Riscoprire la “grammatica della semplicità”. È uno dei tanti inviti che hanno costellato gli interventi di Papa Francesco durante gli eventi della Gmg di Rio. Se la Chiesa si allontana dalla semplicità, ha affermato, “resta fuori dalla porta del Mistero” e rischia di non farsi capire dal mondo. Ma la semplicità è anche un tratto distintivo della personalità e del magistero di Papa Francesco:
Spogliarsi degli orpelli esteriori, dei sofismi espressivi, perché il vestito di Dio, la lingua di Dio, è la semplicità. Ciò che dall’avvio del Pontificato Papa Francesco sta insegnando ogni giorno col suo esempio alla Chiesa e al singolo cristiano riporta per singolare analogia alla memoria il gesto che anche l’“altro” Francesco aveva compiuto all’inizio della sua missione. Togliersi i vestiti e riconsegnarli al genitore, per il Povero di Assisi aveva avuto il significato di rendere visibile di quale Padre si sentisse davvero figlio e di quali beni volesse vivere. Una rinuncia di povertà che fu guadagno di libertà. La stessa libertà che affascina del comportamento di Papa Francesco e che, anche nel suo caso, è resa manifesta da una sobrietà di vita e da una semplicità di stile divenuti proverbiali in nemmeno quattro mesi di Pontificato. Un ingrediente basilare dell’anima, la semplicità. E anche il sale di un’azione pastorale che sappia scuotere, perché non offre una proposta di fede fredda, ma chiede di aprire la mente al cuore, bussandovi con dolcezza. Il Papa lo ha ribadito pochi giorni fa ai vescovi del Brasile, nella cattedrale di Rio:
“Un’altra lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente, non riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che non possono darsi da sé, cioè Dio”. (Discorso all’episcopato brasiliano, 27 luglio 2013)
Semplicità è anche normalità. Per i vaticanisti a bordo dell’aereo papale di ritorno da Rio de Janeiro e testimoni della più straordinaria intervista mai rilasciata da un Papa dev’essere stato uno choc toccare con mano di quanta genuina schiettezza e quanta disponibilità immediata e non mediata poteva essere capace un Successore di Pietro. Una sincerità adamantina, quella di Papa Francesco, anche sulle questioni più spinose, che ha spiazzato i cronisti presenti avvezzi all’antico abito mentale per cui le cose vaticane sono difficilmente conoscibili e qualche volta un po’ torbide. Così, la replica sorridente di Papa Francesco al giornalista che gli chiedeva di svelare i segreti della sua valigetta non solo si fa simpaticamente beffe del vecchio pregiudizio, ma diventa una soave lezione sul valore della semplicità:
“Non c’era la chiave della bomba atomica! Mah! La portavo perché sempre ho fatto così: io, quando viaggio, la porto. E dentro, cosa c’è? C’è il rasoio, c’è il breviario, c’è l’agenda, c’è un libro da leggere – ne ho portato uno su Santa Teresina di cui io sono devoto. Io sono andato sempre con la borsa quando viaggio: è normale. Ma dobbiamo essere normali (…) Dobbiamo abituarci ad essere normali. La normalità della vita”. (Intervista sul volo papale, 28 luglio 2013)
Ma forse lo zenit di cosa voglia dire “semplicità”, nella concezione del Papa venuto dall’altra parte del mondo, sta in quel capolavoro di affetto e umanità con cui durante la lunga intervista aerea si riferisce a Benedetto XVI. Una risposta di tale amabile spontaneità – ed era il Papa che parlava del suo rapporto con un Papa emerito al cospetto dei media, cioè dell’incredibile davanti all’inimmaginabile! – da disintegrare in un amen quella ritrosia un po’ sdegnosa che nell’immaginario collettivo viene spesso associata al modo di porsi in pubblico del prelato di rango:
“Lui adesso abita in Vaticano, e alcuni mi dicono: ma come si può fare questo? Due Papi in Vaticano! Ma, non ti ingombra lui? Ma lui non ti fa la rivoluzione contro? Tutte queste cose che dicono, no? Io ho trovato una frase per dire questo: ‘E’ come avere il nonno a casa’, ma il nonno saggio. Quando in una famiglia il nonno è a casa, è venerato, è amato, è ascoltato. Lui è un uomo di una prudenza! Non si immischia. Io gli ho detto tante volte: ‘Santità, lei riceva, faccia la sua vita, venga con noi’. E’ venuto per l’inaugurazione e la benedizione della statua di San Michele. Ecco, quella frase dice tutto. Per me è come avere il nonno a casa: il mio papà”.
(Intervista sul volo papale, 28 luglio 2013)
Ecco come parla un vescovo che non ha la mania del “principe”. È un esempio plastico: perfino con i temuti operatori dei media un Papa può essere semplice, diretto. Umile anche. Ed è in questo tipo di semplicità invocata e dimostrata da Papa Francesco che si coglie un che di profondamente cristiano. Perché in essa il continuo slancio della carità verso le persone – accompagnato da un calore sempre vivo, non importa che la circostanza sia eccellente o banale – non viene mai frenato dai meccanismi del protocollo, non soggiace a codici regali che vogliono passettini e pose austere, secondo quella secolare estetica della distanza che separa il Pontefice dalla gente e che i Papi dal Concilio in poi hanno via via ridimensionato. Con le udienze generali del mercoledì, come nell’ininterrotta apoteosi dei giorni di Copacabana, Papa Francesco il semplice ha ulteriormente eroso metri quadrati – ma che nelle abitudini vaticane valgono chilometri – a questa per lui insopportabile distanza tra sé e il suo popolo. Perché un pastore – va ripetendo – può stare avanti, in mezzo o dietro al suo gregge. Mai più in alto. Dunque, si può dire che la semplicità per Papa Francesco è una questione di spazio. È un luogo fisico, perché “Dio – ha detto – appare negli incroci”. Ed è un luogo dell’anima, cioè l’arena in cui la Chiesa vince o perde la sua partita:
“A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile ‘pescare’ Dio nelle acque profonde del suo Mistero”. (Discorso all’episcopato brasiliano, 27 luglio 2013),
Alessandro De Carolis
http://it.radiovaticana.va
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