martedì 9 settembre 2014

Aiutare la famiglia per fermare il declino

Famiglia
Qualche sicurezza possiamo averla. In senso meteorologico stiamo dando addio all’estate per affrontare prima l’autunno e poi l’inverno. Ma già se scendiamo nei particolari le certezze lasciano il posto prima alle previsioni,
poi agli auspici.
Per l’economia siamo allo stesso livello: di sicuro c’è solo che siamo ancora in piena stagnazione, che la disoccupazione non accenna a diminuire, che l’Italia si trova sempre nelle ultime posizioni per produttività del lavoro e competitività delle imprese. Ma se cerchiamo di andare a fondo dei problemi, subito ci si accorge di due elementi: da una parte le analisi continuano a ricalcare i vecchi schemi pre-terzomillennio come se le tre grandi rivoluzioni della globalizzazione, della tecnologia e della demografia fossero solo fuggevoli passaggi nuvolosi; dall’altra che le ricette per affrontare la crisi ripetono vecchi modelli di intervento, talvolta drammaticamente uguali a quelli che hanno provocato la stessa crisi.
Si potrebbe fare un lungo elenco di studi e interventi che hanno animato il dibattito nelle ultime settimane: difficilmente si riesce a trovare un pensiero di novità. Guardiamo, solo per fare un esempio all’analisi, peraltro molto interessante, pubblicata nei giorni scorsi dall’autorevole ufficio studi della Confesercenti, l’organizzazione che riunisce soprattutto negozianti e piccoli commercianti, con la consulenza degli autorevoli economisti di Ref. Dopo aver accennato, giustamente, ai ritardi italiani nell’innovazione tecnologica, il rapporto afferma: “alle difficoltà di natura strutturale, che condizionano la crescita potenziale del paese, si aggiungono da alcuni anni i problemi di domanda. Il sistema è caduto in una condizione di ampio deficit di domanda aggregata a seguito della crisi del credito e degli sforzi di correzione fiscale messi in atto durante gli anni passati”.
A parte il fatto che essendo redatto da economisti che pensano in inglese e scrivono in italiano si parla di “correzione fiscale” all’americana per indicare la politica di bilancio e quindi sia le tasse, sia la spesa pubblica, spicca l’assoluta mancanza della vera motivazione strutturale del calo della domanda e cioè l’effetto demografia.
Eppure proprio l’organizzazione che più è vicina ai negozi e alle botteghe, e quindi ha un contatto diretto con i consumatori, dovrebbe almeno percepire che il calo dei consumi non può che dipendere anche dalla diminuzione delle nascite (514mila nel 2013, il dieci per cento in meno rispetto al 2008 ed esattamente la metà rispetto al 1964 quando si era superata quota un milione).
I consumi calano e l’edilizia è sempre più in crisi per un cambiamento strutturale della popolazione, un cambiamento certamente scomodo da analizzare perché richiederebbe di riflesso interventi considerati ormai politicamente scorretti, come la valorizzazione e la difesa della famiglia naturale.
E allora via con le solite ricette: tagli alla spesa pubblica, provocando una sempre minore efficienza della pubblica amministrazione, credito facile per le imprese, un credito che per mancanza di prospettive di crescita si indirizza a nuove pericolose bolle finanziare, bonus per i redditi bassi, sicuramente una misura positiva a cui andrebbe tuttavia affiancato un bonus per il merito (vero) e la professionalità.
Diceva Einstein che non si risolvono i problemi nuovi con le vecchie ricette. Ma la politica economica è ancora schiava dei tradizionali schemi che guardano agli effetti e non badano alle cause, che guadano agli strumenti, come il denaro, e non si curano di chi è il vero protagonista e cioè la persona e soprattutto quella dimensione fondamentale che è la famiglia. Gianfranco Fabi

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