sabato 21 febbraio 2015

L’eredità di Giussani dieci anni dopo: un messaggio vivo


Don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. (...) Servendo così, dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco – come vediamo in questo momento – è divenuto realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé ma a Cristo, ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo per il cielo». Le parole pronunciate davanti a 50mila persone radunate a Milano in piazza del Duomo e in Cattedrale dal cardinale Joseph Ratzinger durante l’omelia per i funerali di don Giussani, morto il 22 febbraio 2005, raccontano di un’eredità viva e che a dieci anni dalla morte del fondatore di Comunione e Liberazione continua a portare frutto. Accade in Italia, dove il movimento è nato e ha mosso i suoi primi passi sessant’anni fa, e in tanti Paesi del mondo, con una diffusione che colpisce per la sua trasversalità geografica, anagrafica, culturale e sociale. 

Il video “La strada bella”, realizzato facendo sintesi tra 603 filmati inviati da 43 Paesi di ogni continente, ne fornisce decine di testimonianze tanto brevi quanto significative. Si comincia con un mungitore che racconta di avere imparato da Giussani che chi ha scoperto il tesoro della fede cristiana «dovrebbe andare in giro per tutto il mondo a raccontarlo a tutti, ma può farlo anche stando lá dove Cristo lo ha messo», in una stalla del Cremonese. E si dipana con una serie di istantanee che vanno dalla Sicilia a San Paolo del Brasile, passando per Miami, Manila, l’Uganda, l’Australia, la Siberia, Taiwan, New York, fino a un impianto petrolifero dell’Iraq dove quattro amici si radunano ogni mattina a recitare l’Angelus prima di cominciare a lavorare. Operai e insegnanti, madri di famiglia e imprenditori, ragazzini e novantenni, pezzi di quel popolo nato dal carisma di una persona appassionata all’umanità di tutti e che ha speso la vita testimoniando come il cristianesimo risponde al desiderio di felicità che abita nel cuore di ciascuno. 

Il 7 marzo, in occasione del decimo anniversario della morte di Giussani (di cui è stata chiesta l’apertura della causa di beatificazione) e per i sessant’anni dall’inizio del movimento, i ciellini saranno ricevuti in udienza dal Papa. Sarà il primo incontro pubblico, in vista del quale si stanno organizzando treni speciali e pullman. In una lettera scritta nei giorni scorsi il presidente della Fraternità di Cl, Julián Carrón, sottolinea che «andiamo a Roma non per un incontro celebrativo, ma solo per il desiderio di imparare da papa Francesco come essere cristiani in un mondo in così rapida trasformazione. Vi prego di chiedere ogni giorno alla Madonna che ciascuno di noi possa essere pronto a ricevere ogni indicazione che il Papa ci darà per poter continuare a vivere sempre di più il carisma che ci ha afferrato, affinché si possa compiere lo scopo per cui lo Spirito lo ha suscitato in don Giussani: rendere presente in ogni periferia – cioè in ogni ambiente di vita – il fascino di Cristo, la sua attrattiva unica, attraverso la materialità della nostra esistenza». 

Di questa "attrattiva", che ha raggiunto anche tanti laici e persone appartenenti ad altri "mondi" religiosi (vedere box in questa pagina), è stato testimone per molti anni Alberto Savorana, portavoce del movimento e autore della monumentale biografia del fondatore Vita di don Giussani (Rizzoli), che ha venduto decine di migliaia di copie ed è ora disponibile anche in edizione economica e in formato ebook: «Nelle 130 presentazioni del libro fatte in Italia, con la partecipazione di intellettuali, docenti universitari, giornalisti, imprenditori, ecclesiastici, mi ha colpito il fatto che quasi tutti hanno parlato di don Giussani al presente, come se non stessero commemorando un morto ma avessero incontrato qualcosa di pertinente alla loro vita, prima che un pensiero e un insegnamento. 

Un’attrattiva che, a dieci anni dalla sua nascita al Cielo, continua a muovere le persone, anche quelle che non lo hanno mai incontrato». Come le tre ragazze che nel video La strada bella se ne vanno in bicicletta a Macapá, sulle sponde del Rio delle Amazzoni, e raccontano: «Da qui passò don Giussani, in uno dei primi viaggi che fece in Brasile. Dopo trent’anni il suo carisma è arrivato fino a noi. Non lo abbiamo conosciuto personalmente, ma lo consideriamo come un padre».
Giorgio Paolucci


Funerali di Don Giussani: l'omelia del card. Joseph Ratzinger



«Innamorato di Cristo»

Joseph Ratzinger

24/02/2005 - Omelia del cardinale Joseph Ratzinger, presente al funerale di don Giussani a nome del Santo Padre Giovanni Paolo II

Cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, «i discepoli al vedere Gesù gioirono». Queste parole del Vangelo ora letto ci indicano il centro della personalità e della vita del nostro caro don Giussani.
Don Giussani era cresciuto in una casa - come disse lui stesso - povera di pane, ma ricca di musica, e così sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia.

Già da ragazzo ha creato con altri giovani una comunità che si chiamava Studium Christi. Il loro programma era parlare di nient’altro se non di Cristo, perché tutto il resto appariva come perdita di tempo. Naturalmente ha saputo poi superare l’unilateralità, ma la sostanza gli è sempre rimasta.
Solo Cristo dà senso a tutto nella nostra vita; sempre don Giussani ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il cristianesimo è un incontro, una storia di amore, è un avvenimento.

Questo innamoramento in Cristo, questa storia di amore che è tutta la sua vita era tuttavia lontana da ogni entusiasmo leggero, da ogni romanticismo vago. Vedendo Cristo realmente ha saputo che incontrare Cristo vuol dire seguire Cristo. Questo incontro è una strada, un cammino, un cammino che attraversa - come abbiamo sentito nel salmo - anche la “valle oscura”.
Nel Vangelo, abbiamo sentito proprio l’ultimo buio della sofferenza di Cristo, della apparente assenza di Dio, dell’eclisse del Sole del mondo. Sapeva che seguire è attraversare una “valle oscura”, andare sulla via della croce, e tuttavia vivere nella vera gioia.

Perché è così? Il Signore stesso ha tradotto questo mistero della croce, che in realtà è il mistero dell’amore, con una formula nella quale si esprime tutta la realtà della nostra vita. Il Signore dice: «Chi cerca la sua vita, la perderà e chi perde la propria vita, la troverà».
Don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. Ha realizzato quanto abbiamo sentito nel Vangelo: non voleva essere un padrone, voleva servire, era un fedele servitore del Vangelo, ha distribuito tutta la ricchezza del suo cuore, ha distribuito la ricchezza divina del Vangelo, della quale era penetrato e, servendo così, dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco - come vediamo in questo momento - è divenuto realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé, ma a Cristo, proprio ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo per il cielo.

Questa centralità di Cristo nella sua vita gli ha dato anche il dono del discernimento, di decifrare in modo giusto i segni dei tempi in un tempo difficile, pieno di tentazioni e di errori, come sappiamo. Pensiamo agli anni ’68 e seguenti, un primo gruppo dei suoi era andato in Brasile e qui si trovò a confronto con la povertà estrema, con la miseria. Che cosa fare? Come rispondere?
E la tentazione fu grande di dire: adesso dobbiamo, per il momento, prescindere da Cristo, prescindere da Dio, perché ci sono urgenze più pressanti, dobbiamo prima cominciare a cambiare le strutture, le cose esterne, dobbiamo prima migliorare la terra, poi possiamo ritrovare anche il cielo.
Era la tentazione grande di quel momento di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare. Perché, che cosa comporta il credere? Si può dire: in questo momento dobbiamo fare qualcosa. E tuttavia, di questo passo, sostituendo la fede col moralismo, il credere con il fare, si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide.

Monsignor Giussani, con la sua fede imperterrita e immancabile, ha saputo che, anche in questa situazione, Cristo, l’incontro con Lui rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e chi non dà Dio, chi non fa trovare Dio nel volto di Cristo, non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi.
Don Giussani ha conservato la centralità di Cristo e proprio così ha aiutato con le opere sociali, con il servizio necessario l’umanità in questo mondo difficile, dove la responsabilità dei cristiani per i poveri nel mondo è grandissima e urgente.
Chi crede deve attraversare anche la “valle oscura”, le valli oscure del discernimento, e così anche delle avversità, delle opposizioni, delle contrarietà ideologiche che arrivavano fino alle minacce di eliminare i suoi fisicamente per liberarsi da questa altra voce che non si accontenta del fare, ma porta un messaggio più grande, così anche una luce più grande.

Monsignor Giussani, nella forza della fede, ha attraversato imperterrito queste valli oscure e naturalmente, con la novità che portava con sé, aveva anche difficoltà di collocazione all’interno della Chiesa.
Sempre se lo Spirito Santo, secondo i bisogni dei tempi, crea il nuovo, che in realtà è il ritorno alle origini, è difficile orientarsi e trovare l’insieme pacifico della grande comunione della Chiesa universale. L’amore di don Giussani per Cristo era anche amore per la Chiesa, e così sempre è rimasto fedele servitore, fedele al Santo Padre, fedele ai suoi Vescovi.
Con le sue fondazioni ha anche interpretato di nuovo il mistero della Chiesa.

Comunione e Liberazione ci fa subito pensare a questa scoperta propria dell’epoca moderna, la libertà, e ci fa pensare anche alla parola di sant’Ambrogio: «Ubi fides ibi libertas». Il cardinale Biffi ha attirato la nostra attenzione sulla quasi coincidenza di questa parola di sant’Ambrogio con la fondazione di Comunione e Liberazione. Mettendo in rilievo così la libertà come dono proprio della fede, ci ha anche detto che la libertà, per essere una vera libertà umana, una libertà nella verità, ha bisogno della comunione. Una libertà isolata, una libertà solo per l’io, sarebbe una menzogna e dovrebbe distruggere la comunione umana.
La libertà per essere vera, e quindi per essere anche efficiente, ha bisogno della comunione, e non di qualunque comunione, ma ultimamente della comunione con la verità stessa, con l’amore stesso, con Cristo, col Dio trinitario.
Così si costruisce comunità che crea libertà e dona gioia.

L’altra fondazione, i Memores Domini, ci fa pensare di nuovo al secondo Vangelo di oggi: la memoria che il Signore ci ha dato nella santa Eucaristia, memoria che non è solo ricordo del passato, ma memoria che crea presente, memoria nella quale Egli stesso si dà nelle nostre mani e nei nostri cuori, e così ci fa vivere.
Attraversare valli oscure. Nella ultima tappa della sua vita don Giussani ha dovuto attraversare la valle oscura della malattia, dell’infermità, del dolore, della sofferenza, ma anche qui il suo sguardo era fissato su Gesù, e così rimase vero in tutta la sofferenza, vedendo Gesù, poteva gioire, era presente la gioia del Risorto, che anche nella passione è il Risorto e ci dà la vera luce e la gioia e sapeva che - come dice il salmo - anche attraversando questa valle, «non temo alcun male perché so che Tu sei con me e abiterò nella casa del Padre».
Questa era la sua grande forza: sapere che «Tu sei con me».
Miei cari fedeli, cari giovani soprattutto, prendiamo a cuore questo messaggio, non perdiamo di vista Cristo e non dimentichiamo che senza Dio non si costruisce niente di bene e che Dio rimane enigmatico se non riconosciuto nel volto di Cristo.

Adesso il vostro caro amico don Giussani è arrivato nell’altro mondo e siamo convinti che si è aperta la porta della casa del Padre, siamo convinti che adesso pienamente si realizza questa parola: vedendo Gesù gioirono, gioisce con una gioia che nessuno gli toglie.
In questo momento vogliamo ringraziare il Signore per il grande dono di questo sacerdote, di questo fedele servitore del Vangelo, di questo padre. Affidiamo la sua anima alla bontà del suo e del nostro Signore.
Vogliamo in quest’ora pregare anche particolarmente per la salute del nostro Santo Padre, ricoverato di nuovo in ospedale. Il Signore lo accompagni, gli dia forza e salute.
E preghiamo perché il Signore ci illumini, ci doni la fede che costruisce il mondo, la fede che ci fa trovare la strada della vita, la vera gioia.
Amen.


Nella semplicità del mio cuore lietamente Ti ho dato tutto

Luigi Giussani

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