lunedì 28 marzo 2011

TEMPO (E NECESSITÀ) DI MISERICORDIA - QUELL’ANSIA LUMINOSA

MARINA CORRADI

S ommersi sempre da un fiume di parole. Dal primo radiogiornale del mattino alla televisione al web, camminiamo ogni giorno come dentro una selva di parole. Noi giorna­­listi, poi: con questo schermo davanti agli oc­chi su cui scorrono allineate falangi di paro­le, e quasi sempre parole di sconfitte, di vio­lenze, di torti; oppure vacue e inutili e chias­sose parole, che non dureranno un giorno. Dentro a questa selva ogni tanto però passa­no rare parole pesanti. Come facce care, tra una folla estranea e distratta. Ciò che ha det­to Benedetto XVI venerdì alla Penitenzieria apostolica, per esempio. Parlava ai confesso­ri: conoscere e visitare l’abisso del cuore u­mano, ha detto, alimenta la certezza che «l’ul­tima parola sul male dell’uomo e sulla storia di Dio, è della sua misericordia, capace di fa­re nuove tutte le cose». Provate a rileggerla, questa frase breve come un dispaccio d’agenzia. Soppesatela: non è inchiostro, ma materia più densa e più anti­ca. L’ultima parola sul male e sulla storia è la misericordia di Dio, che rinnova ogni cosa. Il Papa parla di ciò che avviene nella Peniten­za, sacramento oggi desueto e quasi general­mente avversato già per il suo stesso nome. Penitenza? E di che? Noi rivendichiamo, pro­testiamo, accusiamo – preferibilmente, gli al­tri – ma quanto ci suona antiquato e sgrade­vole questo termine che indica un ripensa­mento su di sé, un’umiltà – un inginocchiar­si. Senonché in questa ostilità epidermica di­mentichiamo l’altro lato, e il più grande, del sacramento. Che è la misericordia di Dio; che fa nuovi gli uomini e le loro anime lise.

Questo aspetto ricreatore della misericordia, nell’oblio di molti e anche credenti, a legger­lo nel discorso del Papa si mostra come un motore potente e silenzioso della storia d’Oc­cidente. Perché la storia degli uomini è stata segnata da ogni male: ferocia di assedi e guer­re, persecuzioni, stupri. Noi non sappiamo che cosa c’è fra le pietre di ogni nostro augu­sto palazzo, e cosa hanno visto i selciati e i ponti delle strade millenarie. Ma se sapessi­mo, potremmo rimanere atterriti; e per rea­zione diventare disperati, oppure, più facil­mente, cinici. Il fatto è però che sempre ha agito in fondo alla storia dell’Occidente cristiano quel mo­tore occulto e forte: del domandare perdono a Dio, e averne la grazia di rico­minciare. Sappiamo bene che molte delle nostre più splendide cattedrali sono sorte anche con donazioni di briganti e di ladri. Ma contemplando Chartres o la cattedrale di Strasburgo, e pen­sando che sono state fatte con le mani e con gli ori di poveracci co­me noi, sembra di ve­dere incisa nella pie­tra la misericordia di cui parla il Papa; misericor­dia che crea e rinnova o­gni cosa. Che trae, afferma Tommaso, dal ma­le un bene più grande. Quale grande motore abbiamo avuto, pos­sente, silenzioso, nelle fondamenta, mentre costruivamo la civiltà occidentale e le città che oggi ammiriamo stupiti, senza saperle ri­fare così belle. Questo tesoro avevamo: come la misericordia di una madre, come la forza di un padre che ogni volta ripete: non dispe­rarti, io ti do la grazia di andare oltre. Ora che ci affermiamo invece creature autonome e senza bisogno di alcun padre, il grande mo­tore gira piano. Gli manca quell’acqua catti­va, direbbe il poeta Charles Peguy, da cui trar­ne di pura, quell’acqua vecchia da cui trarne di giovane: l’acqua che trasformi le 'anime calanti' in 'anime sorgenti'.

Sarebbe bello in questa Quaresima ritornare a fidarsi, semplicemente, di ciò che è pro­messo. Noi superinformati, noi complicati, noi orgogliosi e diffidenti: fidarci ancora, sem­plicemente.

Basta guardarsi e vedersi, e riconoscere il no­stro male, e chiedere perdono. Il resto è gra­zia, è la misericordia di un Dio che non ripa­ga secondo la nostra misura, ma ricrea. E sua è l’ultima parola sulla storia, non nostra, non atterrita dalla nostra miseria. Fidarsi ancora, bisognerebbe; e rimettere in moto quel pos­sente motore che, in tutto il nostro male, ri­costruisce ogni volta, e afferma un’ansia irri­ducibile di vita, di un destino buono.

MARINA CORRADI

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