mercoledì 22 dicembre 2010

È L’INCONTRO CHE CAMBIA

Una cosa è chiara. La nostra voglia di incontrarci è più forte della vo­stra voglia di scontro. Nonostante le manifestazioni, gli atti vandalici, le vio­lenze (e le minacce, come quella te­menda della bomba dimostrativa tro­vata ieri sulla metro di Roma), nono­stante le accensioni violente del di­battito, da parte di studenti, intellet­tuali (?) e politici; insomma, nono­stante l’Italia sia fatta apparire come pervasa da una voglia aspra di scon­tro, noi sappiamo una cosa che non troverete scritta su tanti giornali e su­gli striscioni: è più forte la voglia di in­contro.

Ci avvertiva Pavese: la bellezza supre­ma degli uomini si vede nei loro in­contri. In quelli tra padri e figli, tra com­pagni, tra colleghi, tra amici. Tra inna­morati. Tra gente di cultura e di idee diverse. Noi lo sappiamo. Segreta­mente lo sappiamo. E soffertamente. Perché troppi media sembrano sobil­lare la voglia di scontro. E troppi poli­tici e troppi intellettuali. Mentre noi sappiamo (e tutti sanno, in fondo) che solo dagli incontri nasce qualcosa di buono ed emerge la vera forza rivolu­zionaria, quella che cambia le cose.
DAVIDE RONDONI

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Negli scontri si acuisce solo il senso dell’avversario. Lo si dipinge come il male. E da scontro così nasce solo al­tro scontro. E odio. Mai costruzione. Mai riforma. L’Italia invece è un Paese di incontri. La stessa identità di italia­ni fu scelta da popoli che decisero di in­contrarsi, cessando una logica di solo scontro. E la nostra storia ha trovato momenti di reale progresso solo quan­do gente diversa ha deciso di incon­trarsi.

Fu così per la Costituente. Ed era gen­te che veniva da esperienze opposte. Che era passata dalla logica dello scon­tro alla scommessa dell’incontro. Si di­ce che questi giovani (i manifestanti occasionali, non quelli di professione) stanno indicando un disagio. Se il di­sagio genera solo scontro, sarà disagio sterile. Un disagio che genera vuoto, il peggio che può accadere. Ma anche il disagio può essere un motivo di in­contro. Perché il malessere – va detto a questi giovani – non è un lasciapas­sare per lo scontro o la violenza. E il lo­ro è anche il nostro disagio. Su questo occorre incontrarsi.

Ma quanti adulti sono disposti a in­contrarsi veramente con questi ragaz­zi? A condividere tempo, energie, ri­sorse? A giocare responsabilità e rischio di costruzione e non solo slogan? Si di­ce, con uno slogan appunto, che sono ragazzi (una parte non maggioritaria, va detto anche questo) che manifesta­no e scelgono lo scontro perché non sentono sicurezze sul futuro. Ma il fu­turo non è un problema solo dei gio­vani. È un problema dei padri, come dei figli. In modo diverso, ma con u­guale intensità. Il futuro per un padre si chiama problema della eredità. Co­sa lascio? Cosa ho costruito?

Drammatico come le domande di un giovane circa il suo futuro. Su questo occorre incontrarsi. E non solo nelle aule del Parlamento, dove la prassi de­gli incontri diviene regola democrati­ca, che o si accetta o ci si pone solo in sterile logica di scontro. Si tratta di in­contrarsi anche in tutti i luoghi della vita quotidiana. Tra padri e figli, tra pa­dri e padri, tra amici, tra colleghi, tra compagni. Noi sappiamo e lo diciamo forte: la nostra voglia di incontri è più forte della vostra voglia di scontro. Più forte di voi manifestanti o politici o giornalisti o intellettuali che cercate un triste entusiasmo nel soffiare sullo scontro.

Tra il fumo e i titoloni e in mezzo a se­gni inquietanti noi vediamo che l’Ita­lia ha forte voglia di incontri: impreve­dibili, faticosi, anche, ma segnati da desiderio di costruzione. Gli incontri che fanno la bellezza dell’Italia e del­l’esser uomini. Tutti, ragazzi e no, de­vono decidere se stare dalla parte del­la bellezza o della sterilità.

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