giovedì 5 maggio 2011

PAPA BENEDETTO CI PARLA DI PREGHIERA : COME BAMBINI UOMINI DAVVERO



Il Papa ha scelto «un tema che sta molto a cuore a tutti noi»
N ell’udienza di ieri Benedetto XVI ha an­nunciato che il tema della sua nuova cate­chesi sarà la preghiera. Semplicemente la pre­ghiera. Bisogna imparare a pregare, ha detto. E il fatto che il Papa ponga al centro la preghiera colpisce più che se additasse all’attenzione dei fedeli una complessa questione teologica. È co­me se un professore entrasse in classe e dicesse agli studenti: ragazzi, oggi ripassiamo l’alfabeto. È un tornare ai fondamenti, a quel primo passo di per sé già decisivo: pregare, dunque doman­dare a Dio. Dunque già confessarsi figli; dire che esiste un Padre, ammettere che non siamo 'no­stri', che non siamo di noi stessi i padroni.
Una volta, era più facile. Una volta tra i cristiani era abitudine, era normale che questo gesto an­che corporeo dell’inginocchiarsi fosse traman­dato dai padri ai figli, e anzi in particolare dalle madri; era il Padre Nostro insegnato in casa, al­l’ora di andare a dormire. Parole intrise di son­no e non ben comprese, magari, però chiare in quell’incipit: Padre. Che già imprimeva nei bam­bini le coordinate fondamentali: tu sei figlio di Dio, e non di un caso, e a quel Dio rispondi. E tut­to il resto, i comandamenti, il discernimento del bene e del male, discendevano da lì: dal dirsi fi­gli, creature. Che è una di quelle cose semplici, se le si impara da bambini, come la lingua ma­terna; difficili, da grandi. Più difficili ancora og­gi, quando un’altra visione del mondo si è atte­stata tra noi, e fin da piccoli ci insegnano che la nostra vita appartiene solo a noi, e non dobbia­mo risponderne a nessuno. Bisogna imparare a pregare, dice il Papa, e ag­giunge: e imparare di nuovo, quando ci si crede spiritualmente avanzati. Perché il rischio dei maestri e dei virtuosi è di pensarsi a posto; e in­vece pregare è sempre tendere la mano vuota e impotente, come bambini appena nati, inermi. Come bambini che aprono gli occhi sul mondo e incontrano la faccia della madre; e in quella faccia imparano a parlare e a sorridere. Come sarebbe bello, da adulti, poter pregare Dio con la stessa limpida confidenza di un bambino con sua madre e suo padre. E noi invece, orgogliosi o distratti, non sappiamo fare ciò che sa fare un bambino.
Bisogna imparare e reimparare a pregare. Il mae­stro si è accorto che gli studenti hanno l’orto­grafia malferma, e con pazienza, senza scorag­giarsi, ricomincia da capo. Ma come impare­ranno quegli uomini cui nessuno ha insegnato, quei figli messi a letto da babysitter frettolose, o che si addormentano davanti alla tv? E quei ge­nitori attenti al corso di inglese e di danza e di nuoto, che però non hanno mai detto ai figli: preghiamo? (Come in una collettiva avversione all’inginocchiarsi).
Rievangelizzare è anche questo, è anche rico­minciare, umilmente, dall’alfabeto. Tornare al momento in cui la grazia interpella la nostra li­bertà: e felicemente, più liberi ora che prima, ci si proclama figli. Lo insegnavano le madri, una volta, e era lingua materna, naturale. Ma ora cosa può spingere tanti adulti a questo passo – che non sia il dolore, oppure la paura, quando si invecchia? Una bellezza, forse, una bellezza concreta, sotto agli occhi. Come la storia del­l’uomo beatificato domenica scorsa, così dura eppure luminosa; come quel popolo che a Ro­ma abbiamo visto dormire sui marciapiedi, quasi mendicanti – mendicanti, però, felici. Mendicanti di Cristo: nel gesto che anche sta­notte si compirà di nuovo in milioni di case nel mondo – più facilmente dove si è poveri o mi­nacciati e profughi, e il bisogno rende eviden­te la nostra realtà di creature. Padre Nostro, di­ranno, e lo insegneranno ai loro bambini. E in quel dialogo saranno uomini davvero; non un caso, non un povero nulla speso in un effime­ro volgere di stagioni.( M.C.)
.... "All’inizio di questo nostro cammino nella «Scuola della preghiera» vogliamo allora chiedere al Signore che illumini la nostra mente e il nostro cuore perché il rapporto con Lui nella preghiera sia sempre più in­tenso, affettuoso e costante. Ancora una vol­ta diciamoGli: «Signore, insegnaci a prega­re » ( Lc 11,1).
«Generazioni di uomini prima di Cristo dimostrano che senza preghiera la vita diventa priva di senso. In ogni preghiera, infatti, si esprime sempre la verità della creatura umana, che da una parte sperimenta la sua debolezza, dall’altra è dotata di una straordinaria dignità perché, preparandosi ad accogliere la Rivelazione divina, si scopre capace di entrare in comunione con Dio» «Come i discepoli, chiediamo: Signore, insegnaci a pregare».
«L’uomo di tutti i tempi prega perché non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua vita, che rimane oscuro e sconfortante se non viene messo in rapporto col mistero di Dio e del suo disegno sul mondo»"

Nessun commento: