mercoledì 27 aprile 2011

"EMERGENZA UOMO ", la risposta è un fatto. Come non diventare né "anoressici dell'umano" né cortigiani della storia.


Un commento a don Giussani






di J. Carròn .

L’imperatore si rivolse ai cristiani dicendo: “ Strani uomini …ditemi voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?”.(Solov’ev, il racconto dell’Anticristo). Sentirci rivolgere questa domanda ci scuote ora come la prima volta che tanti di noi l’hanno ascoltata pronunciare da don Giussani. Anzi,ancora di più, nella misura in cui è cresciuta in noi la consapevolezza della sua portata. Essa ci mette a nudo davanti a noi stessi.E’ forsel’unica domanda a metterci veramente a nudo. Probabilmente perché ognuno sa che davanti a essa non può barare. Ed è inutile fingere: non si può nascondere dietro le solite cose che ci servono da alibi per non guardarla in faccia.
Mentre ci mette alle strette-sfidando al nostra ambiguità,perturbando la nostra tranquillità,i nostri compromessi- come la risposta dello starets Giovanni e rispose con dolcezza:”Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso.Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità”. Non i valori, non l’etica, non le opere, ma Cristo stesso.
Le conseguenze sulla personalità del potere devastante che ci circonda si vedono chiaramente.
Don Giussani ne segnala soprattutto due.
La prima è una difficoltà a comprendere per colpa di una ragione fragile”. Non dico che siamo stati impostori o mendaci, che abbiamo dato via il Volantone senza che vi aderissimo; vi abbiamo aderito, ma non l’abbiamo compreso, non ci ha provocati, non l’abbiamo capito. Una ragione fragile! C’è l’avessero chiesto , avremo detto:”Si, ioci credo, anch’io dico così !”, ma astrattamente. Una ragione fragile”.
La seconda conseguenza è “la divisione fra riconoscimento e affettività, fra il riconoscimento e l’essere attaccati al riconoscimento. L’io resta diviso fra il riconoscimento che resta astratto e l’affettività che fluttua. Come all’inizio dell’umanesimo, all’inizio dell’evo moderno: Petrarca ammetteva tutto il dottrinale cristiano, eccome, lo sentiva anche meglio di noi, ma la sua sensibilità o affettività fluttuava autonoma, ed era diviso. per questo dice:” Chi mi darà l’ali di colomba sì che m’inalzi, elevimi da terra , e sia unificato?”
Don Giussani insiste osservando che c’è una “divisione fra l’oggetto del desiderio e il reale che ho di fronte, perché “ ciò che polarizza la mia affettività è il reale che ho di fronte, cioè l’apparenza, così che il rapporto con il reale, il gesto che è il rapporto con il reale, non testimonia Cristo, cioè non veicola come suo significato Cristo ( gesto, da gerere, vuol dire “ portare il significato”. Questo ci fa sperimentare sulla nostra pelle fino a che punto definire “ Emergenza l’uomo” la situazione drammatica in cui si trovava, e si trova, l’io di ciascuno, non è per niente esagerato.Don Giussani ne è talmente certo che la descrive come una sorte di “anoressia dell’umano”. In questa situazione, come la risposta dello starets Giovanni può diventare mia, nostra? Soltanto se c’è una presenza nella storia in grado di inquietare, provocare la presenza devastante del potere. Dice ,infatti , don Giussani: “ La presenza della mentalità comune prodotta dal potere è devastante in noi la personalità e la ricchezza della proposta cristiana. E’ come barbarie che si pone contro, che s’avventa contro la realtà nuova che il cristianesimo è .
E’ devastante il contenuto, la sostanza, la struttura stessa del fatto cristiano”.Questa è la sfida storica che il cristianesimo ha davanti a sé. Dall’esito di questa lotta dipende la nostra fortuna: La persona e il cristianesimo, da questo punto di vista, rischiano la stessa sorte. La carità di don Giussani nei nostri confronti arriva fino al punto di metterci in guardia da un pericolo: Andrea Emo, lanciato da la Repubblica come uno dei più grandi pensatori
noti della nostra epoca, dice in un suo pensiero: “ La Chiesa è stata per secoli la protagonista della storia, poi ha assunto la parte non meno gloriosa di antagonista della storia; Oggi è soltanto la cortigiana della storia” . E ci indica anche la strada per non finire così: “ Noi non vogliamo una Chiesa così ! ma per non volerla, dobbiamo noi essere protagonisti, perché la Chiesa è fatta di noi. Il rapporto con ciò che non appartiene al deserto è l’unico termine costitutivo di un personalità che sia protagonista e non cortigiana di ciò che la circonda. Allora occorre un lavoro, mettersi al lavoro, per essere protagonisti di una storia” . Questo lavoro – l’unico veramente degnodi un uomo che non voglia diventare “cortigiano della storia” –è la strada che don Giussani ci ha consegnato, avendola percorsa prima di noi, per poter sfidare il mondo – che è dentro e fuori di noi – con la forza di ciò che abbiamo di più caro. E per fare la verifica che la fede è un flusso continuo di novità che rende la vita più piena, più grande e più felice. Così, possiamo finalmente dire come nostra la frase dello starete Giovanni.

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