(Sant’Ambrogio)
L’ingresso del Messia
IV Domenica d’Avvento
Is 4,2-5; Sal 23 (24); Eb
2,5-15; Lc 19,28-38
Duomo di Milano, 6 dicembre 2015
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
1.
Aspettiamo il Signore con ardente speranza
A conclusione della Liturgia della Parola pregheremo: «… a coloro che aspettano il Signore con ardente speranza… dona il tuo
aiuto per la vita presente e i beni di quella futura». La speranza è
infatti, come dice san Tommaso d’Aquino, un’attesa certa del proprio
compimento. E speranza, più propriamente, è il nome dell’attesa cristiana.
Entriamo nella quarta
settimana di Avvento e la nostra attesa-speranza si fa sempre più intensa. Il
tempo che ci separa dalla venuta del Salvatore è sempre più breve: il brano evangelico
odierno, descrivendo in undici versetti l’ingresso di Gesù a Gerusalemme ripete
per ben due volte il suo farsi vicino («quando
fu vicino» Vangelo, Lc 19,29; «era ormai vicino» Lc
19,37).
2.
Chi è questo re?
Alla domanda del Salmo responsoriale, dettata
dall’attesa messianica – «Chi è questo re
della gloria?» –, risponde la narrazione del Vangelo: «Gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli
avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada» (Vangelo, Lc 19,35-36). Gesù non entra nella città di Davide con il
cavallo da guerra, come fanno i principi conquistatori, ma con un puledro non
ancora cavalcato da nessuno, scelta cui aveva fatto riferimento il profeta
Zaccaria per indicare il principe della pace. Il Messia entra in Gerusalemme
non per prendervi possesso secondo la logica del potere mondano, ma per dare la
propria vita. «Benedetto colui che viene, il re, nel nome
del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» (Vangelo, Lc 19,38). L’acclamazione gioiosa con cui Gesù viene accolto dalla
folla dei discepoli rimanda all’inizio del vangelo di Luca, all’annuncio ai
pastori; qui però non si fa più riferimento alla terra, ma solo al cielo: Pace in cielo, il luogo della pace
sicura e definitiva che, per questo, ci dà l’energia di cercare questa pace con
tutte le forze anche su questa terra.
3.
La fedeltà del “resto” fa fiorire la terra
«In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza
e ornamento per i superstiti d’Israele» (Lettura, Is 4,2). L’espressione germoglio
del Signore, usata in parallelo con frutto
della terra, annuncia il rifiorire della creazione.
Possiamo qui fare riferimento allo sguardo di Cristo sul creato che è
trasparente e luminoso. Lo dobbiamo imparare, come ci ha ricordato il Papa
nell’Enciclica Laudato sì’ che è
punto di riferimento per l’incontro mondiale sul clima in atto a Parigi.
Anche
il testo di Isaia è un invito alla speranza, fondata sulla presenza di un
“resto” aperto all’azione purificatrice di Dio. Il “resto” non è l’insieme dei
perfetti, ma il popolo di coloro che sono consapevoli della loro immeritata
elezione, cioè consapevoli della misericordia di Dio. Ed il “resto” vive in
funzione di tutti, come pegno della promessa rivolta a tutti.
4.
Solidarietà
coi fratelli nella morte per condurli nella Vita
«Poiché dunque i figli hanno in comune il
sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe» (Epistola, Eb 2,14). Gesù si è fatto solidale con i suoi fratelli in umanità,
dal primo istante del suo concepimento nel grembo di una donna fino
all’abbassamento della morte. Si è abbassato «per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il
potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte,
erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2, 15). Gesù è glorioso non in forza della sofferenza o dell’umiliazione
mortale prese in se stesse, ma per il fatto che, mediante esse, Egli è divenuto
solidale con i suoi fratelli passati, presenti e futuri. Per questo scopo di
solidarietà con tutti gli uomini «conveniva
che Dio […] rendesse perfetto per
mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza» (Eb 2,10), in modo che Gesù, giunto per
primo alla meta gloriosa, vi conducesse tutti.
La
speranza è per sua natura solidale. Non posso non sperare per tutti. È questa
speranza solidale che ci aiuta a vincere la comprensibile paura per gli orrendi
atti terroristici che continuano ad insanguinare con le guerre varie regioni
del mondo.
5.
Seppellire i
morti e Pregare Dio
per i vivi e per i morti
Le
due opere di misericordia corporale e spirituale cui ci richiamiamo oggi – Seppellire i morti e Pregare Dio per i vivi e per i morti – sono
spiccate espressioni di questa solidarietà tra gli uomini. Esse rivestono un
carattere cruciale nell’umana esperienza, tanto inevitabile quanto ostico e
tendenzialmente rimosso dalla nostra cultura.
Chiediamoci
allora: “Come
viviamo il cambiamento in atto, soprattutto in città, delle forme di esequie e
di sepoltura (“rendere onore”) dei nostri cari?” Non lasciamole cadere
nell’anonimato e nemmeno in un individualismo sentimentale. Una solida civiltà
ha bisogno di un raccordo stabile e pubblico con i suoi morti. Amen.
Nessun commento:
Posta un commento