lunedì 25 gennaio 2010

HAITI Il Mistero nascosto dentro a queste macerie


21/01/2010 - La testimonianza di un missionario che si trova a Port-au-Prince. Nella frenesia dei soccorsi e nelle analisi, qualcosa rischia di essere taciuto. Serve «guardare veramente» il silenzio e l'accettazione della gente

Padre Leonardo Grasso ad Haiti.Siamo arrivati in Venezuela da alcuni giorni insieme a Juan Carlos dell'associazione civile Icaro e adesso ci troviamo a Port-au-Prince, la città più colpita dal terremoto che ha scosso tutto il Paese martedì 14 gennaio. Le tracce di quell'avvenimento si possono vedere con drammatica evidenza nella quantità di edifici che sono crollati in città: tutto è ridotto in macerie, costruzioni di alcuni piani adesso sono alte solo un paio di metri, a causa del crollo di vari piani uno sopra l'altro e ora solo pochi centimetri li separano.
Camminando per la città si assiste a un'impressionante distruzione, che colpisce con forza e non può smettere di scuotere tutto il nostro umano.
Senza dubbio c'è qualcosa che mi colpisce con ancora più violenza in questa situazione drammatica. Qui a Port-au-Prince si assiste a una frenesia di solidarietà: ong e organizzazioni di ogni genere si prodigano nell'affronto dell’emergenza; volontari giunti da tutte le parti del mondo si affannano nel portare servizio ai bisognosi; i governi donano milioni di dollari per ricostruire; i mezzi di comunicazione dedicano tutta la propria programmazione all'emergenza Haiti; personalità di tutti i settori proclamano la propria solidarietà alle vittime; tutti lanciano appelli di solidarietà...
Tutto questo dispositivo di solidarietà, di generosità, di iniziative, di febbrile e ininterrotta attività manifesta mi sembra qualcosa che lascia perplessi. La generosità e l’impegno di tanta gente sono evidenti e commoventi, ma si ha l’impressione di assistere a un'immensa onda di sentimenti che generano un'attività impressionante e commovente. Ma manca qualcosa.
La solidarietà, la mobilitazione, l'emergenza e l'urgenza dominano l'orizzonte e la percezione di ciò che è accaduto. È come se la giusta e addirittura ammirabile iniziativa di migliaia di persone smorzasse tutta la posizione umana di fronte a ciò che è successo. Sembra che tutta la macchina di solidarietà internazionale dia per scontato e diffonda la coscienza che tutto ciò che è accaduto sia solo una disgrazia, una lamentabile anomalia della realtà a cui si deve contrapporre la più perfetta ed efficiente capacità di mobilizzazione e di iniziativa dell'uomo, correggendone le conseguenze negative con l'organizzazione e la forza di volontà mascherata a volte sotto il nome di certi "valori".
Si ha inoltre l'impressione che tutto cospiri per mettere a tacere qualcosa che sta nel profondo di ciò che è accaduto, qualcosa dentro a ciò che è accaduto, qualcosa di presente tra le macerie di questi edifici distrutti e tra il dolore di questa gente.
A ciò contribuiscono le notizie che distorcono la realtà parlando di un popolo determinato dalla disperazione, con continui episodi di violenza, con saccheggi ad opera di gruppi spinti dalla fame e con gravi mancanze nell'organizzazione umanitaria. Tutto ciò è falso e lo posso dire per esperienza mia diretta, non per averlo letto nelle agenzia internazionale. Ma sembra che si voglia dare l'immagine di un popolo disperato e quasi disumanizzato di fronte alla difficoltà.
Passando per Port-au-Prince oggi non potevamo non fermarci di fronte a ogni edificio crollato, non potevamo non restare in silenzio di fronte a quelle rovine, non potevamo non guardare quelle macerie e quei corpi imprigionati e già in decomposizione, senza lasciarci scuotere dall'evidenza che da lì sorgeva: quella di un luogo misteriosamente ma evidentemente sacro. "Misteriosamente" perché uno non riesce a cogliere tutto il significato di quella realtà con i suoi piccoli criteri e comprendere ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi; ma allo stesso tempo "misteriosamente sacro", perché è quasi impossibile (o è possibile solo censurando la propria umanità) non rendersi conto che lì, proprio tra quelle macerie, c’è presente qualcosa di grande, qualcosa che ha a che fare con il destino di ognuno di quegli uomini che stanno sotto quelle rovine e con il destino di ognuno.
Guardare le macerie delle due università che sono crollate mentre erano zeppe di professori che facevano lezione, di impiegati e operai che prestavano il proprio servizio e di centinaia di giovani studenti che si stavano formando; vedere le rovine di alcune scuole che adesso custodiscono i corpi di migliaia di bambini e giovani adolescenti che stavano frequentando le loro lezioni; entrare tra le macerie dell’arcivescovado al cui interno giacciono ora i corpi dell’arcivescovo, di vari sacerdoti e di decine di fedeli che si erano riuniti li con lui; camminare sopra ciò che resta dei tre seminari in cui quasi duecento seminaristi hanno trovato la morte; incrociare lo sguardo di uomini e donne che sono di fronte alle proprie case distrutte al cui interno inaccessibile si trovano i corpi dei loro figli; pensare a tutti quelli che sono rimasti sotto le macerie con il proprio desiderio di felicità e pienezza; cercare di immaginare gli ultimi momenti di vita di quegli uomini; ascoltare i racconti delle persone che sono sopravvissute e di quelle che sono state estratte dalle macerie dopo ore o giorni... Tutto questo ci fa stare in silenzio con una domanda che sorge dal cuore sul significato, il valore, il significato segreto di quel fatto. Nello sguardo e nella disperazione di molti dei soccorritori si rende evidente la percezione che hanno di ciò che è accaduto solo come un disastro, una maledizione; in molti volontari delle ong si percepisce la calcolata efficienza degli "esperti di emergenze"; in tanti operatori dei media il desiderio di trovare la notizia sensazionale; in molti politici la preoccupazione dell'analisi della situazione.
E la gente semplice di Haiti?
È impressionante vedere l’umiltà e la forza con cui vive questa situazione; il silenzio della gente quasi ammutolita di fronte a tanto dolore; la tranquillità (che molti soccorritori confondono con apatia o indolenza) addirittura nella tragedia; i gesti semplici di aiuto e fraternità nel condividere quel poco che possiedono, l'assenza di violenza e di disperazione; dormire per terra in piazza o in piena strada senza lamentarsi o maledire nessuno; l'accettare con forza le proprie ferite fisiche (sono moltissimi i feriti e coloro che hanno perso mani e braccia), e addirittura le ferite causate dalla morte dei propri cari; lo sguardo sorpreso e a volte distante di fronte a tanta attività dei soccorritori che presumono di sapere ciò di cui la gente ha bisogno e che cercano di inculcare loro le proprie soluzioni; l'impressione che traspare spesso dai loro sguardi pieni di gratitudine per l'aiuto che ricevono, ma consapevoli che i soccorritori non li capiscono, che molti di coloro che sono lì ad aiutarli non capiscono quello che loro capiscono, non capiscono ciò che essi custodiscono nel loro intimo.
Certamente non si tratta di non agire o di smettere di aiutare. Non si tratta di trattenersi ma, al contrario, di potenziare il modo di stare e agire in questa realtà, mettendosi con umanità di fronte a quello che sta accadendo e alle persone che soffrono le conseguenze del terremoto. Si tratta di guardare. Di guardare veramente. Si tratta di mettersi di fronte a questa realtà con tutto il nostro umano spalancato, senza aver paura dell’apparente contraddizione, senza fuggire nell'attivismo per non affrontare le domande che il dolore ci suscita, senza chiudere in un banale sentimentalismo ciò che, al contrario, costituisce una provocazione alla nostra ragione, lasciandoci toccare nel profondo, nelle esigenze profonde che ci costituiscono, per poter vedere ciò che abita veramente dentro ciò che sta succedendo. Si tratta in fin dei conti di chiedere un cuore semplice, capace di riconoscere la presenza del Mistero tra quelle macerie e poter così agire in modo pienamente umano, capace di abbracciare la realtà nella totalità dei fattori che la costituiscono e per questo veramente utile ai nostri fratelli haitiani.di Padre Leonardo Grasso

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