L’uomo non è solo un fatto di natura. La sua verità sta nella sua dignità inviolabile, oltre ogni riduzionismo scientifico. A proposito dell’enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI
L’enciclica Caritas in veritate costituisce un grande appello anzitutto ai credenti in Cristo, ma anche a tutti coloro che condividono la centralità della persona umana e l’assoluta non riducibilità del suo essere e del suo valore a tutto il resto della natura. Un appello che ha alla base, insieme alla centralità del soggetto umano e alla sua dignità inviolabile, il legame inscindibile tra carità e verità, con la conseguenza che un cristianesimo di carità senza verità diventa fatalmente marginale nel divenire concreto della storia.
Il contenuto di questo appello è orientare a favore dell’uomo la nuova fase che si sta aprendo per il fatto che l’uomo sta diventando capace di modificare fisicamente se stesso: è questo infatti il cuore della nuova «questione antropologica».
Vi sono almeno due condizioni essenziali perché un tale appello possa essere accolto e avere una reale efficacia storica. La prima di esse ha a che fare con il processo di globalizzazione e con i mutamenti in corso nei grandi equilibri geo-economici e geopolitici, ma anche e inevitabilmente geoculturali. Di fatto, oggi stanno riemergendo e assumendo un peso sempre maggiore alcune grandi nazioni e civiltà che negli ultimi secoli erano state sovrastate dall’Occidente. Queste nazioni e civiltà non hanno quella matrice cristiana che, malgrado tutte le infedeltà storiche, oggi, malgrado i processi di secolarizzazione, appartiene al Dna dell’Europa, delle due Americhe e di altre considerevoli parti del mondo. La centralità della persona umana si è però affermata storicamente proprio in quelle culture che hanno la loro matrice nel cristianesimo. Sono dunque i popoli eredi di tali culture quelli che per primi hanno la responsabilità e il compito di mantenere e far fruttificare la centralità dell’uomo nella nuova fase storica che si apre davanti a noi, pur cercando, come è doveroso e necessario, di sollecitare anche le altre nazioni e civiltà ad un impegno convergente.
In particolare l’Italia ha a questo fine un ruolo peculiare tra le stesse nazioni europee, ruolo fortemente sottolineato da Giovanni Paolo II, ad esempio nella Lettera ai vescovi italiani del 6 gennaio 1994, dove scriveva: «All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo». Con uguale vigore Benedetto XVI, nel discorso alla Chiesa italiana tenuto a Verona il 19 ottobre 2006, sottolineava che, attraverso un atteggiamento dinamico e non rinunciatario, «la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo». Di questo compito e servizio noi italiani dobbiamo essere assai più convinti e consapevoli.
La seconda condizione per accogliere sul serio l’appello contenuto nella Caritas in veritate riguarda ognuno di noi, all’interno della situazione che ciascuno si trova a vivere.
Siamo infatti tutti corresponsabili perché la centralità del soggetto umano assuma un rilievo forte e concreto, capace di incidere sul crescente potere che l’umanità sta acquistando di modificare fisicamente se stessa, per orientare questo potere a favore dell’uomo, considerato in ogni singola persona e in ogni fase della vita sempre come fine e mai come mezzo. In pratica, responsabilità e impegno sono richiesti agli scienziati, ai medici e agli altri operatori sanitari ma ugualmente agli uomini della cultura e della comunicazione sociale, anzi, ad ogni persona che pensa e agisce, perché la cultura reale di un popolo è fatta dalle convinzioni e dalle scelte che tutti compiono ogni giorno. Grandi sono, inoltre, le responsabilità dei politici, legislatori e amministratori, ma di nuovo, in un Paese democratico, anche di ogni cittadino chiamato a compiere le proprie scelte politiche. E ancora molto dipende da chi può guidare o condizionare gli enormi interessi economici che spesso stanno dietro al lavoro degli scienziati e dei tecnici: anche qui le scelte quotidiane delle persone e delle famiglie hanno però, in concreto, un peso non trascurabile. Finalmente, una specifica responsabilità riguarda noi sacerdoti e vescovi, i religiosi e le religiose, ciascun credente che intende essere testimone e missionario della fede nel Dio amico dell’uomo. Pertanto, come ha scritto il filosofo francese Jean-Michel Besnier in un’intervista rilasciata ad Avvenire il 1° ottobre 2009, «è necessaria una massiccia presa di coscienza da parte della popolazione. Il fascino per le tecniche è il rovescio della medaglia di una disistima di sé e dell’umanità. Non si sopportano più la vecchiaia, la malattia e la morte, e tantomeno la casualità della nascita. Riconciliarci con la nostra finitudine, accettare le nostre debolezze… è il prerequisito per salvare l’umanità».
La globalizzazione chiama le nazioni di matrice cristiana a preservare e a far fruttificare in pienezza la centralità dell’uomo, valore nato nelle culture d’Europa e d’America, contrassegnate dal Vangelo
DI CAMILLO RUINI
martedì 9 febbraio 2010
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