sabato 7 maggio 2011

«L'amore ha risolto tutto per me» - LA POESIA DI WOJTYLA

Karol Wojtyla da giovane.

06/05/2011 - Scriveva che «l'uomo soffre per mancanza di "visione"». Ma perché amare ha a che fare con "vedere"? Percorso tra i versi del Papa beato: dalla delusione di una ragazza, alla Verità. Che «cerca la sua forma» per entrare nell'inquietudine dell'uomo
Karol Wojtyla ha scritto poesie lungo tutta la sua vita. Dai diciannove anni fino al Trittico Romano del 2003. E ha scritto da vero poeta, come in quello stesso anno osservava Giovanni Raboni sul Corriere della Sera: «È un poeta con tutte le carte in regola». E i suoi sono «testi autentici e credibili, proprio perché somiglianti alla vita d’un uomo che non ha mai preso decisioni prive di peso, di drammaticità, di sofferenza. E non è forse questo ciò che si chiede, per sentirla davvero tale, anche alla poesia? Non è di casualità, di gratuità, di (l’ombra di Calvino mi perdoni) eccessiva “leggerezza” che le parole della poesia rischiano per lo più di ammalarsi e morire?».
Un verso vorrei proporre, tratto da un componimento del 1952 intitolato Pensiero-strano spazio. Protagonista del canto è Giacobbe, descritto nel momento cruciale della lotta con Dio: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Una travaglio, un parto, da cui l’uomo esce segnato, come colui che ha visto Dio faccia a faccia; una nascita e una conquista: perché la realtà mai gli si era aperta davanti così all’improvviso.
Nella conversazione che precede l’episodio, Wojtyla dice della sofferenza umana e così la motiva: «Io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di “visione”». Ecco perché ogni creatura umana deve «aprirsi la strada fra i segni fino a ciò che gravita dentro e che matura come frutto della parola». Un peso da portare, forse lo stesso che «in sé avvertì Giacobbe quando in lui caddero stelle stanche come gli occhi del suo gregge».
Una poesia di Heinrich Heine può forse aiutarci a comprendere qualcosa dell’osservazione del Papa circa la “visione”. Parlando della sua Colonia che si specchia nel Reno con il duomo suo immenso, il poeta tedesco scrive:

Dentro al duomo, c'è un'immagine
dipinta su cuoio dorato;
che, nel deserto di mia vita,
affabilmente è penetrata.
Angioli e fiori volteggiano
attorno alla Vergine santa;
occhi, labbra e guance leggiadre
son quelle della mia adorata.

La “visione” ha in questo caso a che vedere con il volto della Vergine: è guardando un volto che ci riconosca come figli che possiamo essere certi del senso e dell’utilità della nostra vita. Lo intuisce dolorosamente Andromaca, parlando del destino che incombe sul figlio dopo la morte di Ettore:

Abbandonato
da’ suoi compagni è l’orfanello; ei porta
ognor dimesso il volto, e lagrimosa
la smunta guancia. Supplice indigente
va del padre agli amici, e all’uno il saio,
tocca all’altro la veste. Il più pietoso
gli accosta alquanto il nappo, e il labbro bagna,
non il palato.

La densità, per nulla visionaria, della “visione” è sapientemente descritta in questo Maturo raccoglimento di Wojtyla.

Nelle madri vi sono istanti in cui il mistero dell'uomo
scocca nelle pupille il primo lampo profondo
come il tocco del cuore dietro la tenue onda dello sguardo -
io ricordo quei lampi, passati senza eco,
dandomi appena il tempo di un semplice pensiero.
Figlio mio difficile e grande, Figlio semplice,
tu certo in me ti avvezzi ai pensieri degli uomini
e all'ombra di questi pensieri attendi l'istante profondo del cuore
che ha un inizio diverso in ogni uomo -
ed è in me di pienezza materna -
la pienezza che ignora sazietà.

Racchiuso in quest’istante tu non subisci mutamenti
e a tanta semplicità rechi ogni cosa ch’è in me
che, se le madri negli occhi dei figli riconoscono il lampo del cuore,
io resto tutta assorta nel tuo Segreto.
(da La madre)

Così il figlio, che è Dio, impara l’umanità dagli occhi della mamma, che a sua volta è trascinata attraverso gli occhi del bimbo nella semplicità del grande, infinito significato della vita, dove amore e verità sono una cosa sola: «Senza la verità», scrive Benedetto XVI nel suo ultimo libro su Gesù, «l’uomo non coglie il senso della propria vita, lascia, in fin dei conti, il cammino ai più forti. “Redenzione” nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile».

Nacque il tuo nome tra la gente che per prima vide
il sentiero che tu percorrevi, dove ti aprivi un varco.
Nella folla in cammino verso il luogo del Supplizio –
ti apristi un varco a un tratto o te lo aprivi dall’inizio?
E da quando? – dimmelo tu, Veronica.
Nacque il tuo nome nello stesso istante in cui il cuore divenne l’effige: effige di verità.
Nacque il tuo nome da ciò che fissavi.
(da Veronica)

Il panno della Veronica porta il segno del contatto; per questo esso attira a sé tutta l’inquietudine del mondo: «Ogni creatura chiederà della fonte feconda che da te sgorga, Veronica sorella». Ma non è solo l’uomo a tendersi con ardente inquietudine verso il Volto dell’amato. Anche Dio si strugge di desiderio per l’uomo: «La redenzione cercava la tua forma per entrare nell’inquietudine d’ogni uomo».

Se l’amore tanto più è grande quanto più è semplice,
se il desiderio più semplice sta nella nostalgia
allora non è strano che Dio voglia
essere accolto dai semplici,
da quelli che hanno candido il cuore
e per il loro amore non trovano parole.

Ed Egli stesso nell’offerta
c’incantò con la sua semplicità,
la povertà, la mangiatoia, il fieno.
La Madre, allora, sollevò il Bambino
e lo cullava tra le braccia
e nelle fasce Gli avvolgeva i piedi.

Miracolo - Miracolo - Miracolo!
quando proteggo Dio con la mia umanità,
da lui protetto col Suo amore,
protetto col Suo martirio.
(da Canto del Dio nascosto)

«Vedere ha sempre a che fare con amare», ha scritto don Francesco Ventorino, commentando sull’Osservatore Romano una pagina del Gesù di Nazaret di Benedetto XVI.
«L’amore mi ha spiegato ogni cosa, l’amore ha risolto tutto per me», scrive Wojtyla nello stesso Canto del Dio nascosto: «Perciò ammiro questo Amore dovunque Esso si trovi». Viene forse da qui l’interesse con cui Giovanni Paolo II ha sempre guardato al matrimonio: «Nel discorso del Papa la donna per l’uomo e l’uomo per la donna sono l’aspetto visivo, visibile del trionfo, del fiore che è “germinato”, come dice Dante nel suo Inno alla Vergine: l’identità di umanità e fede». (Luigi Giussani, dalla Lettera al Santo Padre per i 25 anni del suo pontificato).

Persino la delusione amorosa d’una ragazza diviene intelligenza di sguardo sulla realtà:

Questo malessere dei sentimenti si misura con la colonna di mercurio
come si misura il calore dell’aria, o dei corpi -
eppure bisogna in altro modo scoprirne la grandezza…
(ma tu troppo ti senti il perno su cui ruotano le tue vicende).
Se riuscissi a capire che il perno non sei tu,
e Colui che lo è
neppure lui trova amore -
se riuscissi a capirlo.
(da Ragazza delusa in amore)

Se “vedere” ha a che fare con amare, vale anche il reciproco. Si può amare perché l’amore diviene visibile, riconoscibile.

Mi trovo sul limite della Sistina -
Forse tutto ciò era più facile interpretare
Nel linguaggio della “Genesi” -
Ma il Libro aspetta l’immagine -
È giusto. Aspettava un suo Michelangelo.
Poiché Colui che creava,
“vedeva” - vide che “ciò era buono”.
“Vedeva”, ed allora il Libro aspettava
il frutto della “visione”.
Sto invocandovi “vedenti” di tutti i tempi.
Sto invocandoti, Michelangelo!
Nel Vaticano è posta una cappella
che aspetta il frutto della tua visione!
La visione aspetta l’immagine.
Da quando il Verbo si fece carne, la visione,
da allora, aspetta.
(da Trittico romano)
di Mauro Grimoldi - http://www.tracce.it/default.asp?id=329&id_n=21909

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