giovedì 27 novembre 2008

Tutto cominciò con un digestivo




Il direttore Lucchini: «Dovevamo aiutare la gente senza cibo, e la prima donazione che ricevemmo fu una partita di Fernet»
DI GIORGIO PAOLUCCI
« La realtà a volte ti pren­de in contropiede, ma non puoi evitare di far­ci i conti. Sa qual è stata la prima ’ eccedenza alimentare’ che ci è stata donata quando abbiamo co­minciato il Banco, nel 1989? Una partita di Fernet Branca. La situa­zione era paradossale: non aveva­mo ancora dato da mangiare a un povero e ci trovavamo a distribui­re un digestivo... Ci siamo detti: va bene lo stesso, tutto può diventa­re utile per costruire un’opera co­me il Banco, partiamo da quel che abbiamo tra le mani » . Marco Luc­chini dirige da vent’anni la Fon­dazione Banco Alimentare ed è a­bituato a fare i conti con la Provvi­denza che veste i panni dell’im­prevedibile: «Partiamo ogni volta dalla realtà che ci rivela sempre qualcosa che non sappiamo e che nemmeno lontanamente immagi- niamo. In questo senso, la realtà è qualcosa di altamente educativo. Facendo questo lavoro diventa e­vidente che i primi poveri siamo noi e che la forza dell’uomo sta nella capacità di domandare » . Per questo, parafrasando un celebre spot pubblicitario, lui si definisce « l’uomo che chiede sempre » anzi­ché l’uomo che non deve chiede­re mai. La storia del Banco è fatta di gen­te che chiede, riceve e diventa a sua volta capace di donare. Come è accaduto a Enza, una donna na­poletanza trapiantata a Milano da sedici anni con la famiglia. Poco dopo l’arrivo nella metropoli lom­barda, una catena di eventi nega­tivi si abbatte in successione sulla sua vita: sia lei sia il marito perdo­no il lavoro, muore il terzo figlio di 15 mesi, arriva lo sfratto dal pa­drone di casa. Tirano avanti solo grazie all’aiuto della sorella, poi l’incontro con i volontari del Ban­co che li aiutano donando prodot­ti alimentari a lunga scadenza. È la rete di salvataggio con cui rie­scono a resistere nel periodo più buio, poi entrambi trovano un’oc­cupazione e l’esistenza riparte. U­na vita costellata di sacrifici e ri­nunce, nella quale Enza ha trova­to spazio anche per fare volonta­riato insieme a coloro che l’aveva­no aiutata. E sabato ci sarà anche lei, tra le migliaia di persone che raccoglieranno viveri all’uscita dai supermercati in occasione della Colletta.
« Qui ho trovato un’amicizia fra le persone che non immaginavo, un legame che non si ferma al tempo in cui si fa volontariato ma che ti resta dentro, ti lascia il segno, ti cambia la vita » . Delfio si racconta mentre sposta i carrelli carichi di scatoloni da sistemare nel magaz­zino del Banco di solidarietà di Co­mo, dove per tutto l’anno vengo­no accumulati e poi smaltiti i pro­dotti raccolti dalle aziende ali­mentari della zona e dalle famiglie che offrono una parte della loro spesa. Ogni mercoledì Delfio, che ha lasciato alle spalle una storiac­cia di tossicodipendenza, entra in quel magazzino: è una tappa del suo programma terapeutico giun­to ormai alla fase conclusiva. La sua storia, come quella di molti al­tri volontari, viene raccontata da Laura D’Incalci in un libro appena pubblicato da Itaca Edizioni: « L’o­lio nel vetro scuro » . « Per me che cercavo emozioni nei locali not­turni, in un mondo artificiale, è im­portante potermi misurare con la vita normale fatta di problemi quotidiani e scoprire come af­frontarli – dice – . Venire qui è una piccola- grande scuola: ho impa­rato che per condividere davvero i bisogni, si deve condividere il sen­so della vita » .

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