mercoledì 22 ottobre 2014

Perché non dobbiamo abbandonare i giovani allo Stato e alla scuola

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Caro padre Aldo, ieri una ragazza di 15 anni, figlia di un mio amico, si è tolta la vita. Non so perché lo ha fatto, non so cosa l’ha spinta, ma mi ha fatto pensare a come vedo vivere tanti ragazzi che, rifiutando la realtà in cui vivono, sottovalutando l’importanza di avere amici veri, non conoscendo l’importanza di avere punti di riferimento certi, rifiutano la realtà e vivono nella speranza di “apparire”. Vedo ragazzi che passano i giorni senza stimoli, senza ideali, annegando nella banalità. Penso che un primo modo di rispondere all’inevitabile, umana esigenza di aiutarli sia quello di fare un lavoro su di me, per essere sempre più vero. E poi?Luigi
Don Giussani, già 60 anni fa, aveva intuito che il problema più importante nella vita e della vita è l’educazione che lui definiva come la capacità dell’educatore di introdurre l’educando nella conoscenza della realtà nella sua totalità. Il problema non sono i ragazzi, ma la mancanza di “punti di riferimento certi”. I ragazzi oggi come ieri sono assetati di senso della vita. Il loro cuore come quello di ogni uomo vibra del desiderio di sapere se la vita vale la pena viverla o è una passione inutile. Se questa vibrazione non incontra un volto in cui nitidamente si legge ciò che il ragazzo cerca, inevitabilmente si trasforma in disperazione o viene appiattita dallo smog di quella mentalità nichilista che tutti respiriamo. Il gesto di quella ragazza mi ha provocato a riprendere sempre più coscienza della mia responsabilità educativa. Tutti i giorni quando vado nelle 3 case che accolgono più di 50 bambini e ragazzi, vedo nei loro sguardi una sete impressionante di appartenenza. È evidente la loro esigenza di avere un punto da guardare. Ma un punto fisso come il papà, la mamma o un educatore non si inventa, non si costruisce a tavolino, è il frutto di un avvenimento che entra nella vita di una persona, la cambia e la rende attrattiva per gli altri.
Tutti si lamentano dell’inesistenza della famiglia e di una scuola a pezzi. Lo ascolto tutti i giorni dai miei ragazzi messi al mondo per istinto e poi abbandonati. Ma penso anche a quei bambini che rimangono soli perché i genitori, la madre soprattutto, non fanno altro che lavorare. Come possono rispondere al grido di affetto dei propri figli? A mio giudizio, guardando la mia esperienza, non bastano alcune ore della settimana per stare con i propri figli. Se io non vivessi con i miei bambini e stessi solo alcune ore con loro, non si sentirebbero voluti bene.
Mia madre è sempre stata con me e i miei fratelli e quando doveva andare al campo a lavorare ci portava con sé. Mio padre è dovuto emigrare. Nella loro semplicità ci hanno insegnato una cosa molto importante: la madre deve essere madre e dare ai figli l’affetto e il tempo di cui hanno bisogno. Se Dio mi avesse chiamato al matrimonio, io sarei andato a lavorare anche 24 ore al giorno pur di lasciare la mia sposa a casa con i figli.
Non si può mettere al mondo un figlio e poi consegnarlo alla Stato o alle scuole private. Solamente nel caso di vere difficoltà economiche non vedo alternativa per cui è necessario che anche la moglie vada a lavorare. La questione che voglio segnalare è la mentalità femminista che è entrata anche nelle famiglie più belle che conosco, per cui se una donna non ha un titolo universitario e non lavora fuori casa non si sente realizzata. La crisi dei figli adolescenti è sempre affettiva, cioè di appartenenza. Hanno bisogno di un calore umano vivendo in un mondo freddo.
Gabriele è un ragazzo di 15 anni. Non ha né padre, né madre. È con noi da 7 anni. È arrabbiato con la vita e per questo reagisce violentemente ad ogni richiamo. Alcune settimane fa dopo l’ennesima stupidaggine gli ho detto che nessuno lo costringeva a rimanere con noi. Così se n’è andato. Il dramma di un padre sta tutto nel saper rischiare sulla libertà del figlio. Ho pregato per lui, perché non facesse una brutta fine. Ed è tornato. Che bello che esista un posto da cui poter fuggire, ma dove puoi sempre tornare e trovare qualcuno che quando hai paura ti prende per mano.
paldo.trento@gmail.com

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