mercoledì 2 luglio 2014

Ciò che rende fertile la vita

valtellinaRaccontare della propria vocazione non è mai facile. C’è sempre qualcosa di misterioso, che resta inesplicabile. Non si possono tirare tutti i fili, però si può intravedere un percorso più grande che si compie passo dopo passo nel tempo della vita. Non so come, non so dare tutte le ragioni, ma ricordo perfettamente che un giorno preciso, dopo aver ascoltato la testimonianza di Alessandro Maggiolini, che era il mio vescovo, sulla sua vocazione, ho detto al Signore che sarei diventato prete, come Lui mi stava chiedendo. Avevo dodici anni.

Un seme nascosto
Grazie alla fede dei miei genitori non ricordo un momento della mia vita vissuto lontano dalla presenza di Cristo. Avevo percepito l’attrattiva della Sua persona anche prima; ma fu solo in quel giorno che mi sentii chiamato per nome. Nessuno, certamente, poté a quel tempo notare ciò che mi stava accadendo. Un seme, quando lo pianti nel terreno, non si vede. Eppure il seme è una presenza segreta che cambia il terreno. Per anni tenni nascosto nel mio cuore il seme della chiamata di Dio, soprattutto perché ne ero spaventato. Tuttavia, dal quel momento, non sarei mai più riuscito a pensare alla mia vita senza l’ipotesi del sacerdozio. Ho sempre saputo che, prima o poi, avrei dovuto obbedire a quella voce.
Il seme ha bisogno di un’unica cosa per crescere: terra fertile. Il resto è già tutto lì fin dal primo momento. Basta seguire ciò che rende fertile la vita, ciò che fa fruttare tutto quello che di buono, bello e vero ho incontrato. Il movimento di Comunione e Liberazione, il carisma di don Giussani, è ciò che rende la mia vita terra fertile per l’opera di Dio. Quando, durante le scuole superiori, incontrai un gruppo di amici di CL capii di aver incontrato la carne di Cristo. Questi amici erano guidati da un giovane prete, don Livio, che era, ed è, per noi una testimonianza della felicità che si vive quando si dà tutto a Cristo. Più stavo con questi amici, più cresceva il desiderio di vivere come loro. Allo stesso tempo, però, avevo paura di rinunciare a tutto subito, e decisi di andare a Milano a studiare Fisica. Non sapevo che Cristo mi stava aspettando per chiedermi di prendere una decisione.
Non c’è nessuna parola che sintetizzi meglio la mia vita cristiana della parola «amicizia»: senza gli amici del movimento Cristo non sarebbe mai stato esperienza concreta nella mia vita. Quando incontrai l’esperienza del CLU a Milano, tutto ciò che Lui mi aveva promesso alle superiori, si andò radicalizzando sempre di più. Con quel gruppo di amici condividevamo tutto e tutto diventava interessante: studiare, interessarsi della politica o semplicemente mangiare assieme.
Tra questi amici c’era una ragazza di cui mi innamorai. Attraverso di lei sperimentai la possibilità di amare totalmente. Se da una parte capivo che un tale amore era il frutto della bellezza della nostra vita, dall’altra intuii immediatamente che non potevo diventare il suo ragazzo. Per la prima volta sentii la “gelosia di Dio”. Fino a quel punto Dio mi aveva ricoperto di doni: la fede, la vocazione, gli amici del movimento… Ma di fronte a quel volto, era Cristo che in maniera del tutto inaudita mi chiedeva qualcosa. Mi stava chiedendo di sacrificare qualcosa di buono, qualcosa che Lui stesso mi aveva dato per rimanergli fedele. Provai a continuare a vivere facendo il finto tonto, come se non stessi capendo, tenendo, per così dire, il piede in due scarpe. Così divenni confuso e triste.

Trapassare il segno
Mi occorsero anni per accettare il sacrificio che Cristo mi stava chiedendo. Riuscii a decidermi perché finalmente mi consegnai a don Paolo Sottopietra, raccontandogli la mia storia. Don Paolo mi aiutò a vedere come Cristo stesse aspettando un “sì”. Era arrivato il momento di passare dall’amore per i segni della presenza di Cristo, all’amore per la Sua Persona. Un tale passaggio, mi spiegava, non sarebbe potuto accadere senza un sacrificio. È una cosa incredibile pensare che Cristo si metta nelle condizioni di aver bisogno di noi, del nostro “sì”. Ma tale è la profondità del suo amore che Egli desidera elevarmi al suo stesso livello. Cristo è geloso del mio sì, desidera che io possa dargli tutto. Vuole rendermi simile a Lui. Se Cristo semplicemente mi donasse tante belle cose, senza desiderare di portarmi al suo livello, allora la sua amicizia non sarebbe vera. Invece Cristo vuole rendermi simile a Lui, ed è questa l’inaudita verità del Suo amore. Ero chiamato a trapassare il segno. Ero chiamato a trapassare l’amore per tutti i miei amici per giungere all’amicizia con Lui.

Consegnare tutta la mia umanità
Il seme deve rompere la terra per poter crescere. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12, 14). Nel tempo capii che la vita nella verginità implicava non una negazione di me stesso, ma la consegna di tutta la mia umanità. Non avrei mai potuto immaginare che Cristo, poi, mi avrebbe ridato tutto avendolo trasfigurato.
La vita della Fraternità, che cominciò al mio ingresso in seminario, non è altro per me che il compimento di tutto ciò che Cristo ha cominciato nella mia vita. La Fraternità è il luogo concreto dove io posso aderire alla voce di Cristo, dove posso accettare la sua offerta di amicizia. Vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal Padre (Gv 15,15). Nella vita della casa, nella appassionante avventura della missione, nella correzione reciproca, nel pregare assieme, nel vivere la liturgia, Cristo ci chiama a diventare come Lui. Perché il vero amico è quello che si consegna tutto all’altro, senza tenere nulla per sé.
Michele Benetti

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