giovedì 5 gennaio 2012

Non si può far sì che una cosa che è accaduta non sia accaduta.


Il cristianesimo è diventato vero, cioè la Sua presenza si è manifestata, l’evidenza della Sua presenza. Anche se è attraverso un segno, la parola evidenza è giusta, perché il segno è una cosa che si vede, si tocca e si esperimenta: «Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo toccato, quello che abbiamo sentito del Verbo della vita» (1Gv 1,1-3); ma proprio perché era un segno, proprio perché è attraverso un segno può l’indomani o l’ora dopo, nel colloquio con altri che si dimostrano meno entusiasti o che prendono in giro o che non hanno visto, proprio perché è un segno, nel colloquio con altri o ventiquattr’ore dopo o l’anno dopo, l’evidenza può non esserci più e l’esperienza può non percepire o sentire la Presenza della manifestazione. L’evidenza non c’è più e la manifestazione è come se fosse scomparsa. È nella interpretazione del segno che è chiamata a giocarsi la nostra libertà, cioè il nostro amore all’Essere. Infatti, perché i Re Magi hanno piantato lì e hanno seguito quella stella? Hanno seguito l’impulso che sentivano dentro vedendo quella stella; perché? Perché erano pieni di amore all’Essere, perché erano pieni di ricerca, perché erano poveri di spirito, perché erano mendicanti, perché sinceramente desideravano, desiderosi cercavano: la parola “amore all’Essere” è questa. Erano pieni di amore all’Essere, che è la caratteristica dei poveri di spirito, perché il povero di spirito è un bambino con gli occhi sgranati che dice di «sì» a tutto quello che gli si pone con evidenza.

«Dio, tu sei il mio Dio». Quel «mio Dio» indica il riconoscimento; ma riconoscimento di che? Di una propria idea, del raggiungimento di una propria idea? Del termine di una propria analisi, del traguardo di un proprio sentimento? Il riconoscimento è di qualcosa che accade, perciò di qualcosa che è accaduto! Insomma: l’evidenza in quel segno, cioè l’evidenza riconosciuta, in cui si è giocata la loro libertà, ha fatto partire i Re Magi. Cosa vuol dire «li ha fatti partire»? Ha determinato una strada. Che cosa determinava la strada? Cosa determinava il cammino sui cammelli con l’oro e la mirra e l’incenso, sulle dune, nei guadi, quando la sera piantavano lì e dovevano dormire e facevano la tenda oppure stavano a guardare il cielo perché non avevano sonno? Cos’è che determinava il loro cammino? L’aver visto la stella in quel modo. Tanto è vero che, anche quando la stella è scomparsa, hanno continuato e la stella che li accompagnava non era assolutamente necessaria, come ragione, per il loro camminare; era una benevolenza che li guidava, era una gloria in più, di facilitazione, di compagnia. Chissà quante volte sarà loro venuto in mente: «Torniamo indietro!», chissà quante volte avranno detto: «Qui abbiamo perso la strada!». Chissà quante volte avranno detto: «Ma non ci interessa più niente!». La strada era, non determinata dal loro stato d’animo, che avevano quel giorno, non dal parere che potevano dare quel giorno, non da quello che vedevano e sentivano in quel giorno, ma da quello che era successo. La ragione della strada, il motivo della strada, ciò che ha determinato la strada è stato l’avvenimento iniziale, quello che li ha fatti partire, e per questo era una strada fedele, una strada in cui non potevano tornare indietro perché - come dicevano gli Scolastici - factum infectum fieri nequit, non si può far sì che una cosa che è accaduta non sia accaduta. Come il Signore, che è venuto e ha piantato il suo chiodo in questo mondo, e anche se tutti gli uomini diventassero distratti e sputassero addosso all’Annuncio, Lui oramai è venuto! Così oramai è venuto, è accaduto quel momento in cui l’evidenza ci è stata data, quel momento in cui tutto ciò che ci avevano detto da piccoli, tutto ciò che dicono i preti, tutto ciò che fa la Chiesa, si sperimenta che ha dentro il significato reale, è vero! Da questa ultima osservazione risulta ancor di più che tutto il fulcro della questione, tutto il peso, il peso del cammino, tutto quanto poggia sulla grazia, sulla grazia che ci ha incontrato. In noi realmente occorre solo una “piccolezza” d’animo, nel senso che diceva Gesù nel Vangelo: «Se non sarete come bambini», ma un essere bambini intelligenti, perché questa è una logica tremenda: non si è logici, non si è coerenti con se stessi dal punto di vista logico, se non si rispetta questo che stiamo dicendo - perché non c’è nessun «se», nessun «ma», nessuna paura, nessuna tentazione che ci faccia, che tenda a farci giudicare come illusione l’appartenenza, che possa togliere il fatto dell’evidenza di partenza, del presentimento di partenza, del segno che ci ha percosso. Questo non lo toglie via nessuno!
Testo di una meditazione del 1973 di don Giussani distribuito durante la Gmg a Colonia

Nessun commento: