martedì 9 settembre 2014

Suore uccise in Burundi. P. Marano: testimonianza dà fastidio, ma è seme di vita


Le tre suore saveriane uccise in Burundi saranno sepolte nei pressi della città di Bukavu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, nel cimitero di Panzi, vicino ad altri missionari che sono morti o sono stati uccisi in questa regione. Le prime celebrazioni si apriranno domani mattina alle nove a Bujumbura; le salme saranno poi trasportate giovedì mattina a Bukavu, passando per Luvungi. In questa missione, dove le suore hanno speso parte della loro opera missionaria, si sta preparando una lunga Veglia notturna per celebrare la loro presenza instancabile in favore delle comunità locali. Papa Francesco, nel suo messaggio di cordoglio, ha ricordato il loro amore per l’Africa, auspicando che il “sangue versato” sia “seme di fratellanza”. Proprio sui frutti che possono nascere dalla testimonianza, semplice ed eroica, delle tre suore, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Bujumbura il missionario saveriano padre Claudio Marano, da oltre 20 anni in Burundi come responsabile del Centro giovanile di Kamenge:
R. – Sembrerà strano, ma meritiamo lo stesso trattamento che merita la gente. Siamo talmente inseriti, con i nostri fratelli del Burundi, che meritiamo lo stesso trattamento che è riservato alla gente. Qui è giornaliero il fatto che c’è gente che sparisce, gente che si trova nel lago, gente che non ha futuro, gente che viene messa in prigione perché dice una parola, gente che viene obbligata a dire cose che non sono poi vere, etc. E questo avvenimento ci porta ancora a questo fatto: al fatto che noi stranieri, noi fratelli, noi che siamo qui, che viviamo qui con loro, noi abbiamo meritato e meritiamo lo stesso trattamento che è riservato alla popolazione. Sono cose che fanno pensare parecchio, fanno pensare alla gente del Burundi. Dobbiamo arrivare assolutamente alla pace, dobbiamo far sì che tutti quanti siamo pronti anche a dare il sangue per arrivare alla pace.
D. – Papa Francesco nel messaggio di cordoglio per le tre missionarie diceva: “Questo sangue sia seme di fratellanza”…
R. – Esattamente, questo è il messaggio che viene dato. Io vivo con i giovani qui al Centre Jeunes Kamenge e sono migliaia ogni giorno che vengono, qui, e sono attoniti per questo avvenimento. Ma nello stesso tempo li vedo sufficientemente sereni. Io parlo spesso del fatto di donare la propria vita per migliorare il mondo. Bisogna arrivare a questa conclusione perché se abbiamo paura, se non parliamo, se non agiamo, etc., etc., non riusciremo mai a risolvere il problema. Il dono di queste tre sorelle è molto grande. Chi è stato? Sono ancora tutte cose da chiarire e non verranno mai chiarite, passati cinque minuti ritorna tutto nella normalità. Si tratta di tre sorelle che hanno vissuto, dato la loro vita per l’Africa. Tre sorelle che erano anziane, che non facevano niente, nel senso che non avevano un compito specifico ma avevano il servizio di andare a trovare gli ammalati, il servizio della carità, il servire alla parrocchia e davano tutte loro stesse ed erano tutto il giorno in giro a fare qualcosa. E sono state ammazzate. Anche noi è capitato abbastanza spesso che gli animatori sono stati ammazzati da gente che era loro amica, da pazzi, che poi quando era il momento di riuscire a scoprire il mandante nessuno mai l’ha scoperto. Perché ci sono dei mandanti, perché durante la guerra qui si tace del divertimento di partire dal centro città, di andare nei quartieri a pagare una persona o l’altra per far fuori una persona o l’altra. E’ così.
D. – E’ già solo la presenza, già solo la testimonianza che fa scandalo e dà fastidio a molti?
R. – Esattamente. Perché testimoniare la pace, vivere la fraternità dà fastidio. In un Paese dove oggi, per esempio, chi è al governo non vuole parlare con l’opposizione, l’opposizione non vuole parlare con il governo e tutti quanti ne soffrono e le prigioni sono piene, la gente scappa all’estero, in un Paese così, ci sono persone che perdono la loro vita, che danno la loro vita, che sono là, presenti, per parlare di pace. “Rompono le scatole”, chiaramente. Noi qui nei quartieri nord siamo veramente visés (puntati), nel senso che siamo lì, siamo 10, 12 bianchi in mezzo a quartieri talmente poveri, talmente umili e talmente disagiati, che qualcuno, se potesse prenderci e tirarci col kalashnikov, lo farebbe volentieri.

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