domenica 16 settembre 2012

Quando sono debole è allora che sono forte

Dio è avvenimento. Non è un’idea mia, un’astrazione lontana. Egli accade nell’incontro con le persone che mi mette a fianco, perché scatti la scintilla dell’incontro con Lui. L’inizio della novità è l’incontro con un altro, o con altri, che mi portano l’annuncio e il segno della sua presenza. Tale inizio matura poi in una vita con le persone che più mi sono vicine e che più mi ricordano Cristo. Questo ricordo di lui, questa memoria, questa sua presenza, è fatta di gioia e di dolore, è fatta di vicinanza e di distanza, di corrispondenza e di incomprensione. Entrambe le strade portano realmente a Dio nella misura in cui noi le abbracciamo. Nella gioia può nascere la dimenticanza e nel dolore la disperazione. Ma, all’opposto, gioia e dolore diventano strade di compimento della nostra vita se le abbracciamo vivendo la gioia come anticipo della vita definitiva, come dono della sua resurrezione e il dolore come partecipazione alla sua croce e richiesta di cambiamento dello sguardo sull’altro, del giudizio sull’altro. La presenza degli altri, sia nei loro doni sia nei loro limiti, sia nelle loro grandezze sia nelle debolezze, diventa occasione di pienezza già nel presente, diventa la via per andare a Dio, per riconoscere il suo mistero presente nella vita, per abbracciare la verità. L’altro è diverso da me, di una diversità che nasce dal fatto che la comunione non è un’uniformità, ma è fatta di tanti colori, di una pluralità di volti e di sfumature. Non c’è un volto uguale a un altro, non c’è un’impronta uguale a un’altra. Questi aspetti superficiali della nostra diversità, che talvolta ci fanno soffrire, in realtà ci introducono nell’infinitudine di Dio. Non c’è un fiore uguale a un altro, un filo d’erba uguale a un altro. Accettando la diversità dell’altro comincio a fare l’esperienza positiva che la vita è sempre nuova perché Dio è infinito. Egli, attraverso l’incontro con gli altri, attraverso la realtà inattesa dell’attimo che accade, attraverso la sorpresa che suscita continuamente nella vita, arricchisce il mio cammino verso di Lui e il mio canto di lode per la sua infinita novità. E così grazie alla diversità dell’altro entro nell’esperienza della ricchezza di Dio. Certamente la diversità a volte è un ostacolo, causa fatica e talvolta è ragione di incomprensione. Eppure, tutte queste strade, al fondo, se accettate, ci conducono a scoprire qualcosa che ancora non stiamo vivendo. La ricchezza di Dio è una ricchezza misteriosa. L’aspetto più sconvolgente della sua ricchezza è che per Dio la vita include anche la morte, il bene include il sacrificio, e la fatica. Arrivare alla resurrezione significa passare attraverso la croce: ma l’ultima parola non è la diversità dell’altro come disagio o alterità, ma l’unità come ricchezza di forma e di colore. Oggi c’è parecchia confusione su un aspetto particolare della ricchezza di Dio. La sua debolezza. Dio non è debole, è forte. Ma Dio si è fatto debole, per raccogliere l’uomo nella sua debolezza, per scendere al nostro livello, per comunicarci la sua forza. San Paolo dice che da ricco che era si è fatto povero, per renderci ricchi con la sua povertà (cfr. 2Cor 8,9). Dio si è fatto debole per prendere su di sé la nostra debolezza e comunicarci la sua forza. Oggi assistiamo a un’apologia della debolezza che è molto dannosa, la cui massima espressione è il cosiddetto “pensiero debole”. Ma Dio è forte e vuole comunicarci la sua forza. E la sua misericordia è segno della sua forza, che sa comprendere ogni distanza e ogni lontananza, ogni esperienza di debolezza. Come dice san Paolo: quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,10). Perché la mia forza non sono io, ma è Cristo. La mia debolezza fa strada alla forza di Dio. È per questo che Dio sceglie i deboli: per confondere i forti, perché i forti sono pieni della loro forza e non sentono il bisogno di aprirsi a Dio. Ed è questa la ragione per cui Dio sceglie i bambini, che non hanno una sapienza propria, evoluta, erudita. Sono ricchi soltanto delle parole che hanno sentito direttamente da Dio attraverso i loro genitori e i loro amici. E in questo modo essi, non avendo altre parole oltre quelle ascoltate, sono forti della forza di Dio. http://www.sancarlo.org/it/?p=5737 di Massimo Camisasca ·

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