martedì 16 settembre 2014

Quel desiderio di risentire la campanella

Si può attendere il rientro in classe dopo la fine dell'estate? Oltre 300 professori, italiani e non, rispondono di sì. Perché la scoperta di sé, a volte, si gioca proprio partendo dalla cattedra.
Vacanze, tempo di libertà, tempo in cui siamo stati sfidati dalla stessa domanda che Gesù ha rivolto ai primi che, pieni d’attesa, l'hanno seguito: «Che cosa cercate?».

La stessa provocazione ha mosso trecento insegnanti delle medie inferiori e superiori, provenienti da tutta Italia, da Madrid e da Parigi, ad incontrarsi domenica mattina, 7 settembre, per l’Equipe del Cle (Comunione e Liberazione Educatori). Un’assemblea guidata da Alberto Bonfanti e Davide Prosperi sul tema: «Che cosa cerchiamo entrando in classe, stando con i ragazzi e i colleghi e vivendo tutte le provocazioni che la realtà non ci risparmia?».

«Vedendovi arrivare da lontano, sono pieno di gratitudine perché chi viene qui è sempre con una domanda, desideroso di essere aiutato», ha introdotto Alberto ripercorrendo il cammino fatto insieme in questi ultimi anni, poggiato sull’affermazione che il «responsabile del Cle è l’adulto del movimento. Viviamo lo stesso cammino che don Carrón sta facendo fare a tutti, lo viviamo nel nostro lavoro, che è il compito educativo. Siamo in prima linea in questo mondo in trasformazione, come ci ha richiamato il Papa: “Un mondo in così rapida trasformazione chiede ai cristiani di essere disponibili a cercare forme o modi per comunicare con un linguaggio comprensibile la perenne novità del cristianesimo”».

Un gesto atteso e desiderato che, come ha ricordato Davide reagendo al primo dei tanti interventi, nasce dalla coscienza di ognuno che «siamo nel mondo», cioè che viviamo le stesse provocazioni, la stessa confusione, gli stessi drammi degli uomini del nostro tempo, e che quello che siamo si vede stando nel mondo, non difendendoci dal mondo. Non siamo del mondo, e perché questo accada educativamente anche per i ragazzi occorre che accettiamo la sfida.

È stata una mattina di lavoro insieme per vedere come insegnare coincide con la riscoperta del proprio io, del nostro bisogno più vero, come detto nei tanti interventi, che ci rende liberi nell’essere proposta ai ragazzi che incontriamo. Ha ricordato Davide che «l’inizio di tutto è in una scelta che non è nostra, l’inizio è nell’essere scelti. La certezza che nasce dalla coscienza di essere voluti detta il metodo: siamo chiamati anche noi a preferire, preferire innanzitutto Chi ci ha scelto. Tutto allora diventa segno di questa Presenza e l’istante acquista un’intensità inimmaginabile. E noi siamo pronti e non esiteremmo a dare la vita per questa storia e per il compito che ha messo nella nostra vita. E questo ci fa sentire uno spessore della vita che è grande perché uno capisce che la vita è sacrificio, nel senso che la rende sacra, destinata a una grandezza. Ma questo è ancora un’introduzione, non è ancora tutto del compito che l’essere scelti mette nella vita. Questo perché uno può accorgersi che il grande sacrificio è amare “l’Amore della vita”, amarLo, amare questa Presenza nel come e nel quando lo chiede».

Un sì che nasce dalla gratitudine che ciascuno sente per una preferenza su di sé che non misura quello che sei in base a ciò che sei capace di fare, ma che ti raggiunge, come ha detto Mariella raccontando l’inizio di Gs nella sua scuola. «Esigenza irrimandabile del mio lavoro», attraverso un luogo dove puoi fare domande, come quella di un ragazzo tempo fa: «Prof, esiste un’alternativa tra la tristezza della solitudine e la delusione della compagnia?». E conclude Mariella: «Il modo con cui il cuore intuisce la risposta è un luogo dove può fare le domande. Da questo ragazzo è nato Gs».

Allora in un mondo che va a rotoli è ancora possibile educare? «Il primo fattore di cambiamento nella mia scuola è stato che ho dato credito totale al cuore», ha detto Roberto.

«Il cuore dell'uomo è tutto quello che ha e non può essere ridotto, qualunque sia la condizione che si trova ad affrontare; e se è cosciente di essere desiderato, la realtà diventa occasione per rispondere come e dove siamo chiamati», ha continuato Davide: «Quello che domina non è più quello che accade, ma domina una Presenza attraverso quello che accade».

Il cammino di verifica che inizia è la possibilità di sperimentare il centuplo. Quello che accade non è qualcosa da aggirare, ma il luogo dell’incontro col Mistero che fa tutte le cose. È una disponibilità che ti rende più libero e che dà gusto a tutto, come hanno raccontato Elena, Marta, Massimo, Rachele, Gianni.

Allora con Gaber, di cui abbiamo cantato all’inizio dell’assemblea L’illogica allegria, è possibile dire: «Mi sono preso il diritto di vivere il presente». Il rapporto con i ragazzi diviene così il luogo di una proposta integrale, cioè, non puoi proporre se non quello che ti convince. E così ti commuovi per il destino tuo e dell’altro che ti è stato consegnato, ha detto Sara. La scuola è una circostanza che si può abbracciare.

Tanti interventi hanno testimoniato che, nella verifica quotidiana della strada, è possibile che la scuola, con le sue provocazioni spesso drammatiche, diventi possibilità di una scoperta di sé dentro le discipline. Dal metterci il cuore nella spiegazione sulla Seconda Guerra mondiale, al lavoro su Dio a partire dalla provocazione di Feuerbach. O ancora, i volti delle persone che incontri, fosse anche l’alunno che esprime il desiderio del cuore attraverso una ribellione, o in situazioni di grave dolore con i tentativi di superare questo dolore con l’alcol, le droghe, fino all’autolesionismo, come hanno raccontato Franca e Laura. «Leggere così il reale, partendo dal desiderio del cuore dei nostri ragazzi, non è immediato», ha incalzato Prosperi. «Uno potrebbe pensare di ridurre tutto a patologia o alla scelta di strategie più adeguate. Il cuore, invece, ti mette insieme ai ragazzi che ti sono affidati, perché quello che risponde al loro cuore è quello che risponde anche al nostro».

Educare è, così, comunicare sé e il proprio modo di guardare il reale: «La grandezza del nostro compito» ha sottolineato Alberto, «ci costringe a scoprire il nostro bisogno più vero, genera domande che bisogna portare dentro e non stroncare subito con risposte inadeguate, come spesso facciamo con i nostri ragazzi. Scopo del lavoro insieme tra noi è aizzarci all’autocoscienza in un’amicizia attiva e capillare, espressione di quello che ricordava don Giussani a Viterbo nel 1977: “Non che cosa devo fare, ma io chi sono?”. E in quest’amicizia operativa consiste il Cle, perché ci siamo scoperti bisognosi della comunione dal di dentro dell’esperienza: per poter educare bisogna continuamente essere educati, ed essendo l’educazione una generazione non si può generare da soli».

Un’amicizia, appunto, per stare nel mondo e non difenderci dal mondo, per scoprire il legame più vero perché «quello che più smarrisce», ha concluso Davide ricordando l’episodio di Gesù nel Getzemani che, ricercando i suoi, li trova addormentati, «è la solitudine. Il Padre non gli stava risparmiando neanche questo “perché i loro occhi si erano fatti pesanti”, dice il Vangelo, quasi a giustificarli perché ciò stava avvenendo oltre la loro volontà. Non c’è compagnia più grande che può riempire questo vuoto che l’abbandono al rapporto col Padre. Non c’è centuplo nella vita senza questa decisione ultima davanti al destino, abbracciandolo nell’obbedienza al Padre, perché questo è quello che genera noi, ovvero genera una certezza nuova in noi e Lui da questa disponibilità genererà quello che Lui vorrà fare».

Una giornata di lavoro che ci fa tornare a casa col desiderio di salire i gradini della nostra scuola per portare a tutti Chi solo può compiere il nostro cuore e incontrarLo proprio lì, nel come e dove si presenta.
  http://www.tracce.it/-Stefano Giorgi

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