venerdì 19 settembre 2014

Il Papa: la gente ferita ci chiede vicinanza


"Ho detto alcune volte che la chiesa mi sembra un ospedale da campo: tanta gente ferita, e chiedono a noi vicinanza, chiedono a noi quello che chiedevano a Gesù: vicinanza, prossimità, e con questo atteggiamento degli scribi, dottori della legge e farisei mai, mai, faremo una testimonianza di vicinanza".

Il Papa, a braccio, ha insistito su una evangelizzazione di "attenzione e prossimità", che si guardi da ipocrisie e abitudini codificate, incontrando in aula Paolo VI in Vaticano circa duemila tra catechisti e operatori pastorali, laici e religiosi, di 60 Paesi del mondo, che da ieri a domani prendono parte a un convegno organizzato dal Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, e intitolato "Il progetto pastorale della Evangelii Gaudium". 

Dopo il saluto del presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, mons. Rino Fisichella e prima di cominciare il suo discorso, il Papa ha protesto il braccio verso la sala, come volesse chiudere in un solo abbraccio e le persone e la scultura della Risurrezione di Pericle Fazzini, che troneggia sullo sfondo dell'aula. E ha detto: "anche ringrazio per la bellezza, questa bellezza, la bellezza di questa cornice di vita".

"Non abbiamo la 'bacchetta magicà per tutto" ma "la fiducia del Signore non ci abbandona mai" e il suo aiuto "ci viene dato, in primo luogo, da quanti sono da noi avvicinati e sostenuti", è stata la riflessione conclusiva offerta ai partecipanti, tra cui anche diversi vescovi ed ecclesiastici. Nel discorso molti echi della Evangelii Gaudium, una sorta di documento programmatico del pontificato, testo forte in cui il papa latinoamericano chiede una chiesa in uscita, che cammini in primo luogo verso le periferie. Papa Bergoglio stasera ha esordito ricordando che "evangelizzare fa parte della missione principale della Chiesa, ma ci sono dei momenti in cui questa missione diventa più urgente e la nostra responsabilità ha bisogno di essere ravvivata". 

Altri aspetti su cui si è soffermato: la presenza comunque di "tanti segni che danno speranza e danno coraggio" pur "in mezzo a realtà negative, che sempre fanno più rumore"; il "rischio di spaventarci e di ripiegarci su noi stessi in atteggiamento di paura e difesa", atteggiamento "da cui nasce la tentazione della sufficienza e del clericalismo, quel codificare la fede - ha detto il Pontefice - in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della legge al tempo di Gesù. Avremo tutto chiaro, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca continuerà ad avere fame e sete di Dio".

E a questo punto ha inserito la considerazione a braccio sulla prossimità richiesta dai "feriti" nell'"ospedale da campo", a cui non si può guardare con atteggiamento farisaico. Papa Francesco ha anche invitato i pastori a "uscire in diverse ore del giorno per andare ad incontrare quanti sono in ricerca del Signore, a raggiungere i più deboli e i più disagiati per dare loro il sostegno di sentirsi utili nella vigna del Signore, fosse anche per un'ora soltanto".  Sollevando gli occhi dal testo, si è fermato, ha guardato a lungo l'orologio con aria divertita e ha aggiunto: "non sono ancora le cinque del pomeriggio", "allora abbiamo ancora tempo che Gesù venga a trovarci". 

Infine l'invito a "fuggire la voce delle sirene che chiamano a fare della pastorale una convulsa serie di iniziative, senza riuscire a cogliere l'essenziale dell'impegno di evangelizzazione": "una pastorale senza preghiera e contemplazione non potrà mai raggiungere il cuore delle persone". "Facciamo il bene - ha concluso papa Francesco - ma senza aspettarci ricompensa".

Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio. 
Sono contento di prendere parte ai vostri lavori e ringrazio Mons. Rino Fisichella per la sua introduzione. Voi lavorate nella pastorale in diverse Chiese del mondo, e vi siete riuniti per riflettere insieme sul progetto pastorale della Evangelii gaudium. In effetti io stesso ho scritto che questo documento ha un “significato programmatico e dalle conseguenze importanti” (n. 25). E non potrebbe essere altrimenti quando si tratta della missione principale della Chiesa, cioè evangelizzare! Ci sono dei momenti, però, in cui questa missione diventa più urgente e la nostra responsabilità ha bisogno di essere ravvivata. Mi vengono in mente, anzitutto, le parole del Vangelo di Matteo dove si dice che Gesù «vedendo le folle, ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (9,36). Quante persone, nelle tante periferie esistenziali dei nostri giorni, sono “stanche e sfinite” e attendono la Chiesa, attendono noi! Come poterle raggiungere? Come condividere con loro l’esperienza della fede, l’amore di Dio, l’incontro con Gesù? E’ questa la responsabilità delle nostre comunità e della nostra pastorale.

Il Papa non ha il compito di «offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea» (Evangelii gaudium, 51), ma invita tutta la Chiesa a cogliere i segni dei tempi che il Signore ci offre senza sosta. Quanti segni sono presenti nelle nostre comunità e quante possibilità il Signore ci pone dinanzi per riconoscere la sua presenza nel mondo di oggi! In mezzo a realtà negative, che come sempre fanno più rumore, noi vediamo anche tanti segni che infondono speranza e danno coraggio. Questi segni, come dice la Gaudium et spes, devono essere riletti alla luce del Vangelo (cfrn n. 4 e 44): questo è il “tempo favorevole” (cfr 2 Cor 6,2), è il momento dell’impegno concreto, è il contesto dentro il quale siamo chiamati a lavorare per far crescere il Regno di Dio (cfr Gv 4, 35-36).
 
Quanta povertà e solitudine purtroppo vediamo nel mondo di oggi! Quante persone vivono in grande sofferenza e chiedono alla Chiesa di essere segno della vicinanza, della bontà, della solidarietà e della misericordia del Signore. Questo è un compito che in modo particolare spetta a quanti hanno la responsabilità della pastorale: al vescovo nella sua diocesi, al parroco nella sua parrocchia, ai diaconi nel servizio alla carità, ai catechisti e alle catechiste nel loro ministero di trasmettere la fede… Insomma, quanti sono impegnati nei diversi ambiti della pastorale sono chiamati a riconoscere e leggere questi segni dei tempi per dare una risposta saggia e generosa. Davanti a tante esigenze pastorali, davanti a tante richieste di uomini e donne, corriamo il rischio di spaventarci e di ripiegarci su noi stessi in atteggiamento di paura e difesa. E da lì nasce la tentazione della sufficienza e del clericalismo, quel codificare la fede in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della legge del tempo di Gesù. Avremo tutto chiaro, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca continuerà ad avere fame e sete di Dio. C’è una seconda parola che mi fa riflettere.
 
Quando Gesù racconta del padrone di una vigna che, avendo bisogno di operai, uscì di casa in diverse ore del giorno per chiamare lavoratori nella sua vigna (cfr Mt 20,1-16). Non è uscito una sola volta. Nella parabola Gesù dice che è uscito almeno cinque volte: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. C’era tanto bisogno nella vigna e questo signore ha passato quasi tutto il tempo per andare nelle strade e nelle piazze del paese a cercare operai. Pensate a quelli dell’ultima ora: nessuno li aveva chiamati; chissà come si potevano sentire, perché alla fine della giornata non avrebbero portato a casa niente per sfamare i loro figli. Ecco, quanti sono responsabili della pastorale possono trovare un bell’esempio in questa parabola. Uscire in diverse ore del giorno per andare ad incontrare quanti sono in ricerca del Signore.
 
Raggiungere i più deboli e i più disagiati per dare loro il sostegno di sentirsi utili nella vigna del Signore, fosse anche per un’ora soltanto. Un altro aspetto: non rincorriamo, per favore, la voce delle sirene che chiamano a fare della pastorale una convulsa serie di iniziative, senza riuscire a cogliere l’essenziale dell’impegno di evangelizzazione.
 
A volte sembra che siamo più preoccupati di moltiplicare le attività piuttosto che essere attenti alle persone e al loro incontro con Dio. Una pastorale che non ha questa attenzione diventa poco alla volta sterile. Non dimentichiamo di fare come Gesù con i suoi discepoli: dopo che questi erano andati nei villaggi per portare l’annuncio del Vangelo, ritornarono contenti per i loro successi;ma Gesù li prende in disparte, in un luogo solitario per stare un po’ insieme con loro (cfr Mc 6,31).
 
Una pastorale senza preghiera e contemplazione non potrà mai raggiungere il cuore delle persone. Si fermerà alla superficie senza consentire che il seme della Parola di Dio possa attecchire, germogliare, crescere e portare frutto (cfr Mt 13, 1-23). So che tutti voi lavorate molto, e per questo voglio lasciarvi un’ultima parola importante: pazienza. Pazienza e perseveranza. Non abbiamo la “bacchetta magica” per tutto, ma possediamo la fiducia nel Signore che ci accompagna e non ci abbandona mai. Nelle difficoltà come nelle delusioni che sono presenti non di rado nel nostro lavoro pastorale, abbiamo bisogno di non venire mai meno nella fiducia nel Signore e nella preghiera che la sostiene. Non dimentichiamo, comunque, che l’aiuto ci viene dato, in primo luogo, proprio da quanti sono da noi avvicinati e sostenuti. Facciamo il bene, ma senza aspettarci la ricompensa. Seminiamo e diamo testimonianza. La testimonianza è l’inizio di un’evangelizzazione che tocca il cuore e lo trasforma. Grazie del vostro impegno! Vi benedico e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
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