martedì 24 febbraio 2015

Scola: «Giussani testimone di una vita più ricca di fede ».«È la vita della mia vita, Cristo. »





Arcidiocesi di Milano


XXXIII anniversario del Riconoscimento Pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione

X Anniversario della morte del servo di Dio Mons. Luigi Giussani


Lunedì della I Settimana di Quaresima

Gen 2,4b-17; Sal 1; Pro 1,1-9; Mt 5,1-12a


Duomo di Milano, 23 febbraio 2015


Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



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1. «Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino”» (Vangelo, Mt 4,17). Nell’orizzonte dell’annuncio del regno di Dio il Vangelo di Matteo situa il discorso delle Beatitudini. Salito su una delle colline vicino a Cafarnao, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Gesù, sedutosi, «si mise a parlare e insegnava» (Vangelo, Mt 5,2).
Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Liturgia, fa un’affermazione che quasi sempre ignoriamo: Cristo «è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si leggono le Sacre Scritture» (Sacrosanctum Concilium, 7).
Carissime, carissimi, se questa sera, mentre Gesù ci parla, non siamo presenti in Duomo o a casa, spalancati alla conversione, vale a dire decisi a cambiare e a cambiare subito, questo gesto eucaristico, che intende far memoria viva del carissimo don Giussani, si ridurrebbe a cerimonia esteriore, priva, per finire, di ogni fecondità.
Ha scritto don Giussani: «La contrizione che sta all’inizio della Assemblea cristiana e nel sacramento della Confessione deve essere fatta guardando in faccia questa Presenza e dicendo: “sono così, riconosco che sono così”. È un gesto che incomincia col dolore e finisce nella letizia» (L’Alleanza, Jaca Book, Milano 1979, 114). Senza mendicare, qui ed ora, il perdono, la memoria di don Giussani illanguidisce in sentimentale ricordo, che inesorabilmente sfocia in rovinosi pregiudizi.

2. Il celebre testo delle Beatitudini, prima ancora di indicarci uno stile di vita che rovescia la mentalità che purtroppo largamente affligge il nostro io di europei narcisi, descrive i tratti della persona amata di Cristo Gesù. Lui, Lui solo è la roccia su cui questa sera dobbiamo poggiare per invocare quella trasformazione del cuore di cui abbiamo quotidianamente bisogno. Più fede, più fede – parola drammatica – per vivere gli affetti, il lavoro, il riposo, il dolore nostro e dei nostri cari, la morte; per affrontare il male che compiamo e chiederne perdono; per educare i nostri figli e perché i nostri figli scoprano la convenienza di lasciarsi educare; per contribuire all’edificazione di una vita buona nella società plurale in un tempo in cui uomini e donne – e tra di loro tanti cristiani – vengono trucidati, cacciati dalle loro terre e dalle loro case, costretti ad una tragica emigrazione; per accettare, Dio non voglia, la possibilità di un nuovo martirio di sangue dei cristiani in Europa.

3. Il desiderio di nulla anteporre a Cristo, di guardare il Suo volto di uomo compiuto, ne sono certo, è vivo nel cuore di quanti, grazie proprio a don Giussani, hanno «acquistato una saggia educazione» (Seconda Lettura, Pr 1,3).
E tuttavia – lo sappiamo bene – se il desiderio non raggiunge quotidianamente la nostra carne e, attraverso di essa, tutta la realtà, resta velleità che confonde.
La penitenza quaresimale, carissimi, è un andare in profondità (poenitus) che non può risparmiare alla nostra libertà la ferita che l’orazione all’Inizio dell’Assemblea liturgica ben descrive quando ci invita a «rinnovare con propositi di vita austera il nostro impegno cristiano; nella lotta contro lo spirito del male – domandiamo – non ci manchi per Tua grazia il coraggio di rinunce salutari».
Incrollabile fede in Gesù, nostro unico Redentore, e libertà coinvolta con Lui, l’uomo delle Beatitudini, sono l’energica e salutare indicazione che la Chiesa ci dona per il tempo di Quaresima. Noi vogliamo seguirla con cuore libero e lieto, perché – come ci ha ricordato Papa Francesco – «Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato» (Messaggio per la Quaresima 2015).

4. A dieci anni dalla morte del Servo di Dio Luigi Giussani vale la pena meditare attentamente, in modo personale e comunitario, un passaggio ben noto, tratto dagli Esercizi della Fraternità del 1997. Potremmo benissimo ritenerlo un frammento prezioso del suo testamento, eredità da “trafficare” per il bene personale e del movimento di Comunione e Liberazione: «è la vita della mia vita, Cristo. In Lui si assomma tutto quello che io vorrei, tutto quello che io cerco, tutto quello che io sacrifico, tutto quello che in me si evolve per amore delle persone con cui mi ha messo» (L. Giussani, Tu o dell’amicizia: Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione, Supplemento a Litterae Communionis-Tracce 24, 6 [1997] 51).

5. Dice il Libro della Genesi: «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Lettura, Gn 2,7). La robusta confessione di fede in Cristo Gesù, centro affettivo dell’esistenza, poggia per don Giussani sul riconoscimento della dipendenza dal Creatore. Egli solo può far vivere e mantenere in vita ciò che prima non esisteva. Così il Signore Dio mantiene in vita, in questo preciso istante, ciascuno di noi.
Ma, chiediamoci, come “un Altro” può essere «vita della mia vita» se questa mia fragile esistenza è sospesa a qualunque circostanza, favorevole o sfavorevole, a qualunque rapporto, di preferenza o di estraneità fino al rifiuto… come può, insomma, il dono della vita avere senso e raggiungere la sua pienezza? Solo se trova in me la ragionevole disposizione a donare, a mia volta, la mia stessa vita.
I discepoli Lo ascoltano sul “monte” mentre proclama beati quelli che il mondo considerava solo tapini se non maledetti. Furono di certo sconcertati ma, per una sottile fessura del loro cuore, passò, in un lampo, la consapevolezza che in quelle parole controcorrente si giocava il loro destino e non solo il loro.
Amici, dare la vita, come ricordava don Giussani, resta il “caso serio” per ogni cristiano. E lo è, in modo stringente, dopo la scomparsa del suo fondatore, per tutti i membri di Comunione e Liberazione. Questo è «un momento in cui la presa di coscienza della responsabilità per ognuno è gravissima come urgenza, come lealtà e come fedeltà. È il momento della responsabilità che del carisma si assume ciascuno» (L. Giussani, Il sacrificio più grande è dare la propria vita per l’opera di un Altro n. 2). Sono sue parole.
La chiusa del frammento prima richiamato completa la descrizione che don Giussani fa della sua personale esperienza di fede: «In Cristo tutto si assomma…». A quale scopo? «Per amore delle persone con cui mi ha messo».
Si appartiene a Cristo perché ogni giorno ci si lascia convocare nella comunione con quanti appartengono a Lui. Non c’è personalità senza comunità, ma non c’è comunità autentica se non fa fiorire il volto singolare di ogni persona.

6. Come ha scritto don Julián Carrón, successore di don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, nella Lettera inviata a tutti i membri della Fraternità in vista dell’imminente incontro con Papa Francesco per ricordare i 60 anni della Fraternità e i 10 anni della dipartita del Fondatore, quanti seguono il carisma di don Giussani – carisma di incarnazione – sono chiamati a radicarsi, con sempre maggior decisione, nella vita della Chiesa, mediante un riferimento esplicito al Papa e ai vescovi in comunione con lui. Ora, non dimentichiamo che il carisma di don Giussani, cattolico, cioè universale, è un carisma fortemente ambrosiano. La Chiesa ambrosiana, come ben sapete, è intenta a proporre Gesù Cristo come Evangelo dell’umano agli uomini e alle donne di questo travagliato inizio di millennio. I cristiani, sostenuti dalla presenza misericordiosa del Risorto, intendono farsi carico, al di là del loro limite e per quanto possibile, del bene di tutti. Di questo ha bisogno la Chiesa ed ha bisogno il mondo.
L’Arcivescovo umilmente vi ricorda che approfondire personalmente e comunitariamente il carisma richiede di lavorare nella vigna in cui il Padre ci ha piantati attuando il metodo della comunione ecclesiale: pluriformità nell’unità. Coi cristiani, e non solo, delle zone pastorali, dei decanati, delle comunità pastorali, delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, la comune missione domanda a tutti i fedeli della amata diocesi di Ambrogio e di Carlo di percorrere le vie dell’umano.


7. «Expertus potest credere quid sit Jesum diligere». Chi più di Maria è esperta nell’amare Gesù? L’intercessione della Madonna, che dall’alto del Duomo protegge le terre ambrosiane, assicuri fede, speranza e carità. Amen.

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