martedì 9 febbraio 2010

Ma la fede non sia marginale

L’uomo non è solo un fatto di natura. La sua verità sta nella sua dignità inviolabile, oltre ogni riduzionismo scientifico. A proposito dell’enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI
L’enciclica Caritas in veritate costi­tuisce un grande appello anzitutto ai credenti in Cristo, ma anche a tutti coloro che condividono la centralità della persona umana e l’assoluta non ridu­cibilità del suo essere e del suo valore a tut­to il resto della natura. Un appello che ha al­la base, insieme alla centralità del soggetto umano e alla sua dignità inviolabile, il le­game inscindibile tra carità e verità, con la conseguenza che un cristianesimo di carità senza verità diventa fatalmente marginale nel divenire concreto della storia.
Il contenuto di questo appello è orientare a favore dell’uomo la nuova fase che si sta a­prendo per il fatto che l’uomo sta diven­tando capace di modificare fisicamente se stesso: è questo infatti il cuore della nuova «questione antropologica».
Vi sono almeno due condizioni essenziali perché un tale appello possa essere accol­to e avere una reale efficacia storica. La pri­ma di esse ha a che fare con il processo di globalizzazione e con i mutamenti in corso nei grandi equilibri geo-economici e geo­politici, ma anche e inevitabilmente geo­culturali. Di fatto, oggi stanno riemergendo e assumendo un peso sempre maggiore al­cune grandi nazioni e civiltà che negli ulti­mi secoli erano state sovrastate dall’Occi­dente. Queste nazioni e civiltà non hanno quella matrice cristiana che, malgrado tut­te le infedeltà storiche, oggi, malgrado i pro­cessi di secolarizzazione, appartiene al D­na dell’Europa, delle due Americhe e di al­tre considerevoli parti del mondo. La cen­tralità della persona umana si è però affer­mata storicamente proprio in quelle cultu­re che hanno la loro matrice nel cristiane­simo. Sono dunque i popoli eredi di tali cul­ture quelli che per primi hanno la respon­sabilità e il compito di mantenere e far frut­tificare la centralità dell’uomo nella nuova fase storica che si apre davanti a noi, pur cercando, come è doveroso e necessario, di sollecitare anche le altre nazioni e civiltà ad un impegno convergente.
In particolare l’Italia ha a questo fine un ruo­lo peculiare tra le stesse nazioni europee, ruolo fortemente sottolineato da Giovanni Paolo II, ad esempio nella Lettera ai vesco­vi italiani del 6 gennaio 1994, dove scrive­va: «All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di di­fendere per tutta l’Europa il patrimonio re­ligioso e culturale innestato a Roma dagli a­postoli Pietro e Paolo». Con uguale vigore Benedetto XVI, nel discorso alla Chiesa ita­liana tenuto a Verona il 19 ottobre 2006, sot­tolineava che, attraverso un atteggiamento dinamico e non rinunciatario, «la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insi­dia del secolarismo e altrettanto universa­le è la necessità di una fede vissuta in rap­porto alle sfide del nostro tempo». Di que­sto compito e servizio noi italiani dobbia­mo essere assai più convinti e consapevo­li.
La seconda condizione per accogliere sul serio l’appello contenuto nella Caritas in veritate riguarda ognuno di noi, all’interno della situazione che ciascuno si trova a vi­vere.
Siamo infatti tutti corresponsabili per­ché la centralità del soggetto umano assu­ma un rilievo forte e concreto, capace di in­cidere sul crescente potere che l’umanità sta acquistando di modificare fisicamente se stessa, per orientare questo potere a fa­vore dell’uomo, considerato in ogni singo­la persona e in ogni fase della vita sempre come fine e mai come mezzo. In pratica, re­sponsabilità e impegno sono richiesti agli scienziati, ai medici e agli altri operatori sa­nitari ma ugualmente agli uomini della cul­tura e della comunicazione sociale, anzi, ad ogni persona che pensa e agisce, perché la cultura reale di un popolo è fatta dalle con­vinzioni e dalle scelte che tutti compiono ogni giorno. Grandi sono, inoltre, le re­sponsabilità dei politici, legislatori e am­ministratori, ma di nuovo, in un Paese de­mocratico, anche di ogni cittadino chiamato a compiere le proprie scelte politiche. E an­cora molto dipende da chi può guidare o condizionare gli enormi interessi econo­mici che spesso stanno dietro al lavoro de­gli scienziati e dei tecnici: anche qui le scel­te quotidiane delle persone e delle famiglie hanno però, in concreto, un pe­so non trascurabile. Finalmen­te, una specifica responsabilità riguarda noi sacerdoti e vesco­vi, i religiosi e le religiose, cia­scun credente che intende esse­re testimone e missionario del­la fede nel Dio amico dell’uomo. Pertanto, come ha scritto il filo­sofo francese Jean-Michel Be­snier in un’intervista rilasciata ad Avvenire il 1° ottobre 2009, «è necessaria una massiccia presa di coscien­za da parte della popolazione. Il fascino per le tecniche è il rovescio della medaglia di u­na disistima di sé e dell’umanità. Non si sop­portano più la vecchiaia, la malattia e la morte, e tantomeno la casualità della na­scita. Riconciliarci con la nostra finitudine, accettare le nostre debolezze… è il prere­quisito per salvare l’umanità».
La globalizzazione chiama le nazioni di matrice cristiana a preservare e a far fruttificare in pienezza la centralità dell’uomo, valore nato nelle culture d’Europa e d’America, contrassegnate dal Vangelo
DI CAMILLO RUINI

Nessun commento: