lunedì 8 settembre 2014

Famiglia, l'urgenza della misericordia


«Chiunque è stato ferito o scandalizzato conosca presto consolazione e guarigione». È un verso del testo con cui il Papa affida alla preghiera della Chiesa, il 28 settembre prossimo, l’imminente Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Forse in quella invocazione è questa la frase che più racconta lo spirito con cui il Papa conduce la Chiesa al capezzale della famiglia del terzo millennio dopo Cristo: famiglia ristretta, impoverita, precaria, facile a spezzarsi e a volte come dimentica della sua stessa origine e fine. 

«Chiunque è stato ferito conosca consolazione». C’è dentro a questa frase già molto dello sguardo che Francesco ci sta insegnando. «Dio mai si stanca di perdonarci, mai!», gli sentimmo dire con forza al primo suo Angelus. Proprio quel forte accento sulla misericordia di Dio, si legge nella premessa all’Instrumentum laboris del Sinodo, «ha suscitato un rilevante impatto anche sulle questioni riguardanti il matrimonio e la famiglia, in quanto, lungi da ogni moralismo, dischiude orizzonti nella vita cristiana, qualsiasi limite si sia sperimentato e qualsiasi peccato si sia commesso». Nel tempo delle radicali sfide alla concezione cattolica di famiglia, dal divorzio alle unioni omosessuali alla ideologia del gender, dalla procreazione assistita all’aborto, il magistero non cambia; ma l’accento si sposta sulla accoglienza pastorale a quei tanti, a quei milioni di uomini e donne che sono andati "lontano", o che, figli di tante unioni precarie o fallite, nemmeno sanno cosa sia una famiglia cristiana.

C’è, nella preghiera del 28 settembre, anche l’eco di altre parole di Francesco. Quelle di un’omelia a Santa Marta in cui parlò dell’amore che finisce: quando un amore fallisce, disse, «dobbiamo sentire il dolore del fallimento», e camminare insieme, anziché condannare. Quelle della Evangelii gaudium, dove si afferma: «La Chiesa è chiamata a essere sempre la casa aperta del Padre. La casa paterna dove c’è posto per ognuno, con la sua vita faticosa».

Questo infatti sembra lo spirito che soggiace al prossimo Sinodo: davanti alla schietta fotografia della realtà dell’Instrumentum laboris, in cui le Chiese locali hanno riferito a chiare lettere della crisi universale della famiglia, si fa evidente l’urgenza della misericordia: di quello sguardo che perdona e ricrea. In una Chiesa come «un ospedale da campo», ai margini di una grande battaglia che fa morti e feriti, l’ansia di un abbraccio: quello che gli uomini, anche lontani dalla fede, avvertono nelle parole di Francesco – ciò per cui se ne sono innamorati. (Mentre tra coloro che si ritengono ottimi cristiani qualcuno è insofferente, e nostalgico di un approccio legalitario che divida il mondo fra buoni e cattivi. Cristiani costantemente scandalizzati e duri. Forse come lo erano un tempo i Farisei?).

In realtà, di misericordia c’è davvero fame e bisogno in questo tempo di verità capovolte, di individualismi feroci, di tecnica che va a toccare il nucleo dell’essenza dell’uomo, di figli ostinatamente prodotti o invece, come fossero un nulla, buttati. Ma più grande della condanna è la misericordia che il Papa ci indica, per ricominciare.

C’è un altro passo, nella preghiera che Francesco chiede per domenica 28 settembre, da sottolineare: è quando il Papa, ribadendo il carattere "sacro e inviolabile" della famiglia,  chiede che si ridesti in noi la consapevolezza della sua bellezza, nel progetto di Dio. La bellezza, quella via pulchritudinis che è via maestra, più di mille sermoni o parole. «Quanto possono essere saldi i vincoli fra gli uomini, quando Dio si rende presente in mezzo ad essi», ha scritto Francesco nella Lumen fidei. C’è qualcosa insomma che non si insegna da un pulpito, ma solamente si testimonia nella carnalità dei fatti: la bellezza profonda di una famiglia in cui, oltre a ogni lite e limite e contraddizione e peccato, si fa ogni giorno spazio a Cristo – né astrazione né pia leggenda, ma vivo invece fra noi.
Marina Corradi

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