martedì 6 gennaio 2015

Te Deum laudamus perché neanche il diavolo può distruggere la mia opera se la fai Tu .Te Deum di padre Aldo Trento

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Con il cuore traboccante di pace alla fine di quest’anno sento mie le parole del Te Deum. Un anno, il 2014, carico di avvenimenti che mi hanno fatto gioire e soffrire. Gioire perché ho visto tanti piccoli alberi fiorire. Più di 200 persone accompagnate a morire. Ultimamente quasi ogni giorno due persone lasciavano questo mondo per entrare in quello che san Pietro ci diceva nelle letture: cieli nuovi e terre nuove. Nel dolore di vedere le lunghe agonie che sembravano interminabili, sperimentavo la verità dell’esistenza: solo la certezza che l’uomo, che io sono relazione con il Mistero, non solo impedisce la disperazione ma rende il dolore della malattia una possibilità di uno sguardo sereno alla meta che si avvicina. Osservando il dolore dei miei ammalati ritrovavo e ritrovo il senso della mia spondilite che lentamente guadagna terreno, provocandomi a vivere con gli occhi fissi al Mistero fatto carne in Gesù che oggi vive nell’Eucaristia e nei miei ammalati crocifissi come Lui sulla Croce. Ogni volta che un paziente lascia questo mondo prima di chiudere la bara gli do un bacio sulla fronte riconoscendo così che anche il corpo, un giorno tempio dello Spirito Santo, risorgerà. La fronte è sempre fredda ma il calore del mio bacio esprime un pochino la tenerezza di Gesù. È davvero commovente accompagnare quelli che per il mondo erano immondizia a morire fra le braccia di Gesù. Se questa è la prima ragione per cui ringrazio Dio, la seconda è l’aver visto quelli che dieci anni fa erano bambini poveri, sporchi, destinati all’accattonaggio, terminare gli studi, iscriversi all’università e lavorare per mantenersi. Alcune sere fa abbiamo festeggiato questo avvenimento, impensabile alcuni anni fa, sottolineando il fatto che la provvidenza divina ha fatto bene il Suo lavoro. Vedere questi ragazzi di 17-18 anni felici, per tutti e per me in particolare è stata una commozione perché sono in missione per educare, per formare uomini, pescando nella miseria i bambini della scuola. Li prendiamo a tre anni per condurli fino a terminare le superiori.
Ma tutta questa grazia vissuta è passata attraverso prove morali che mi hanno scosso profondamente. Ad un certo punto dell’anno mi sono trovato in una bufera senza precedenti nella mia storia. Alcuni hanno pensato che ero diventato matto, che avevo perso “il bene dell’intelletto”. Molti amici mi hanno fatto compagnia, in particolare padre Julián Carrón, che non solo mi ha chiamato due volte ma si è offerto di venire, in giornata, a visitarmi. Anche Marcos e Cleuza mi sono stati vicini.
Scelto dall’eternità per un compitoHo sperimentato un pochino il grande dolore di Gesù nel Getsemani. I momenti di oscurità sono stati molti, fino al punto di pensare che sarei ricaduto in una nuova depressione. Ma la Madonna non lo ha permesso, come non ha permesso che questo piccolo quartiere della carità si trasformasse in una “ruina” come quelle dei gesuiti. Ho avuto giorni in cui mi avvolgeva l’oscurità e gridavo a Dio di mostrarmi il suo volto, di farmi capire se quest’opera era sua o di quel poveretto di padre Aldo, ritornello che ero abituato a sentire. In questa situazione, aiutato da alcuni amici, ho provato ancora una volta che il cammino della fede non può non fare i conti con la sofferenza e che solo l’io dal quale nasce un’opera è chiamato a riconoscere di essere relazione con il Mistero. È di questa certezza diventata ancora più radicale, che voglio ringraziare il Signore alla fine di un anno in cui ho visto come agisce il Mistero. Oggi più che mai mi sono chiare le cose. La prima è che mi ha scelto dall’eternità per un compito ben preciso resosi manifesto nel tempo. Le opere di carità sono il frutto di questa elezione. La seconda è che se un’opera è di Dio neanche il diavolo può distruggerla. Per cui, accada quello che accada, il mio io riposa in Gesù. Possono togliermi tutto, le opere possono finire ma nessuno potrà togliermi Gesù.


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