venerdì 27 maggio 2011

Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 25 maggio 2011

Testo di riferimento: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova», suppl. a Tracce-Litterae Communionis, n. 5 (2011), Società Coop. Ed. Nuovo Mondo, Milano 2011, pp. 12-26.


• La guerra

• Non son sincera

Gloria
Comincio leggendo una lettera che mi avete mandato: «Ti scrivo per chiederti un aiuto sulla questione del metodo, punto che per me si è rivelato ancora non chiaro. L’altro giorno, mentre mi esercitavo sul mio strumento – sono musicista –, mi è capitato di fare questa analogia: quando devo affrontare un passaggio virtuosistico molto veloce, difficile da intonare e in cui inciampo, cosa faccio? Mi fermo, lo rallento, lo spezzetto, lo analizzo, metto a fuoco il problema; insomma, lo
affronto con un metodo tecnico ben preciso. E a poco a poco è come se quelle note difficili si illuminassero, arrivando dopo questo percorso a una vera conoscenza di quella musica. E qui mi scatta questa domanda: “Ma io quando mi incastro nei passaggi virtuosistici della vita come mi muovo? Come li affronto? Ho una ipotesi di lavoro così?”. È inutile mentirmi, mi sono sentito spiazzato». Capite qual è il problema? Perché questo anche se dedica tanto tempo alla musica, sarà sempre meno del tempo della vita (la musica è un pezzo della vita). Noi su certe attività abbiamo un metodo tale per cui riusciamo ad affrontarne i passaggi complicati, ma quando questo lo facciamo sulla vita siamo spiazzati, anche se abbiamo avuto molte più occasioni per imparare. Per questo quando Giussani insiste sul metodo non è per una fissazione, ma perché altrimenti, come testimonia
questo amico, non riusciamo a imparare, e dopo tanti tentativi uno è spiazzato. Continua: «Se uno mi chiedesse: “Senti, ma tu come affronteresti questo passaggio musicale difficile?”, io ho un metodo collaudato da indicargli. E per le circostanze della vita? Io leggendo i tuoi interventi, vedendoti all’ultima Scuola di comunità, mi sono detto: raggiungere una certezza così su Cristo deve essere possibile solamente attraverso un metodo scientifico [un metodo, diciamo] come quello
che ho nella musica. Non mi sembra di esagerare se dico che, desiderando un metodo scientifico, io desidero entrare in tutte le circostanze senza ogni volta buttarmi un po’ a caso, confuso, impacciato, con un “vediamo come va!” [questa è di solito la modalità con cui noi affrontiamo le circostanze: vediamo come va, se per caso succede, se per caso capita, perché è come se quanto abbiamo provato (perché sarebbe questa la parola) non ci avesse fatto fare esperienza, infatti non è cresciuto, non è diventato nostro]. E sempre vivo a tentoni, nel buio. Davanti alla morte dolorosa di un ragazzo giovane che stava per diventare padre, cosa si sente dire dalla gente? “Davanti a un fatto così non ci sono parole”, ecco una frase che si dice; ma io vorrei gridare: “Un corno non ci sono parole, Cristo ha vinto anche questo!”, ma non posso dire una cosa così tanto per dire [questo è il
punto: non posso dirlo, vorrei dirlo ma non posso dirlo!]. Ti chiedo una mano perché mi sono accorto che dirmi che il metodo è seguire Giussani e il metodo è l’esperienza, non ha ancora la stessa scientificità che vedo in te e che io, per ora, ho solo con il mio strumento». Amico, io non ho altro da dirti che quello che ti dico, ma la questione è che la “scientificità” si raggiunge soltanto se tu prendi sul serio il metodo e lo verifichi. Non ho niente da aggiungere, non ho alcun libro nascosto, né alcuna istruzione per l’uso diversa; ma siccome tu hai adesso un metodo verificato nell’esperienza, puoi imparare soltanto se lo rischi. Per questo don Giussani ci propone un cammino, non un miracolo: un metodo; e il metodo è l’esperienza. E questa esperienza come si impara? Come si fa a farla? Con un tentativo, cercando di giocare quello che hai capito, e poi, tornando sul testo, cercando di capire che cosa hai imparato. Cioè è un lavoro, è un paragone serrato tra il mio tentativo e quello che dice il testo. La prima volta non capiamo neanche un decimo di quello che dice il testo, perché non si capisce riflettendo astrattamente sul testo, ma si impara rischiando, e poi quando lo rileggi esclami: «Ah, questo mi era sfuggito!», e poi lo rigiochi ancora,
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e poi ritorni «Ah, ancora mi era sfuggito questo!», e vedrai come diventa tuo sempre di più. Agli Esercizi ho citato lo sfogo del don Gius: «Però trent’anni fa, quando incominciavo a dire queste cose, non credevo che dopo trent’anni avrei dovuto ripeterle tante volte per farle capire a quelli che da dieci anni già camminano sulla stessa strada!». Nessuno prende sul serio, “scientificamente” – se volete dirlo così –, quello che dice; e per questo uno nella musica (anche perché lo pagano) è
implacabile, ma nella vita crede di potersi permettere di essere meno preciso… Senza cammino non c’è certezza, perché la verifica è nell’esperienza, è nella vita, non nei nostri pensieri. Senza fare questo cammino ci troviamo come mi scrive uno di voi: «Di fronte alla frase [guardate, frasi elementari!]: “La fede è un’esperienza presente”, rimango troppe volte – ma ho l’impressione che a volte accada anche intorno a me – come un ebete, neanche capendo cosa voglia dire la frase, come
di fronte a dei geroglifici egiziani di cui non si capisce il senso, perché non so cosa voglia dire “fede” (troppe volte confusa o con il sentimentalismo o con il moralismo che arriva a esprimersi in ritualismo o in associazionismo), perché non so cosa voglia dire “esperienza” (troppe volte confusa con emozione o immaginazione). Quando mi chiedi di fare il lavoro di sorprendere in azione i miei fattori costitutivi, mi sento come se mi chiedessi qualcosa al di fuori di me [no, è a portata di mano di te, è facilissimo, ma occorre un lavoro: tutti siamo arrivati a una certezza su nostra madre da piccoli, arrivare alla certezza è raggiungibile da chiunque, da chiunque]. È come se stessi correndo i 100 metri piani e a metà corsa mi chiedessi di fermarmi a guardare i metri percorsi. Uno sforzo immane contro la tendenza di correre: inutile, è una perdita di tempo. Eppure di fronte alle
circostanze di un figlio che nasce, della malattia di un amico, della perdita del lavoro, uno reagisce. Allora capisco che l’unica possibilità di scoprire è fare questo percorso». Ma basterebbe farlo per incominciare a capirlo! Non pensate che lo impariamo con astrazioni, dicendo quello che ci viene in testa! E adesso abbiamo una possibilità stupenda di una verifica, per questo abbiamo parlato delle elezioni come la verifica della fede. Un fatto dove ciascuno ha visto come si è giocato o come non
si è giocato, che cosa ha imparato o che cosa non ha imparato (non riflettendo sulle elezioni o sugli Esercizi come astrazione).

Agli Esercizi della Fraternità sono rimasta molto colpita da come tu li hai iniziati, perché è come se non avessi mai percepito come questa volta che il contraccolpo di Cristo risorto è il destarsi dell’io, ed è il destarsi dell’io come mistero. A me questo ha fatto molta impressione, perché non avevo mai messo in relazione queste due cose, che mi accorgo che Cristo è risorto perché mi sento rivivere. Io per accorgermi di Cristo risorto ho bisogno della realtà e per muovermi ho bisogno di
occasioni come la campagna elettorale. Non ci si muove più per una ragione interna alla politica; mi sono accorta che per muovermi ho bisogno di dire a me, prima che all’altro, la mia esperienza intera. Da questo punto di vista, a me fa colpo che gli Esercizi della Fraternità non sono – come a volte ho sentito dire – un contenuto intimistico, ma un giudizio storico, il più pertinente a questo momento storico perché solo un “io” mosso in questo momento si muove, se no c’è un immobilismo
che ha come anticamera una reattività contro uno! Ho fatto tanti incontri in giro per l’Italia in occasione delle elezioni, e l’episodio che mi ha fatto più impressione è stato l’incontro con la capolista di un partito importante in una grossa città in cui c’erano le elezioni. Lei è rimasta così colpita da quello che noi dicevamo all’incontro che ci ha chiesto di poter venire a cena con noi. E appena ci siamo seduti a cena lei mi ha guardato e mi ha detto: «Ma tu, perché sei cristiana? Come hai incontrato Cristo?». Io le ho raccontato come era avvenuto per me l’incontro con Cristo; e sono rimasta di sasso perché lei mi ha detto: «Ora capisco, perché io mi sono mossa e mi muovo: perché ho un desiderio che mi si chiarisce solo toccando la realtà come al buio, perché io mi muovo al buio e mi aspetto dalle cose che capitano di capire qualcosa su di me. Adesso capisco che cosa mi manca: non mi manca Dio, mi manca una autorità. Mi manca un padre, perché tu vivi lo
stesso dramma che vivo io, ma tu lo vivi non al buio, ma con una chiarezza, mentre io lo vivo al buio».
O la chiarezza del figlio o il buio dell’orfano.
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Voglio intervenire sulle elezioni prima di tutto dicendo un fatto: nel fine settimana a Milano è esploso un vulcano che è il movimento, perché è cambiata fisicamente la vita della città, perché dietro al Clu si è mosso tutto il movimento. La cosa che voglio dire è che non è stata la mossa dietro a un capomandria, tutt’altro. Il clima è violento, c’è quasi un’intolleranza fisica a una presenza che si pone. Di fronte a questo, naturalmente, ci sono due reazioni: una è la reazione furibonda (ti senti minacciato e rispondi a tono), l’altra è lo scoramento (perché ti fanno piangere, ti prendono in giro, ti respingono). Invece domina a Milano nel movimento un clima di letizia che io non ho mai visto da anni, letizia che risponde all’aggressione in termini di ragioni per cui
votare, ripetendole e introducendole con una pazienza in certi casi impressionante. Dico solo un episodio. Un egiziano aggredisce un gruppo dicendo: «Voi siete contro gli extracomunitari», difendono noi, sono gli unici che ci vogliono bene davvero», e cominciano una lunga discussione in arabo. Letizia e pienezza di ragioni. Allora dico: qui c’è qualcosa di strano, di eccezionale, come se il desiderio
vedesse la presenza del Mistero in azione e questo desse la corrispondenza e le ragioni. A me viene in mente don Giussani quando diceva che di fronte ai barbari, i monaci restavano perché erano certi. Mi è arrivato un sms che diceva: «Stanno mandandoci via, ma noi non ce ne andiamo». Ci siamo. Però voglio dire la ragione, secondo me, che ritorna anche sulla questione sollevata dal primo intervento. Noi eravamo nella confusione, ma Carrón ha tenuto duro e ci ha fatto vedere in
azione l’ultima parte degli Esercizi, quando ha parlato dell’autorità che sfida il cuore. Perché quando ha parlato della verifica della fede, di fronte alle settimane che passavano nella difficoltà, è come se avessimo fatto esperienza di una autorità non robotica, che non è chiusa nella torre, ma che ti dice: «Prova, vedi, verifica». Vedendo gli universitari per primi, uno alla volta ci si è mossi, ma non il gruppo: uno alla volta abbiamo seguito questa autorità. Io risponderei così alla domanda
iniziale sul metodo: qui stiamo facendo esperienza di qualcosa di ancora più grande delle elezioni, cioè che seguire un’autorità non come ordine («Vota questo»), ma come sfida delle ragioni, fa riscoprire l’umano in un modo che, secondo me, è per sempre, è come un passaggio definitivo. Di fronte a un’autorità che ti dice: «Guarda il tuo desiderio, vai fino in fondo», tu diventi protagonista di una presenza che secondo me durerà, chiunque si affermi elettoralmente, perché è una presenza
che sente che quello che sta vivendo non glielo leva più nessuno, e che è anche la cosa più efficace. Ma soprattutto mi sembra che stiamo cominciando a verificare cosa voglia dire il metodo dell’esperienza, un desiderio fatto rinascere da qualcuno che riscopre la Presenza che prima non vedeva.

Rileggo quello che dicevi adesso, perché questa autorità non sono io, tante volte non sono stato io; io ho solo detto: «Verifichiamo la fede», ma cosa è stato verificare la fede? Non è «l’immagine di autorità o di guida robotica, quasi che si trattasse di individui chiusi dentro una torre da cui lanciano segnali», abbiamo detto agli Esercizi citando Giussani. Ma «l’autorità è una persona vedendo la quale uno vede che quel che dice Cristo corrisponde al cuore. Da questo il popolo è guidato». Può
essere la propria figlia, può essere l’universitario, può essere il vicino, può essere l’amico. E questo ha fatto venire la voglia a chi non ce l’aveva. Perché il metodo è lo stesso, è un’esperienza in atto. E ciascuno, se guarda se e perché si è mosso, potrà riconoscerlo, potrà vedere che possibilità gli ha offerto questa esplosione, proprio quando sembrava ci fossero le condizioni per dire: «Adesso
smettiamo». Invece è successo il contrario, sta succedendo il contrario.

Durante la campagna elettorale ho vissuto questa esperienza di verifica della fede di cui si sta parlando. In un contesto che è quello che descriveva l’intervento precedente, una mattina, in un mercato in cui la maggioranza della gente o era scettica o arrabbiata nera (di solito, tutte e due assieme!), stavo volantinando; a un certo punto, una signora da lontano inizia a inveirmi contro;
allora io inizio a risponderle da lontano e poi pian piano ci avviciniamo, e questa mi riversa addosso tutta la sua rabbia di fronte alla situazione politica eccetera. A un certo punto, in questa sua rabbia, l’ho fermata e le ho detto: «Va bene, signora, ma dentro tutto questo qual è il problema? Cioè, perché è arrabbiata così?». E lei allora ha iniziato a raccontarmi che i suoi due

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figli hanno perso il lavoro, e non hanno soldi per i nipoti. E lì è accaduto questo in me: mi sono sorpreso a vivere una vibrazione di fronte al bisogno di questa donna che era inimmaginabile prima, che non è qualcosa che programmi perché il massimo che puoi raggiungere quando lo programmi è dilatare il sentimento che hai in quel momento. Ma lì è stata un’altra cosa, è stato una passione per il suo destino che è qualcosa che tante volte vorresti poter vivere di fronte alle
persone che ami, e che invece non accade di vivere. E allora con molta semplicità le ho detto: «Signora, io farei tutto quello che posso per lei, e mi impegno a trovarle un colloquio di lavoro per i suoi figli». La signora si è fermata, ha smesso di inveire, mi ha abbracciato, ha iniziato a stringermi le mani e si è messa a piangere: “Nessuno mi aiuta, nessuno mi aiuta,e tu sì”. E lì sorprendi dentro l’esperienza che cosa è in grado di bucare quello scetticismo che sembra tante
volte invalicabile: questa vibrazione di sé di fronte all’altro che è data solo da quando ho incontrato Cristo, da quando sono stato io guardato così. Io posso stare di fronte a un bisogno così perché ho incontrato Chi un bisogno così lo colma, e per questo il primo criterio con cui da lì mi sono mosso è sostenere con tutte le energie che ho, andando a volantinare, chi a questo luogo che è la Chiesa, il movimento, consente di vivere liberamente e di proporsi come risposta al bisogno
dell’uomo.

Che uno si possa sentire insultato così e che questo non prevalga come reazione, ma che uno si sorprenda a vivere questa vibrazione di fronte al bisogno, questa passione per il destino di un altro fino al punto che si apre una possibilità di dialogo! Lui si faceva la domanda: «Che cosa è in grado di bucare questo muro?». Soltanto una ragione politica? Noi dobbiamo qualche volta farci la domanda: ma che cosa vuol dire incidenza storica, che cosa muove l’uomo nell’intimo? Perché
quello che è venuto fuori in queste elezioni è che situazioni come queste si sono moltiplicate infinitamente, e che tutti coloro che tra noi non avevano fatto un’esperienza non sono stati in grado di stare davanti a queste situazioni. Invece, soltanto chi ha fatto questa esperienza ha potuto stare senza fuggire, aprendo una possibilità, bucando il muro. Allora domandiamoci: ma Cristo, volendo incidere sulla storia, ha sbagliato metodo creando la Chiesa invece di un partito politico? E allo stesso modo: don Giussani ha sbagliato facendo un movimento e non un partito politico con un ordine di scuderia? Se noi non capiamo questo, penseremo sempre che sarebbe meglio fare altro, che saremmo più incidenti storicamente facendo altro. Ma questa esplosione non ci sarebbe stata se non per il motivo che stiamo vedendo! Se noi da queste elezioni non usciamo con questa chiarezza, non acquistiamo questa consapevolezza, poi ritorneremo inesorabilmente al vecchio schema, perché
non abbiamo imparato e giudicato qualcosa di nuovo. Come mi scrive questa ragazza che era andata a volantinare davanti a una chiesa: «Per prima cosa mi ha impressionato vedere la violenza verbale con cui sono stata trattata, e mi sono chiesta: “Ma come mai è così violento?”. Di riflesso mi son chiesta: “Ma cosa è successo a me per cui posso stargli davanti senza scadere al suo gioco?”. E mi sono sorpresa – secondo punto – della portata dell’incontro della mia vita. Ho incontrato persone
che mi sfidano sempre sulla ragione e soprattutto ieri mi son resa conto che questo è un fattore eccezionale, perché per noi che eravamo lì è stato urgente domandarci che cosa stavamo imparando. Terzo: ho incontrato persone che non hanno avuto paura della mia libertà. Infatti coloro che ci accusavano avevano censurato questo, e questo mi ha fatto capire l’assoluta disistima delle persone e, più importante ancora, mi ha fatto rivedere fino a che punto sono amata, non sono tenuta sotto
una campana di vetro sperando che non mi scontri mai con circostanze e situazioni che esigono un mio giudizio; anzi, al contrario, il nostro lavoro di verifica della fede è sul campo. Mi ha sorpreso una gratitudine ancora più consapevole per il movimento, per le persone che ho incontrato, che è davvero unico: da una parte, il fatto di essere spronati a usare la ragione e a dare un giudizio finalmente mio, dall’altra parte, la stima nella mia libertà. Mi sono accorta che questi sono i due segni della verifica della fede». Ma questo chi l’ha scoperto? Chi tra noi è divenuto più consapevole della portata storica della fede? Chi si è implicato giocandosi totalmente in questa proposta (che non è l’ordine di scuderia), e l’ha verificata, e ne ha visto la convenienza umana. Si tratta di un esempio della frase che abbiamo spesso citato di Giussani: la fede diventa una esperienza presente, confermata nella realtà. Questa persona, vivendo una esperienza nel presente, non un ricordo del
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passato, ha reperito nell’esperienza stessa la convenienza umana dell’esperienza che stava facendo: e questo è quello che potrà farla resistere in un mondo in cui tutto dice violentemente l’opposto. Vi leggo un’altra testimonianza (è un’universitaria che scrive a un’amica). «Il volantinaggio è una dinamo per la fede e l’umanità, è bellissimo sorprendersi in movimento liberi [guardate che cosa dice!] per una gratitudine che già c’è e che cresce facendo. Ho detto ai miei [genitori] che sto
volantinando e per chi, e non hanno preso bene la notizia: “Te l’hanno venduta bene, sei una falsa cristiana” eccetera. Tutte le obiezioni che mi vengono sbattute in faccia da loro o dagli altri non scalfiscono però la mia certezza; anzi, è sempre più ragionevole, e io sono sempre più libera, mentre gli altri con il passare del tempo sono sempre più arrabbiati, da qualunque parte stiano. Anche questo è significativo, perché io non sono stata convinta dialetticamente, ma sono stata e sto con voi. Allora, diventano sempre più miei [miei!] i criteri ideali del movimento, unitamente al realismo e alla passione di realizzarli, così non ho bisogno di tapparmi il naso davanti alla politica che non mi piace, perché ho chiaro l’origine e lo scopo. In questo verifico la fede, cioè scopro che mi
plasma fino al punto di inverarsi in come mi muovo anche in politica. Domenica ho volantinato all’uscita della Messa vespertina. Siccome ero stata distratta nel pomeriggio, a Messa Gli ho chiesto in particolare di riconquistarmi. Quando sono uscita per volantinare mi sono trovata davanti a quattro altre ragazze che erano lì per lo stesso motivo, una di queste ha istantaneamente catalizzato tutta la mia attenzione [una ha catalizzato l’attenzione: l’autorità] per la faccia che aveva: uno splendore da quanto era contenta. Siccome mi sono avvicinata e la fissavo proprio (che imbarazzo!), lei mi ha chiesto perché. E io, anziché rispondere, le ho chiesto il suo nome e cosa facesse nella vita. Nel frattempo sono arrivate due amiche e anche loro sono rimaste stupite dalla faccia di questa. Alla fine del volantinaggio l’abbiamo salutata e siamo andate. Poi noi tre abbiamo avuto la stessa reazione: “Ma è sicuramente del Gruppo adulto!”. Io ho continuato a pensarci, perché non avevo mai capito la vocazione di san Matteo. Come è possibile che uno sguardo sia motivo sufficiente per mollare tutto e seguire? Gli ha detto: “Seguimi”, e Lo ha seguito. Come deve averlo guardato! Ora so che è possibile perché se lei in quel momento mi avesse detto: “Andiamo”, io sarei andata senz’altro, letteralmente conquistata. L’eterno [l’eterno!] è venuto a guardare me, me, così». Perché? Per quel rapporto con la Risurrezione di cui parlava il primo intervento. I viventi, i viventi!
Non i sentimentali, i viventi! Che possono sfidare gli altri con questa intensità del vivere.


Di fronte a quello che sta succedendo ho due sentimenti prevalenti che mi determinano tantissimo. Il primo è la gratitudine per quello che vedo succedere, per quello che è stato raccontato anche qua, per il lavoro che stiamo facendo. Perché io sono sicuro che senza il lavoro che stiamo facendo, senza l’accanimento nel lavoro che stiamo facendo non solo tanti di questi fatti non sarebbero successi – e questo è un dato con cui bisogna essere leali –, ma non mi sarei mai accorto della portata che hanno. Cioè non mi sarei mai accorto di che peso ha su di me il ritrovarmi spostato dallo scetticismo, di trovarmi lieto, vibrante, non mi sarei mai accorto della portata che ha storicamente il fatto che incontri gente e la sposti, la tiri via fisicamente dallo scetticismo, del fatto che c’è gente che entra dentro questo tritacarne, questa centrifuga in cui tutto ti butterebbe fuori, e resta unita con se stessa, lieta, felice. Insomma non mi sarei accorto della portata dell’esperienza che sto facendo. E l’altra cosa, l’altro sentimento che ho dentro è una inquietudine, un desiderio, quasi uno struggimento, perché quello che prevale adesso è che io voglio conoscere sempre di più che cosa rende possibile questo, che cosa c’è all’origine di questo, che cosa sta facendo accadere queste cose che vedo, perché non posso più ridurle a una questione di bravura, di organizzazione,
di vittoria o sconfitta numerica, di intelligenza, di quanto siamo bravi, di quanto siamo più capaci degli altri. Io ho bisogno di capire qual è l’origine di questa cosa che vedo che sta spostando me e gli altri.

E questo è il lavoro da fare: capire. Finisco leggendo un testo di don Giussani che reagisce di fronte a uno che non ha capito questa origine: «Un giorno del 1969, Giussani si sta aggirando per i corridoi della Cattolica, “dove dominava la rivoluzione”, quando si imbatte in “un ragazzo il quale diceva energicamente (era passato evidentemente alla rivoluzione), diceva: ‘Se non troviamo le
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forze che fanno la storia, noi siamo perduti!’ [questo apparteneva alla nostra storia, ma non si era reso conto della sua portata e non ne aveva capito l’origine: quali sono le forze che cambiano la storia]. Io non voglio addentrarmi nella descrizione della ingenuità ultima – come è di ogni ideologia che pretenda l’universalità – di questa frase. Io voglio semplicemente dire quello che mi è
venuto come contraccolpo dentro il cuore nel sentire quanto quello affermava: che le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. Infatti, “la forza che fa la storia è un uomo che ha posto la sua dimora tra di noi, Cristo”. [Non dice che la forza che cambia è il sentimento, la forza che ci fa drizzare i capelli... no, «la forza che cambia la storia è un Uomo che ha posto la sua dimora fra di noi, Cristo»]. La riscoperta di questo impedisce la nostra distrazione come uomini, il riconoscimento di questo introduce la nostra vita all’accento della felicità, sia pure intimidita e piena di una reticenza inevitabile”. Giussani sottolinea che “è nell’approfondimento di queste cose che uno incomincia a toccarsi alla mattina le spalle e sentire il proprio corpo più
consistente e a guardarsi nello specchio e sentire il proprio volto più consistente, sentire il proprio io più consistente e il proprio cammino tra le gente più consistente, non dipendente dagli sguardi altrui, ma libero, non dipendente dalle reazioni altrui, ma libero, non vittima della logica di potere altrui, ma libero”».
Questa è la verifica della fede: ubi fides ibi libertas. Ciascuno adesso, come davanti a qualsiasi gesto che proponiamo, può fare la verifica in che misura è più libero, in che misura è più lieto, in che misura è più consistente, in che misura è cresciuta la coscienza dell’origine, perché se non cresce questa coscienza, anche se abbiamo raccontato fatti, succederà come abbiamo detto la volta scorsa: fatti senza giudizi. E fatti senza giudizi vuol dire che noi dai fatti non impariamo niente e
perciò alla fine continuiamo a dire giudizi senza fatti, cioè facciamo ideologia. Come se tutto quanto abbiamo vissuto non fosse stato utile per capire di più la portata di quello che abbiamo incontrato, cioè per renderci più consapevoli che le forze che cambiano la storia sono quelle che cambiano il cuore dell’uomo, e che la forza che fa la storia è un Uomo che ha posto la sua dimora tra di noi, Cristo.
La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 8 giugno alle ore 21.30. Riprendiamo ancora la prima lezione degli Esercizi della Fraternità con tutto questo che abbiamo visto. In tutte le città la celebrazione della festa del Corpus Domini sarà segnata da una processione pubblica. La Chiesa propone questo gesto tutti gli anni per ricordare che Gesù è una presenza che viene incontro oggi alla persona ed è una domanda a tutta la società. Per educarci alla totalità della vita della Chiesa, come tutti gli anni, proponiamo di partecipare alla processione del Corpus Domini
insieme a tutta la Chiesa. Siamo stati a Roma, ma vogliamo proporre a tutti quanti, a tutto il movimento anche questo gesto educativo alla totalità, ad allargare il cuore alla dimensione della Chiesa. Per il percorso che stiamo facendo, dovrebbe essere semplice per noi capire il valore di questa proposta. Un aiuto in questo può essere anche la mostra sull’Eucarestia, preparata da ITACA per il Congresso Eucaristico Nazionale, che sta girando nelle varie città e che vi prego di prendere
in considerazione: non possiamo sprecare l’occasione di questa mostra e del Congresso Eucaristico per fare un passo nella coscienza del valore dell’eucarestia per la nostra vita che ancora non è abbastanza chiaro come consapevolezza. Questo è un aiuto a non perderci il meglio. A Milano, la mostra sarà al Palazzo delle Stelline (corso Magenta) dal 31 maggio al 12 giugno 2011.
Sabato 11 giugno si terrà il 33° Pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto con inizio alle ore 20.30 allo stadio di Macerata. Il pellegrinaggio è un’occasione per ritornare a essere mendicanti, per riconoscere tutta la grandezza del nostro desiderio, così grande che noi non siamo in grado di rispondere da soli.

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Volontari al Meeting. Il Meeting di Rimini è un esempio sul grande schermo di ciò che uno sguardo nuovo alla realtà può generare. Il Meeting è un gesto espressivo di tutto il movimento, di tutti, perché il luogo a cui possiamo invitare e dire: «Guarda, guarda che cosa viene fuori da una fede vissuta così! Che capacità di dare ragioni, di incontro, di proposta, di incidenza storica», per questo è un bene per tutti il Meeting, è uno dei beni più belli che la storia del movimento ha generato, per questo è una cosa di tutti. Ed è reso possibile anche attraverso l’io di ciascuno impegnato con questa realtà: dagli organizzatori ai relatori, dalla gente che partecipa ai volontari, si tratti di presentare una mostra, oppure di sorvegliare un cancello dove non passa quasi mai nessuno. Non è questo il punto, perché non lo facciamo per un tornaconto, ma, come dicevamo prima, per quel di più che già
abbiamo, come gratitudine. Quello che fa la differenza è il coinvolgimento della persona in quello che fa, non tanto quello che fa. Se uno è presente e accetta la sfida che deve affrontare per vivere il compito che gli è stato affidato, tutto diventa utile e ciascuno può vivere il servizio con un beneficio per sé. Se uno fa un
piccolo gesto come rapporto col Mistero, seppur piccolo è pieno di un significato infinito e acquista una portata senza limiti. Per questo ci sentiamo di proporre, come occasione privilegiata, il volontariato al Meeting.
Veni Sancte Spiritus

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