mercoledì 17 dicembre 2014

Benigni fortunato, furbo, scaltro, lucidissimo, anche ipocrita, ma toccato, illuminato dall’arte

Roberto Benigni presenta il suo spettacolo I Dieci Comandamenti
Per come lo conosco io, ma potrei sbagliarmi, Dio è certamente uno di quelli che pensano: “purché si parli di me”. Nel bene o nel male. Per carità, ci ha tenuto a precisare di non voler essere nominato invano, ma non parlava in termini perfezionistici, dogmatici, o, peggio, puritani. Voleva solo dire: “quando mi nominate, sappiate che state parlando del top, the best, l’unico e solo, non uno qualsiasi”. Ovvero quello della descrizione-profilo del Primo Comandamento. Per cui, secondo me, non si adira più di tanto per le bestemmie, quando c’è davvero un buon motivo per bestemmiare. Lo fa se accade per le sciocchezze. Insomma, “prendetevela pure con me, ma non confondetemi con le cose piccole”.
E perciò non sarà stato lì a soffermarsi troppo sulle imperfezioni teologiche, sui voli pindarici impropri, su qualche banale progressismo buonista di Benigni, sulla Rai e sul suo cachet che è stato, a quanto pare, da Dio (e Lui sa che non lo sto nominando invano, se è vera la cifra girata nei giorni scorsi). E’ stato contento e basta: in fondo si è parlato di lui. Lui che c’era, come da premessa logica dell’oratore, o stava arrivando. “E se non è arrivato lo aspettiamo” (battuta gettata lì, ma risuonata bellissima per chi, come me, ha pensato che siamo in Avvento).
Ha lasciato fare. Coi soldi degli italiani? Sì. Gli sarà piaciuto sentir parlare di sé in questo modo. Si sarà piaciuto (com-piaciuto, si definisce Lui stesso). O forse si sarà sentito anche un po’ imbarazzato, svelato, nella sua “debolezza” per l’uomo, per noi. Non lassù, in attesa, ma quaggiù, piegato (“Si è curvato su di me”, recita una strofetta semplicissima e geniale, spesso canticchiata con troppa leggerezza, di Claudio Chieffo).
E’ un Dio addirittura “geloso”. “Dove sei stato ieri sera?” ci chiederebbe con fare indagatore, scherza il Guitto. Come un amante quando ama con tutto se stesso. Lui lo è costantemente, innamorato. Mentre a noi, lo sappiamo, l’amore totale accade rare volte (tutte da benedire, però). E quando non accade può essere utile, qualche volta, anche sforzarsi, metterlo in agenda, come per il Sabato (Terzo Comandamento), dove Dio ci chiede “sdraiati con me, riposati con me”.
Questo Dio che “si sbilancia” e “ci vuole solo per Lui”. Sente la sfida coi rivali, con tutto ciò che è diverso da Lui (Idoli). Lui che chiede (ops…ordina) di non farsi rappresentare con immagini. E non per fare il vip inarrivabile, ma per “educare gli occhi all’invisibile”. “Eravamo un monolocale e ha fatto un attico e un super-attico. Ci ha fatto esplodere la testa”. Vero, la ragione esplode con l’oltre, l’invisibile.
Ma in rete, tra i commenti, leggo Roberto Marone. “Dio non deve essere rappresentato. L’hanno poi rispettato solo i musulmani, alla lettera“. In effetti è vero. Per i cristiani, però, è stato Dio a cambiare idea. O forse l’ha allargata, “sfondata” ancora di più, la testa, la ragione umana: comprendendo quello che non si può vedere in quello che si può vedere. Facendosi uomo. E se è più suggestivo ciò che scrive Saint Exupery (Piccolo Principe): “L’essenziale è invisibile agli occhi” scrive ), io gli preferisco Alessandro D’Avenia (si parva licet…): “Con tutto il rispetto per il Piccolo Principe, l’essenziale è visibile agli occhi”.
Faccio miei questi pensieri sublimi eppure non mi stacco dagli idoli. Tolgo gli occhi dallo schermo televisivo e li poggio su quello del tablet: l’Idolo, in quel momento, è twitter. E tra le cose carine (“Altri dieci minuti di Benigni e domenica vado a Messa“, sempre il @roberto_marone di prima), mi ritrovo il post di Vito Petrocelli (@vitopetrocelli), già Capogruppo al Senato per il Movimento 5 Stelle: “Benigni, un altro complice del degrado e della povertà targato (sic!) Pd“.
Chiedo un aggettivo per qualificarlo. “Accecato” mi suggerisce il sempre attento Paolo Tritto. Cioè, traduco, reso cieco da qualcosa che lo illumina a tal punto da non far vedere quello che c’è di bello attorno, non far sentire quello che si sente (e infatti non starebbe a scrivere  quelle cose, se fosse davvero in ascolto in quell’istante). Accecato da cosa? L’Italia pulita senza sprechi, senza complici e malaffare, con gli onesti al trionfo. “E non è buono?” direte voi. E infatti le luci che accecano hanno sempre un loro fascino. Benigni (che in fondo rimane sempre icona del Mainstream) non poteva dirlo in prima tv, noi, che non dobbiamo dare buoni esempi, lo possiamo scrivere tranquilli: sono idoli anche quelli. Specifico: idoli perché distraggono dalle cose belle, non ideali sbagliati. E penso che sforzandomi potrei anche sottoscrivere il post di Petrocelli, ma poi aggiungerei, alla fine: “Però… che bello… dai”. Il bello rimane bello e va riconosciuto, anche in ciò che appare marcio.
E certamente il marcio ci sarà anche in Benigni. Magari è idolo Benigni stesso, forse lo è questo uso televisivo di Dio, lo è il suo cachet, il suo servilismo verso il potere. Ma quando la parola fa saltare dalla sedia, regala un attimo di vero, di commozione, quella parola è… divina (dopo le due serate l’aggettivo mi pesa un po’ di più).
Roberto Benigni eroe del giorno, perciò. Fortunato, furbo, scaltro, lucidissimo, anche ipocrita, ma toccato, illuminato dall’arte: ovvero la capacità di dire il vero nella forma della bellezza. Baciato da Dio. Stiamo attenti: è possibile che ogni tanto lo faccia anche con noi. A proposito di “attenzione”, buon Avvento.
 
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