martedì 5 gennaio 2010

Per San Benedetto la prima Regola era la virtù dell'amicizia



Il tema dell’amicizia non è trattato in modo sistematico né nella Regola né nella Vita di san Benedetto scritta da Gregorio Magno, ma le due opere sono impregnate di amicizia, intesa come aiuto e compagnia offerta all’uomo per il compimento di sé in questo mondo e per la felicità eterna. Gregorio Magno racconta che san Benedetto «desiderando di piacere solo a Dio abitò con se stesso, perché, sempre vigilante alla custodia di se stesso, sentendosi sempre sotto lo sguardo del Creatore, sempre scrutandosi, non divagò fuor di se stesso l’occhio della sua anima».
Egli intende dire che la condizione dell’amicizia è la capacità di stare con se stessi. Il primo modo in cui si manifesta l’amicizia è la conversazione. A questo proposito san Gregorio narra l’ultimo incontro di Benedetto con la sorella Scolastica, nel quale avevano «passato l’intera giornata lodando Dio e in santi colloqui». Venuta la sera, Benedetto doveva tornare al suo monastero, ma la preghiera di Scolastica, desiderosa di stare ancora in compagnia di suo fratello, ottenne che si scatenasse una grande tempesta, impedendo così a chiunque di muoversi: così, al di là di ogni regola, «passarono tutta la notte vegliando, saziandosi di sacri colloqui col ridire l’uno all’altro le cose della vita spirituale».

Benedetto «si trovò di fronte a un miracolo ottenuto dall’affetto di una donna in virtù dell’onnipotenza di Dio, poiché, secondo la parola di Giovanni, “Dio è amore”, per giustissimo giudizio poté di più colei che amava di più». L’amicizia di san Benedetto per i suoi monaci si rivela nell’attenzione concreta alla loro situazione. San Gregorio racconta di un Goto entrato in monastero, che aveva perso un utensile mentre liberava dai roveti un terreno. Era dispiaciuto e temeva la penitenza che gli sarebbe stata prescritta. San Benedetto miracolosamente gli restituì il ferro, dicendogli: «Tieni, lavora, e sii contento».
L’amicizia non esclude, là dove si renda necessaria, la correzione. Questo tema percorre tutta la Regola fin dal prologo, in cui san Benedetto afferma di aver scritto la sua opera, affinché il discepolo «possa per la fatica dell’obbedienza tornare a colui dal quale si era allontanato per l’inerzia della disobbedienza». Un esempio del modo con cui egli intendeva e praticava la correzione è narrato ancora da san Gregorio. Il re goto Totila, dopo aver cercato di ingannarlo, si inginocchiò a terra davanti a san Benedetto. Egli gli disse di alzarsi, «ma quegli non osava dinanzi a lui levarsi da terra. Allora Benedetto, servo del Signore Gesù Cristo, si degnò recarsi egli stesso vicino al re prostrato e lo sollevò da terra; poi lo riprese delle sue male azioni», tanto che egli se ne andò «e da allora fu meno crudele».

La virtù dell’amicizia porta con sé l’ammirazione per la santità dell’altro. Nella Regola san Benedetto chiede ai monaci di rendersi onore reciprocamente. Egli prescriva all’abate che non usi preferenze in monastero. Non ami l’uno più dell’altro, a meno che non l’abbia trovato migliore nelle buone opere e nell’obbedienza».
ilsussidiario.net 5 gennaio

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