sabato 12 novembre 2011

La forza che forgia il mondo




In Cattolica l'ex premier britannico Tony Blair, Lorenzo Ornaghi e Giorgio Vittadini hanno affrontato il ruolo della fede nella nostra società. Perché «si diceva che solo gli Stati possono cambiare la storia: non è vero...»





Vola alto. Già dalle prime parole: «Non ci sarà pace nel mondo se prima non si comprenderà il ruolo della religione». E questo «sconcerta i leader, politici e religiosi», perché «la religione ci conduce in un terreno sconosciuto». Segue mezz’ora fitta e densa, in cui Tony Blair, ex premier di lungo corso al servizio della Corona Britannica - e del New Labour - e oggi presidente della Fondazione che porta il suo nome, in quel terreno ci entra, eccome. Parla dei miti spazzati via nell’ultimo decennio («per gli europei degli anni Sessanta e Settanta c’era una sola equazione: se la società progredisce, la religione declina. Non è successo»), delle scoperte post-11 settembre; delle persecuzioni dei cristiani in molte zone del mondo (un esempio per tutti: il Pakistan) e dei guai passati da altri fedeli in altre fette del pianeta («dobbiamo sostenere i musulmani in India, i cristiani non ortodossi in Moldavia, i Bahai in Iran, gli Ahmadis in Pakistan...»). E fa una pausa a metà discorso per tirare una prima conclusione basata sui fatti: «Da ogni lato, in ogni quartiere, dovunque guardiamo, la religione è potente, motivante e determina la forza che forgia il mondo intorno a noi».
È per questo che l’ex statista britannico, lasciata la politica e convertitosi al cattolicesimo, ha messo in piedi la Tony Blair Faith Foundation: per studiare l’impatto del fattore religioso sulla globalizzazione, sulle «forze che muovono la storia». Ed è per questo che ieri è arrivato a Milano, Aula Magna dell’Università Cattolica, per partecipare alla terza sessione del seminario organizzato in partnership con la Fondazione per la Sussidiarietà. Tema: «Religione e ambito pubblico, secolarismo o laicità?». Sala strapiena, stampa, telecamere. A fare gli onori di casa, assieme al rettore dell’ateneo milanese Lorenzo Ornaghi, c’è Giorgio Vittadini, che della Fondazione per la Sussidiarietà è presidente. Con Blair si erano già incrociati al Meeting di Rimini, due anni fa. Ne è nato un rapporto di collaborazione che ha portato fin qui, a questo incontro preceduto da una conferenza stampa in cui Blair, pagato il dazio delle prevedibili domande sull’allarme italiano («non sarebbe affare mio... comunque, i fondamentali dell’economia sono forti: ho grande fiducia nell’Italia, ce la farete»), parla della crisi globale come di un’opportunità («ci obbliga a prendere decisioni che avremmo dovuto prendere comunque»), da affrontare andando oltre le categorie tradizionali («non è più una questione di destra o sinistra, ma di passato contro futuro») e preparandosi a «cambiamenti dolorosi» che vanno fatti «in modo equo, questo è il punto». Cita ampiamente il Papa («anche per lui la fede è elemento decisivo del progresso») e la libertà religiosa («non c’è vera democrazia senza questa libertà»). E dice pure di essersi convertito perché «sono andato a messa con mia moglie in una chiesa cattolica per anni, e mi sentivo a casa».
Ma è «a casa» anche qui, mentre va oltre nel suo discorso. Vittadini lo aveva introdotto così: «Non sono temi scontati. C’è un rischio molto peggiore dell’instabilità politica ed economica, oggi: ed è quello per cui l’io sembra fluttuare, come se le circostanze lo uccidessero. Invece si può ripartire dall’idea di un io non ridotto. Quello che c’è nelle grandi religioni, perché mettono al centro il cuore dell’uomo». E Blair segue la stessa scia, approfondendo il rapporto tra religioni e democrazia, «che non è solo un sistema per votare, ma una predisposizione mentale», un’apertura al mondo (e all’altro) ancora più necessaria di questi tempi. Ed è proprio su questo punto, sull’educazione all’«apertura», che l’apporto delle religioni - può diventare decisivo: «Questo compito non può essere lasciato solo alla politica. Deve essere intrapreso anche dalle persone di fede, che devono fornire una piattaforma di comprensione interreligiosa e la giustificazione teologica di una mentalità aperta», ovvero possono, e per certi versi devono, «trarre dalle loro tradizioni e dai loro testi i valori e la visione necessari a creare una cultura della democrazia». Come a dire che senza l’apporto di una fede che cerchi con sincerità, depurata dall’idea disastrosa che «Dio è dalla nostra parte», la comprensione reciproca, la convivenza, diventa molto, ma molto più difficile.
Certo, restano aperte molte questioni. Quali siano e dove si pongano i limiti della politica, come richiama Ornaghi nel suo intervento, tutto teso a evidenziare come la secolarizzazione non ha sbaragliato il campo, e di come l’ambito della vita sociale sia pervaso dal sacro, da una «rivincita di Dio che non è una rivendicazione del passato, ma una visione del futuro a partire da una comprensione realistica del presente».
E anche dopo, esaurito il giro di domande del pubblico (argomento portante: la crisi), ne resta aperta una, in particolare: sul rapporto tra ragione e fede, sul perché la fede - un certo modo di intendere e vivere la fede - aiuti la ragione stessa ad aprirsi, non solo apportando temi e principi suoi, ma proprio spalancando la ragione, come richiama Benedetto XVI.
Non a caso citato a più riprese - assieme a don Giussani - da Vittadini, che tira le fila partendo da un dato: «Siamo alla fine della modernità, cioè di un approccio per cui la religione è insignificante se non dannosa». E abbiamo davanti la possibilità di allargare la ragione, di recuperare ciò che sta alla base della religione. Il desiderio di infinito dell’uomo. «Un io che ha coscienza di essere se stesso. E questa è una spinta che esplode, come un vulcano, dal basso». Conclusione: «Si diceva che solo gli Stati possono cambiare la storia. Non è vero. E ci colpisce vedere che uno dei maggiori statisti degli ultimi tempi abbia deciso di proseguire il suo lavoro così, occupandosi di fede e ragione». E delle forze che davvero cambiano la storia.
Davide Perillo

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