mercoledì 4 maggio 2011

Un Papa afferrato da Cristo- Intervista a don Julián Carrón presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione



Con forza, audacia e coerenza Giovanni Paolo II ha riproposto al mondo che cosa significhi essere cristiani oggi. Una eredità, quella del beato Wojtyła, luminosa, dinamica, trasformatrice. Lo sottolinea don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione (Cl), in un’intervista rilasciata al nostro giornale. Nel rivolgersi, in numerose occasioni, ai movimenti, alle associazioni e ai gruppi ecclesiali — ricorda il successore di don Giussani, fondatore di Cl — il beato Karol Wojtyła li ha indicati come «primavera dello spirito», in quanto nella Chiesa la dimensione carismatica è «coessenziale» a quella istituzionale.

Una grande e universale «festa della fede» la beatificazione di Giovanni Paolo II, come l'ha definita il suo immediato successore Benedetto XVI in un messaggio autografo inviato per l'occasione al nostro giornale.

Con le parole inviate a «L’Osservatore Romano», il Santo Padre ci offre il senso profondo della festa della fede che è stata la beatificazione di Giovanni Paolo II, cioè un «forte invito» alla conversione, ad aprire le porte a Cristo per cominciare a seguire le tracce del nuovo Beato. È l’urgenza di questa conversione, assieme alla gratitudine profonda, che abbiamo avvertito tutti noi che ci siamo recati a Roma per partecipare alla cerimonia in piazza San Pietro.

Giovanni Paolo II ha abbracciato la giovane storia di Comunione e Liberazione per quasi 27 anni. Quale debito di riconoscenza avete con il nuovo beato, padre e compagno del cammino di fede e di testimonianza nel presente e verso il futuro?

Il fatto che sia stato Giovanni Paolo II a riconoscere la Fraternità di Comunione e Liberazione, i Memores Domini, la Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, le Suore di Carità dell’Assunzione, come frutti diversi sgorgati dal carisma di don Giussani, resterà per sempre nella memoria di noi che ne siamo membri. Come ho avuto occasione di ricordare a tutti i miei amici del movimento nella lettera inviata loro appena saputo della beatificazione, all’enorme debito di gratitudine dobbiamo aggiungere la consapevolezza dell’interpretazione autorevole che del riconoscimento pontificio ci ha offerto lo stesso Giovanni Paolo II: «Quando un movimento è riconosciuto dalla Chiesa, esso diventa uno strumento privilegiato per una personale e sempre nuova adesione al mistero di Cristo» (Castel Gandolfo, 12 settembre 1985). E noi ben sappiamo quanto abbiamo bisogno dell’immedesimazione col carisma che ci ha affascinato per continuare sulla strada intrapresa e per poter rispondere all’invito che il beato Giovanni Paolo II ci aveva rivolto durante l’udienza per il trentennale del nostro movimento: «Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo Redentore» (Aula Paolo VI, 29 settembre 1984).

Giovanni Paolo II con audacia contagiosa, in contingenze storiche particolarmente difficili, ha offerto a tutti le ragioni della fede e della speranza, donando alla Chiesa e al mondo i germi del rinnovamento alla luce del concilio Vaticano II, sgombrando il campo da interpretazioni riduttive, talvolta distorte, che ne volevano offuscare la portata.

Giovanni Paolo II ha riconosciuto la situazione in cui si trova il cristianesimo nella nostra epoca e ha giudicato come urgenza più importante quella di offrire i motivi adeguati che rendono ragionevole l’adesione a Cristo nel contesto culturale e sociale in cui noi cristiani ci troviamo a vivere, un contesto in cui tutto dice il contrario. In questo modo il nuovo beato ha dato il contributo più prezioso di cui hanno bisogno i cristiani: la testimonianza di che cosa diventa la vita di un uomo che si lascia afferrare e trascinare da Cristo. E che egli abbia colto il punto essenziale si vede dal fatto che attraverso di lui tanti uomini hanno ritrovato l’interesse per il cristianesimo e quindi per la grande tradizione della Chiesa che avevano perduto. In questo modo Giovanni Paolo II ha fornito a tutti l’interpretazione autentica del concilio Vaticano II: il rinnovamento della Chiesa, nella continuità.

Giovanni Paolo II e don Giussani: un cammino fondato sull'incontro misterioso e ineffabile con una persona, Cristo, colui nel quale «tutto è fatto e consiste», quindi il principio interpretativo dell'uomo e della sua storia.

È difficile rendersi conto ora dell’impatto che l’enciclica Redemptor hominis ebbe su don Giussani e, attraverso di lui, su tutto il movimento. Al punto che egli ne fece stampare un’edizione speciale che per un anno intero fu il testo della Scuola di comunità, cioè la catechesi settimanale di Comunione e Liberazione. Don Giussani aveva sempre insegnato che Cristo è la chiave di volta per capire la realtà e la storia. L’enciclica veniva a confermare questa intuizione profonda. «Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia»: le primissime parole della Redemptor hominis sintetizzavano la certezza da cui don Giussani era partito, venticinque anni prima, nel suo tentativo di educazione cristiana tra i giovani di Milano. Come ha ricordato Benedetto XVI nell’omelia di domenica, Giovanni Paolo II «ci ha restituito la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis, […] pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese».

Paolo Brocato
Interviste Città del Vaticano, 4 maggio 2011.
L'Osservatore Romano, 00120 Città del Vaticano. Tutti i diritti riservati

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