martedì 29 luglio 2014

Messaggio di Julián Carrón - Pellegrinaggio Czestochowa 2014

  

Cari amici, questo è il dramma dell’uomo: desiderare qualcosa che non si può dare da sé, perché il
nostro bisogno è incommensurabile a tutto ciò che possiamo fare o generare con le nostre forze.
Quale sia il nostro bisogno non lo decidiamo noi, ma ce lo troviamo addosso come esperienza di
una «sproporzione strutturale» − dice don Giussani − che ci rende desiderio di infinito, di totalità.
Possiamo avere più o meno coscienza che questa è la questione, ma è impossibile che il desiderio
della totalità non sia presente in tutto quello che facciamo. Per questo diciamo con Cesare Pavese
che «ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di
conseguire questa infinità» (Il mestiere di vivere).
Se con tutto quello che generiamo e facciamo non siamo in grado di rispondere, l’unica possibilità è
che la risposta venga da fuori di noi. Senza aprirsi a qualcosa d’altro l’uomo non può compiersi. Ma
come può avvenire questa apertura, se tante volte si pensa di perdere se stessi aprendosi a un altro?
Solo sperimentando un’attrattiva tale (pensiamo nell’amore) che riesce ad aprire il proprio
“fortino”; solo se l’attrattiva di una presenza è così potente da vincere la tentazione di chiuderci nel
nostro cerchio, l’uomo potrà aprirsi. Per questo il Mistero è entrato nella storia, ponendosi con
un’attrattiva tale da rendere possibile all’uomo il rapporto con una presenza, che lo apre – diciamo
−, che lo disarma dallo stare sulle barricate, sulla difensiva, per aprirsi a qualcosa che lo compie.
Noi a andiamo a Czestochowa a chiedere che questa Presenza sia talmente reale nella nostra vita
che ci consenta di aprirci alla sua attrattiva. Perché è inevitabile che ciascuno, se non trova questo
Altro, cercherà di compiere la propria vita con il suo fare, dal momento che il desiderio permane
comunque, come gigante «in solitario campo» (G. Leopardi, «Il pensiero dominante»). Tutta la
pretesa di Gesù è questa – non nel senso che voglia imporre qualcosa, ma perché porta una
promessa –: soltanto se l’uomo lascia entrare nella propria vita la Sua presenza, si può compiere.
Ma chi è disponibile a questo? Come vediamo nel Vangelo, davanti a una simile pretesa sono sorte
tante resistenze, al punto tale che quasi tutti l’hanno rifiutato. Ci vuole un amore per riconoscerlo, è
un problema di affezione. Il problema della vita non è la riuscita, ma è un amore; capire bene questo
dall’interno della propria esperienza è cruciale.
Il pellegrinaggio è un momento privilegiato perché, per la dinamica stessa del gesto, per la
stanchezza, per lo sforzo, per la durezza del cammino, ciascuno si rende più facilmente conto della
natura del proprio bisogno, è facilitato a prendere consapevolezza di sé, e quindi a domandare
qualcosa d’Altro.
«La vita è mia, irriducibilmente mia» («Movimento, “regola” di libertà», 1978), diceva don
Giussani, e niente è così serio come la vita, perché è in gioco la felicità, cioè la ragione del vivere.
Andare a Czestochowa per chiedere questa consapevolezza che ci è stata data fin dal primo
momento in cui abbiamo avuto un’esperienza seria del vivere, per cui ci siamo trovati addosso un
desiderio di essere felici, domandare che non venga meno questo desiderio, è la cosa che urge di
più.
Vi domando di camminare verso la Madonna di Czestochowa aggiungendo a tutte le vostre
intenzioni questa: che il movimento di Comunione e Liberazione, nel sessantesimo del suo inizio,
rimanga fedele al carisma ricevuto, perché noi abbiamo visto con i nostri occhi la fecondità del
carisma, l’abbiamo visto incarnato in don Giussani, che ci ha affascinato tutti.
Potremo dare il contributo a cui papa Francesco ci chiama – portare Cristo nelle periferie
dell’esistenza, nei luoghi in cui si svolge la vita di tutti – solo se noi per primi siamo testimoni del
carisma ora, di un cristianesimo vissuto con questa attrattiva.

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