15/03/2012 - Il terzo incontro della catechesi dell’Arcivescovo di Milano, Angelo Scola, in preparazione alla Pasqua. La meditazione continua sulla Via del Calvario, fino alla crocefissione. «L'ultima parola sulla vita dell'uomo non è più la morte»
«Stasera vogliamo percorrere la strada in cui Lui ci amò fino alla fine. Vogliamo prostrarci ai Suoi piedi, come la Maddalena nel dipinto di Hayez». Così l’arcivescovo Angelo Scola apre il terzo appuntamento dell’itinerario di Quaresima nel Duomo di Milano: «La morte di Gesù vince la nostra comune morte. Stiamo ai piedi della Croce come quella donna e chiediamo a Lui di compiere l’esperienza vera dell’amore nel rapporto con Dio, con il prossimo e con noi stessi». La meditazione si concentra su Gesù che incontra le donne di Gerusalemme, cade la terza volta, è spogliato delle vesti e viene inchiodato alla croce. I testi di Mario Luzi, Olivier Clément, Georges Bernanos e Thomas Stearns Eliot, aiutano «il nostro cammino a farsi preghiera».
Gesù incontra, sulla Via del Calvario, le donne di Gerusalemme che si battevano il petto. «Ma voltandosi verso di loro disse: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli"», spiega Scola, «il testo biblico potrebbe riferirsi ad un’usanza propria delle donne aristocratiche di Gerusalemme, di preparare bevande calmanti e di porgerle ai condannati, in un gesto di materna compassione». Ma Gesù le richiama. «Lui, stremato lungo la Via Dolorosa, ha la forza per correggere il loro pianto, e anche il nostro, che è fatto di distrazione. Apre alla compassione e supera la parte sentimentale e istintiva». E continua: «Non possiamo volgere lo sguardo a Gesù senza la coscienza di essere peccatori. Troppo spesso le nostre giornate sono segnate dalla distrazione, dalla dimenticanza, il nostro cuore così è arido e imperturbabile. Signore, donaci le lacrime che sciolgono la colpa e il pianto che merita il perdono. Insegnaci a chiamare per nome il nostro peccato». Come avranno reagito le donne al richiamo di Gesù? Eliot traduce il loro sgomento: «Dio ha sempre lasciato una speranza, uno scopo. Ma, adesso, siamo macchiate da un terrore nuovo. Ora ci ha abbandonato». «Anche Lui sulla Croce ha gridato queste parole. Ma ha accettato di sperimentare il dolore della separazione con il Padre amato», commenta l’Arcivescovo, «si è abbassato volontariamente a fare, in nostro favore, l’esperienza del dolore e della sofferenza più radicale: la perdita dell’Amore». Scola invita a compiere, in questo «benedetto» tempo di Quaresima, un piccolo atto di pietà: «Prendiamo fisicamente in mano il crocefisso. Il Suo sguardo ci muoverà a riconoscere il nostro peccato».
Cade per la terza volta. «Si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca. Il suo silenzio è insolito. "Fu eliminato dalla terra dei viventi", dice Isaia. È la solitudine più radicale, il Crocefisso è il più emarginato degli uomini». La terza caduta, per il peso che aveva sulle spalle, dice di quanto sia grave la Sua solitudine: «L’uomo abbandonato a se stesso non può che rimanere schiacciato dal peso del male. Ma Gesù accetta di essere schiacciato. Mentre noi ci ribelliamo, Lui è paziente». Aggiunge Scola: «Così fanno anche i martiri. Ricordiamo il martirio dei nostri fratelli cristiani perseguitati, in troppe parti del mondo, per la verità e per la giustizia. Noi ci scandalizziamo di fronte alla "strana necessità del sacrificio".
Eppure è nel sacrificio che tutto diventa vero». Il Vangelo di Giovani racconta che «quando ebbero crocefisso Gesù, presero le sue vesti, e la tunica». Il Signore viene spogliato. «La Sua nudità», commenta Scola, «ci riporta alla nudità del primo Adamo. Ma c’è una radicale differenza. Non siamo più di fronte ad all’innocenza originaria dove il corpo risplendeva in tutta la sua natura relazionale, come segno di comunione con Dio e con l’altro. L’uomo era nudo perché nulla nascondeva la sua verità, il rapporto con il Creatore. Ora, invece, dopo la rottura della relazione costitutiva con Dio, la nudità, ferita mortalmente da quella perdita, soffre e si vergogna». L’uomo oggi sembra accettare e nascondere questa vergogna, ma le «posture originarie dell’io», non si strappano via. Nel Giorno del Giudizio «saremo nudi davanti a Dio», sottolinea Scola, «l’umiliazione del Crocefisso testimonia che senza la verità legittimata dall’amore, alla lunga, non viene rispettata la dignità di ogni uomo e di ogni donna. In tempi come i nostri è grande la tentazione di dire "addio alla verità" per accomodarsi in una sorta di "rassegnazione gaia"». Poi un invito, soprattutto per i fedeli laici, ad edificare, anche in questa società così plurale, la civiltà della verità e dell’amore.
«Poi lo crocefissero». Gli evangelisti lo descrivono con termini sobri, senza quella «spettacolarizzazione del dolore, purtroppo così abituale per la comunicazione massmediatica di oggi». Non servono tante parole. Il corpo del Signore si lascia morire sulla Croce: «Fa esplodere la consapevolezza del male mortale», spiega l’Arcivescovo, «oggi non si sente più questa consapevolezza. Una delle censure più pesanti della mentalità dominante è quella che riguarda il riconoscimento del proprio peccato. Tutt’al più, quando il disagio diventa incontenibile, se ne tollera un travestimento. Chi ha coscienza del proprio peccato, invece, prova dolore davanti all’amore del Crocefisso e da Lui mendica la liberazione dal male». Bernanos descrive la sofferenza dell’Innocente: «La Terra e l’Inferno non hanno potuto andare più in là di quella birbanteria». Nella morte di Cristo è vinta la nostra comune morte.
«L’ultima parola sulla vita dell’uomo allora non è più la morte», conclude Scola, «ma la gloria del Crocefisso risorto».
di Francesca Mortaro
sabato 17 marzo 2012
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