venerdì 9 settembre 2011
L'addio del patriarca Scola a Venezia
«Questo distacco ci rende più uniti»
Prima il saluto ai sacerdoti e ai vescovi del Nordest nella Basilica della Salute, poi l’ultimo giro nella gondola con 18 rematori lungo il Canal Grande per raccogliere tutto l’affetto dei veneziani, infine la commossa concelebrazione nella Basilica di San Marco. E qui la rassicurazione del cardinale Angelo Scola, arcivescovo eletto di Milano, per 10 anni patriarca della città della laguna. «L’esperienza del distacco, già orientato a un presente di risurrezione, rende ogni partenza provvidenziale – ha detto il porporato –. E la prospettiva della risurrezione ci fa capire che ogni prova è per il nostro bene e ciò che il nostro cuore trattiene ancora di terreno lo si deve orientare verso il cielo». Ieri sera il congedo da Venezia, dalla sua Chiesa; l’altra sera, alla Fenice, quello dalle istituzioni (presenti, fra gli altri, gli operai della Vinyls che l’hanno ringraziato).
Sobria e al tempo stesso solenne, la celebrazione di ieri sera, a cui non ha voluto mancare il patriarca emerito, Marco Cé. Scola guarda in volto la sua gente e insiste con le rassicurazioni: «Questa non è una partenza – rincuora – questo non è propriamente un distacco, non solo perché 10 anni di vita non sono uguale a zero; non solo per la bellezza struggente della nostra Venezia che oggi le Remiere mi hanno fatto vedere con la luce intensissima attraverso un lungo percorso acqueo, non solo per quanto abbiamo potuto realizzare con le nostre forze, non solo perché ci perdoniamo a vicenda ciò che eventualmente di male ci avessimo arrecato. No, nessuna partenza è una partenza, per chi è incamminato verso l’unica meta – Cristo nostra vita – ogni distacco, ci fa mettere a fuoco questa meta».
Con questa premessa, Scola passa ai ringraziamenti: dal cardinale Cé, «che mi è stato più che fratello in tutti questi anni», al vescovo Beniamino Pizziol – che da questa mattina assume il compito di amministratore apostolico fino all’arrivo del nuovo patriarca – dai sacerdoti ai religiosi ai fratelli delle altre confessioni, presenti pure loro in basilica, dai laici alla società civile e alla autorità, dai bambini agli anziani, agli ammalati, ai poveri e agli emarginati. Scola, poi, ha chiesto che eventuali offerte raccolte nell’occasione del suo saluto siano destinate ad un’opera che sappia educare al gratuito.
«Quanto è bella, la nostra Chiesa – ha esclamato Scola –: realmente un luogo di pluriformità nell’unità. Una Chiesa che ha un presbiterio solido, ricco, pluriforme, ma unito». Poi il cardinale ha chiesto scusa per eventuali peccati di omissione: «Domando scusa a coloro che volontariamente o involontariamente avessi potuto offendere in questo cammino. Credo che se ho peccato contro questa Chiesa, ho soprattutto peccato di omissione».
E dopo aver raccontato l’ultimo viaggio in gondola («dalle acque vedevo il prorompere della bellezza della nostra Venezia, assolutamente indicibile, indescrivibile e vedevo la gioia di tutti i visitatori sui vaporetti, stupiti, che salutavano entusiasti, oltre che dei veneziani che mi chiamavano per nome»), Scola ha riservato un messaggio rassicurante anche alla città. «Questo è un presente solido – ha detto –: questa Venezia larga, che non deve più aver bisogno di subordinate per descriversi, dobbiamo amarla tutta, dobbiamo amarci come una cosa sola nell’arcipelago della nostra varietà, perché è messaggio all’umanità».
Al termine della celebrazione un bambino, accompagnato dalla sua famiglia, ha donato a Scola, a nome di tutta la Chiesa diocesana, un anello episcopale che riproduce i simboli principali del patriarcato.
Francesco Dal Mas
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