «andare oltre» l’approccio clinico vi apre alla dimensione della trascendenza, verso la quale un ruolo fondamentale è svolto dai cappellani e da­gli assistenti religiosi. A loro compete in pri- mo luogo di far trasparire nel variegato pa­norama sanitario, anche nel mistero della sofferenza, la gloria del Crocifisso Risorto.
  U n’ultima parola desidero riservare a voi, cari malati. La vostra silenziosa testimonianza è un efficace segno e strumento di evangelizzazione per le per­sone che vi curano e per le vostre famiglie, nella certezza che «nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perdu­ta davanti a Dio» ( Angelus , 1° febbraio 2009). Voi «siete i fratelli del Cristo sofferente; e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo!» (Conc. Vat. II, Messaggio ).
  Mentre affido voi tutti alla Vergine Maria, 
 Salus Infirmorum, perché guidi i vostri pas­si e vi renda sempre testimoni operosi e in­stancabili della scienza cristiana della sof­ferenza, vi imparto di cuore la benedizione apostolica. 
 Benedetto XVI 


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