sabato 14 maggio 2011

Nella famiglia la realizzazione dell’uomo «Qui si incontrano teologia dell’amore e teologia del corpo»

«Nei corpi lo spirito si manifesta e opera»

Il discorso rivolto ieri dal Papa ai partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Istituto Gio­vanni Paolo II per gli studi su matri­monio e famiglia in occasione del XXX anniversario di fondazione.
...Il nuovo Beato Giovanni Paolo II, che, come è stato ricordato, pro­prio trent’anni fa subì il terribile at­tentato in Piazza San Pietro, vi ha af- fidato, in particolare, per lo studio, la ricerca e la diffusione, le sue «Cate­chesi sull’amore umano», che con­tengono una profonda riflessione sul corpo umano. Coniugare la teologia del corpo con quella dell’amore per trovare l’unità del cammino dell’uo­mo: ecco il tema che vorrei indicarvi come orizzonte per il vostro lavoro.
P oco dopo la morte di Miche­langelo, Paolo Veronese fu chiamato davanti all’Inquisi­zione, con l’accusa di aver dipinto fi­gure inappropriate intorno all’Ulti­ma Cena. Il pittore rispose che anche nella Cappella Sistina i corpi erano rappresentati nudi, con poca rive­renza. Fu proprio l’inquisitore che prese la difesa di Michelangelo con u­na risposta diventata famosa: «Non sai che in queste figure non vi è cosa se non di spirito?». Da moderni fac­ciamo fatica a capire queste parole, perché il corpo ci appare come ma­teria inerte, pesante, opposta alla co­noscenza e alla libertà proprie dello spirito. Ma i corpi dipinti da Miche­langelo sono abitati da luce, vita, splendore. Voleva mostrare così che i nostri corpi nascondono un miste­ro. In essi lo spirito si manifesta e o- pera. Sono chiamati ad essere corpi spirituali, come dice san Paolo (cfr
1Cor 15,44). Ci possiamo allora chie­dere: può questo destino del corpo illuminare le tappe del suo cammino? Se il nostro corpo è chiamato ad es­sere spirituale, non dovrà essere la sua storia quella dell’alleanza tra cor­po e spirito? Infatti, lungi dall’oppor­si allo spirito, il corpo è il luogo dove lo spirito può abitare. Alla luce di que­sto è possibile capire che i nostri cor­pi non sono materia inerte, pesante, ma parlano, se sappiamo ascoltare, il linguaggio dell’amore vero.
L a prima parola di questo lin­guaggio si trova nella creazione dell’uomo. Il corpo ci parla di un’origine che noi non abbiamo con­ferito a noi stessi. «Mi hai tessuto nel seno di mia madre», dice il Salmista al Signore ( Sal 139,13). Possiamo af­fermare che il corpo, nel rivelarci l’O­rigine, porta in sé un significato filia- le, perché ci ricorda la nostra gene­razione, che attinge, tramite i nostri genitori che ci hanno trasmesso la vi­ta, a Dio Creatore. Solo quando rico­nosce l’amore originario che gli ha dato la vita, l’uomo può accettare se stesso, può riconciliarsi con la natu­ra e con il mondo. Alla creazione di Adamo segue quella di Eva. La carne, ricevuta da Dio, è chiamata a rende­re possibile l’unione di amore tra l’uomo e la donna e trasmettere la vi­ta. I corpi di Adamo ed Eva appaio­no, prima della Caduta, in perfetta armonia. C’è in essi un linguaggio che non hanno creato, un eros radi­cato nella loro natura, che li invita a riceversi mutuamente dal Creatore, per potersi così donare. Compren­diamo allora che, nell’amore, l’uomo è 'ricreato'. Incipit vita nova, diceva Dante ( Vita Nuova I,1), la vita della nuova unità dei due in una carne. Il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza di questo orizzonte che schiude: la bellezza integrale, l’u­niverso dell’altra persona e del 'noi' che nasce nell’unione, la promessa di comunione che vi si nasconde, la fecondità nuova, il cammino che l’a­more apre verso Dio, fonte dell’amo­re. L’unione in una sola carne si fa al­lora unione di tutta la vita, finché uo­mo e donna diventano anche un so­lo spirito. Si apre così un cammino in cui il corpo ci insegna il valore del tempo, della lenta maturazione nel­l’amore. In questa luce, la virtù della castità riceve nuovo senso. Non è un 'no' ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande 'sí' all’amore come co­municazione profonda tra le perso­ne, che richiede il tempo e il rispet­to, come cammino insieme verso la pienezza e come amore che diventa capace di generare vita e di accoglie­re generosamente la vita nuova che nasce.
Certo che il corpo contiene an­che un linguaggio negativo: ci parla di oppressione dell’altro, del desiderio di possedere e sfrutta­re. Tuttavia, sappiamo che questo lin­guaggio non appartiene al disegno originario di Dio, ma è frutto del pec­cato. Quando lo si stacca dal suo sen­so filiale, dalla sua connessione con il Creatore, il corpo si ribella contro l’uomo, perde la sua capacità di far trasparire la comunione e diventa terreno di appropriazione dell’altro. Non è forse questo il dramma della sessualità, che oggi rimane rinchiu­sa nel cerchio ristretto del proprio corpo e nell’emotività, ma che in realtà può compiersi solo nella chia­mata a qualcosa di più grande? A que­sto riguardo Giovanni Paolo II parla­va dell’umiltà del corpo. Un perso­naggio di Claudel dice al suo amato: «la promessa che il mio corpo ti fece, io sono incapace di compiere»; a cui segue la risposta: «il corpo si rompe, ma non la promessa...» ( Le soulier de satin , Giorno III, Scena XIII). La for­za di questa promessa spiega come la Caduta non sia l’ultima parola sul corpo nella storia della salvezza. Dio offre all’uomo anche un cammino di redenzione del corpo, il cui linguag­gio viene preservato nella famiglia. Se dopo la Caduta Eva riceve questo nome, Madre dei viventi, ciò testi­monia che la forza del peccato non riesce a cancellare il linguaggio ori­ginario del corpo, la benedizione di vita che Dio continua a offrire quan­do uomo e donna si uniscono in una sola carne. La famiglia, ecco il luogo dove la teologia del corpo e la teolo­gia dell’amore si intrecciano. Qui si impara la bontà del corpo, la sua te­stimonianza di un’origine buona, nell’esperienza di amore che ricevia­mo dai genitori. Qui si vive il dono di sé in una sola carne, nella carità c­o­È niugale che congiunge gli sposi. Qui si sperimenta la fecondità dell’amo- re, e la vita s’intreccia a quella di al- tre generazioni. È nella famiglia che l’uomo scopre la sua relazionalità, non come individuo autonomo che si autorealizza, ma come figlio, spo- so, genitore, la cui identità si fonda nell’essere chiamato all’amore, a ri- ceversi da altri e a donarsi ad altri.
Questo cammino dalla creazione trova la sua pienezza con l’Incarnazione, con la venuta di Cristo. Dio ha assunto il corpo, si è rivelato in esso. Il movimento del corpo verso l’alto viene qui in- tegrato in un altro movimento più originario, il movimento umile di Dio che si abbassa verso il corpo, per poi elevarlo verso di sé. Come Figlio, ha ricevuto il corpo filiale nella gratitu- dine e nell’ascolto del Padre e ha do- nato questo corpo per noi, per gene- rare così il corpo nuovo della Chiesa. La liturgia dell’Ascensione canta que- sta storia della carne, peccatrice in A- damo, assunta e redenta da Cristo. È una carne che diventa sempre più piena di luce e di Spirito, piena di Dio. Appare così la profondità della teo- logia del corpo. Questa, quando vie- ne letta nell’insieme della tradizione, evita il rischio di superficialità e con- sente di cogliere la grandezza della vocazione all’amore, che è una chia- mata alla comunione delle persone nella duplice forma di vita della ver- ginità e del matrimonio.
Cari amici, il vostro Istituto è posto sotto la protezione del­la Madonna. Di Maria disse Dante parole illuminanti per una teo­logia del corpo: «nel ventre tuo si rac­cese l’amore» ( Paradiso XXXIII, 7). Nel suo corpo di donna ha preso cor­po quell’Amore che genera la Chie­sa. La Madre del Signore continui a proteggere il vostro cammino e a ren­dere fecondo il vostro studio e inse­gnamento, a servizio della missione della Chiesa per la famiglia e la so­cietà. Vi accompagni la Benedizione Apostolica, che imparto di cuore a tutti voi. Grazie.
Benedetto XVI

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