mercoledì 9 luglio 2014

«Dio è la sola ricchezza che gli uomini desiderano trovare in un sacerdote»

curato ars
Tra tanti articoli apparsi in questi giorni sui preti ritengo opportuno proporre una riflessione sulla grandezza e sulla grazia del sacerdozio, partendo da un fatto reale. Quando venne inviato nella sua parrocchia definitiva di Ars, il vescovo lo avvisò che non c’era molto amore in quella parrocchia e lui lo avrebbe portato. Il curato d’Ars (1786-1859), al mondo Giovanni Maria Vianney, offrì tutta la sua vita, disposto a patire ogni genere di sofferenza, per la conversione delle anime dei parrocchiani affidatagli. «La grazia gli venne effettivamente concessa, in risposta a una vita di preghiera e di penitenza, a un’azione costante di catechesi, istruzione, incoraggiamento. […] Non mancarono i  doni straordinari, veri miracoli. […] La fama si estese alla regione, alla Francia, oltre confine. Venivano penitenti per ogni dove, perfino in treni speciali e il parroco era costretto a trascorrere giornate intere in confessionale». Il suo tempo era interamente speso per la celebrazione dell’eucarestia e la confessione, cui dedicava fino a diciassette ore al giorno. Egli «faceva nascere il pentimento nel cuore dei tiepidi costringendoli a vedere con i propri occhi  la sofferenza di Dio  per i peccati quasi incarnata nel volto del prete che li confessava». Morì il 4 agosto del 1859. Nel 1925, anno della sua canonizzazione, divenne il patrono dei parroci di tutto il mondo. Papa Benedetto XVI ne ribadirà l’esempio per tutti i sacerdoti nel 2008 affermando che «Dio è la sola ricchezza che gli uomini desiderano trovare in un sacerdote».

Il 5 agosto 2009 Benedetto XVI  ricorderà: «Alla base dell’impegno pastorale il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore». La sua sola presenza, pur così pallida, fragile, quasi diafana, parlava da sé, il suo linguaggio così semplice e così dialettale riusciva a comunicare con i pellegrini venuti da ogni luogo, come gli Apostoli.
Il curato d’Ars era consapevole della grandezza del compito del sacerdozio e pieno di gratitudine per la vocazione che gli era stata assegnata. Quando parla del sacerdozio, egli dice: «È un Sacramento che sembra non riguardare alcuno tra voi e che riguarda, invece, tutti. Questo Sacramento eleva l’uomo sino a Dio. Che cos’è un prete? Un uomo che tiene il posto di Dio ed è rivestito di tutti i suoi poteri. […] Quando il sacerdote rimette i peccati, egli non dice: “Dio ti perdona”, ma “io ti assolvo”. […] S. Bernardo ci dice che tutto è venuto a noi attraverso Maria: si può anche dire che tutto ci è venuto attraverso il prete: tutte le benedizioni, sì, tutte le grazie, tutti i doni celesti. […] Un sacerdote per quanto semplice sia può far discendere il Divin Figlio nella Santa Ostia. Egli può dirvi: “Va’ in pace, ti perdono”. Che cosa grande è un sacerdote! Il prete non lo capiremo bene che in cielo. Se lo capissimo sulla Terra, moriremmo non di spavento, ma di amore! Il prete possiede la chiave per i tesori celesti e ne disserra la porta».

Ancora a proposito del miracolo della consacrazione eucaristica confessa: «Se ci dicessero “alla tal ora si deve resuscitare un morto”, noi correremmo presto per vedere. Ma la consacrazione che tramuta il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di un Dio, non è forse un miracolo più grande di quello di resuscitare un morto?».
Il santo curato d’Ars era tutto preso dall’amore per Gesù e per l’Eucarestia, pensava sempre al Signore e parlava sempre di Lui, «la sua vita, il suo cielo, il suo presente, il suo avvenire». Per spiegare l’amore che provava per Gesù sovente riportava la parole di s. Caterina da Siena: «O mio caro Signore, se io fossi stata la pietra e la terra dove era piantata la Tua croce, quale grazia e quale gioia avrei avuto a ricevere il Sangue che colava dalle Tue ferite!».
Era certo che chi avesse conosciuto davvero Gesù l’avrebbe amato, perché non esistono cuori così duri da non amare quando si vedono così tanto amati. Questo concetto è presente in tutti i testi mistici, se leggiamo la Beata Angela da Foligno, s. Giovanni della Croce, s. Teresa d’Avila, s. Caterina da Siena. Dante lo esprime in modo poetico e indimenticabile nell’immortale verso «Amor, ch’a nullo amato amar perdona» in cui per parlare dell’amore tra uomini prende ad esempio proprio quell’amore che Dio prova per l’uomo, che non può che essere ricambiato. L’amore di Dio per noi è arrivato al punto da darci suo Figlio Gesù il quale, sono le parole del santo curato d’Ars ricordate da papa Benedetto XVI nella lettera già citata, «dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare ci ha anche fatto eredi di quanto aveva di più prezioso, vale a dire della sua Santa Madre». Questa era la particolare devozione per la Madonna che contraddistingueva il santo curato d’Ars, per Lei, la Madre di tutti i viventi, la Madre della Chiesa, la Madre, per questo, in modo speciale di tutti i sacerdoti. Giovanni Fighera

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