domenica 15 maggio 2011

FARSI AFFERRARE DA GESÙ / QUELLA RADICE CHE DÀ FORZA



I cristiani non devono avere paura, ha detto il Papa parlando alle Pontificie Opere Missiona­rie. Non devono avere paura di proclamare il Van­gelo, anche se «sono attualmente il gruppo reli­gioso che soffre il maggior numero di persecu­zioni », ha ricordato. E basta pensare alle crona­che dall’Iraq all’Egitto, al Pakistan, all’Orissa, al Sudan, e avere anche una vaga memoria della fe­rocia subita, per domandarsi istintivamente: non aver paura? E come si fa, in certi posti, a non a­vere paura? Perfino lontano dagli scenari san­guinosi, nel civile sicuro orizzonte occidentale, non ci vuole un po’ di coraggio forse semplice­mente per palesarsi cristiani in un mondo seco­larizzato? (Nelle scuole, nei luoghi di lavoro, quel­la tacita pressione a richiudere la fede in una ca­mera privata, interiore, a non portarla nell’are­na del vivere comune).
Non dobbiamo avere paura, dice Benedetto XVI, e le sue parole riecheggiano quel 'non abbiate paura' di Giovanni Paolo II la cui eco è risonata il primo maggio in una piazza San Pietro gremi­ta e commossa. Già, non dobbiamo; ma, come si fa a non avere paura? Come fanno i cristiani in vaste zone del mondo a vivere, e a restare e a te­stimoniare il Vangelo, nella minaccia che in­combe? E come facciamo più modestamente noi, a non trovare più comodo e conveniente alli­nearci, omologarci al conformismo della cultu­ra dominante? Non bisogna avere paura, già; ma, come diceva Manzoni, il coraggio uno non se lo può dare. E allora un ascoltatore distratto potrebbe pensa­re a un imperativo morale che ci venga co­mandato, cui con le nostre forze dobbiamo a­derire; come soldati, ai quali sia stato inculca­to un senso militare dell’onore, e non ne pos­sano venire meno. Ma c’è un passaggio nel discorso di Benedetto XVI che di quel 'non abbiate paura' è la chiave di volta, e che nella sintesi dei titoli dei giornali ri­schia forse di non essere abbastanza notato. «Condizione fondamentale per l’annuncio è la­sciarsi afferrare completamente da Cristo», dice il Papa: in questo essere afferrati è la 'linfa vita­le' del cristiano e dell’annuncio cristiano. Affer­mazione che, a guardarla dalla platea di un cri­stianesimo formalmente e distrattamente eredi­tato – come è per non pochi in Occidente – è un capovolgimento radicale della questione. Perché la vulgata appresa da molti della nostra genera­zione – forse per colpa anche nostra, noi alunni svogliati – sembrava insistere sul cristianesimo come un 'dover essere', un dovere aderire a u­na morale, uno sforzarci di virtù. E invece la con­dizione fondamentale per vivere la fede e an­nunciarla, ricorda Benedetto, è «lasciarsi afferrare completamente da Cristo». Un essere presi, con­quistati, abitati; non un doverismo, un ferreo im­porsi una legge da osservare. Come Benedetto XVI ha scritto nell’incipit della Deus caritas est ,
«all’inizio dell’essere cristiano non c’è una deci­sione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona».

E dunque quel 'non abbiate paura' che da Gio­vanni Paolo II a Benedetto ci viene ripetuto non è l’ordine di aderire a un imperativo sia pure su­periore, ma è l’esortazione a lasciarsi semplice­mente afferrare da Cristo. Certo, anche questo comporta una paura, in uo­mini educati al culto di sé stessi, e di sé padroni; è un abbandonarsi, e anche questo richiede co­raggio. Certo, ognuno può obiettare di essere i­nadeguato e incapace, non assolutamente al­l’altezza di quel compagno. Ma il nostro Dio, ri­corda il Papa, è uso a mettere il suo tesoro in 'va­si di creta'. E la creta è terra, comune, e fragile. Però nella forma del vaso è fatta per accogliere. «L’anima non è che una cavità che egli riempie», ha scritto Clive Staples Lewis – l’autore di Cro­nache di Narnia – con l’intuizione folgorante del poeta. E dunque noi vasi di creta, materia da po­co; ma, colmati, capaci anche di un’appartenenza più grande della paura.
MARINA CORRADI Avvenire 15/05/11

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