venerdì 19 ottobre 2012
Il dono più prezioso
Cosi, seguendo il papa, inizia un viaggio che ci permetterà di conoscere Cristo e noi stessi.
È esaltante iniziare un lavoro. Sempre. Ma lo è ancora di più quando questo lavoro coincide con la questione decisiva della vita. E la fede - riconoscere o meno la Presenza di Cristo, nelle circostanze che la realtà ci mette di fronte - è il fatto che decide la nostra esistenza. In ogni suo istante.
È per questo che Benedetto XVI ha voluto l’Anno della Fede, che si apre proprio nei prossimi giorni: per «riscoprire e riaccogliere questo dono prezioso della fede», per «conoscere in modo più profondo le verità che sono la linfa della nostra vita», per «condurre l’uomo d’oggi, spesso distratto, a un rinnovato incontro con Gesù Cristo, via, verità e vita», come ha detto ai Vescovi italiani di recente. «Linfa», perché senza di essa la vita non scorre. Non può scorrere. Si disperde e inaridisce nelle pieghe, spesso drammatiche, della nostra quotidianità. E «distrazione», perché tutto o quasi, oggi, sembra cospirare per distogliere il nostro sguardo da quella Presenza reale, da quell’incontro.
Vengono in mente le paroleusate anni fa da don Giussani, per esprimere l’urgenza che sentiva più pressante: «Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto».
Ma l’avvio dell’Anno della Fede ci fa comprendere di più anche un altro avvenimento. Pochi giorni fa, chi segue il carisma di don Giussani ha vissuto un altro “inizio”: una giornata di ripresa del lavoro comune, come accade ogni anno (la trovate documentata nella Pagina Uno). Tema: «La vita come vocazione». Ovvero la possibilità che le circostanze che Dio ci mette di fronte - anche le più dolorose, anche quelle che fanno emergere tutto il buio e il dramma - siano riconosciute per quello che sono, cioè «voce di Dio», occasione per la nostra maturazione. Per conoscere veramente noi stessi. Per arrivare al fondo della coscienza che possiamo avere di noi. Fino al suo punto di origine. Così che - concludeva Julián Carrón - si possa dire, con don Giussani, «mia forza e mio canto è il Signore. È la verità di tutto quel che c’è qui, la verità ultima di tutto quel che c’è qui. Ogni cosa in Lui consiste. Mia forza, perciò mia arma di battaglia; mio canto, vale a dire mia dolcezza che rimane nella battaglia, la bellezza che mi trascina nella battaglia, che mi dà sostegno nella battaglia, durasse un’ora o durasse cento giorni, anzi, c’è la battaglia che è tutta la vita, perché nel vivere io tenga presente Gesù. Questo l’amicizia nostra ci promette, un aiuto a camminare dentro questa memoria».
Ecco il cammino che abbiamo davanti quest’anno. La possibilità di scoprire noi stessi e insieme Cristo. Di guadagnare una coscienza che, forte della fede, permette di affrontare tutto - tutto! - senza paura, come raccontano molte delle testimonianze che trovate in queste pagine. Ed è un cammino semplice (non facile: semplice) perché lo si può fare seguendo qualcuno. Il Papa, appunto. E la Chiesa, nel luogo e nei volti in cui si fa più prossima alla nostra vita.
Questo è ciò che rende esaltante l’inizio del lavoro. Questa è la promessa che sta in ogni passo. Fin dal primo. Fin da ora.
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