mercoledì 2 giugno 2010

La tenerezza che trasforma il dolore in Resurrezione


Cosa desidera l’uomo più potentemente della verità? La verità però non è un’astrazione, un’idea: la verità è un Fatto che è entrato nella storia dell’uomo, nella vita di ognuno di noi, e che in questi giorni stiamo contemplando grazie alla potente bellezza della liturgia. Io contemplo ogni momento della mia giornata e ogni circostanza grazie alla liturgia: lo tocco con le mie mani, lo vedo con i miei occhi, lo ascolto con le mie orecchie. Questo oceano di dolore umano che mi circonda – uso l’immagine dell’oceano perché il cuore è un oceano, e il dolore è parte integrante di questi battiti di infinito che lo definiscono – è il volto doloroso e resuscitato di Cristo. La mia esperienza, come quella dei miei bambini violentati, colpiti dall’Aids, dei miei malati terminali, nelle misere case che circondano Asunción, sono l’evento quotidiano del Mistero pasquale.
Non esiste solo il dolore, così come non esiste solo la Resurrezione. Entrambi camminano fianco a fianco. Se così non fosse, il dolore sarebbe disperazione, e la Resurrezione sarebbe un sentimento, un’illusione, e non un’esperienza di vita nuova. Entrambi si compenetrano, ma a trionfare è sempre la Resurrezione, per chi riconosce in ogni circostanza la Presenza di Cristo risuscitato. E questa è l’esperienza che vivono i miei figli malati, per i quali ogni giorno rappresenta il rinnovarsi del Triduo pasquale, grazie alla tenerezza delle persone che dividono il dramma della sofferenza con loro. Una tenerezza come quella di Cristo con l’adultera, uno sguardo come quello di Cristo con Zaccheo e Matteo, una profondità di cura come quella di Gesù con la samaritana. Solo amando in questo modo si comprendono i miracoli accaduti in questi giorni in questa cittadella della carità che è San Rafael e che vorrei offrire come dono ai lettori, perché mi sono reso conto durante il mio viaggio in Europa che la gente è stanca di libri, di discorsi, di belle raccomandazioni, e cerca disperatamente fatti, testimonianze dell’amore di Cristo.

padretrento@rieder.net.

È passato un anno dall’inizio di questa meravigliosa esperienza, e mi sento profondamente riconoscente al Signore per avermi concesso l’opportunità di essere parte della squadra del personale della Casa San Joaquín fin dal suo inizio. Da quel momento tutte le cose che mi sono capitate sono state un’occasione per riconoscerLo, per sentire la Sua presenza. Dio ha voluto che tutto questo succedesse una Domenica delle Palme, quando padre Aldo era già vestito per andare alla Piazza dei Laureles e iniziare la Processione delle Palme. Ci siamo accorti che le vie del Signore sono sempre misteriose. In quell’occasione si è servito della polizia, che trascinava un vecchietto che era stato raccolto in un torrente. Padre Aldo appena lo ha visto ha chiesto a padre Paolo che si incaricasse della processione, e lui si sarebbe occupato del vecchietto. Don Ippolito Gauto è stato il nostro primo nonnino, molto tenero e dolce, che a causa dell’età e della mancanza di cure soffriva di incontinenza. Abbiamo risolto il problema mettendogli dei pannoloni per adulti, cosa a cui lui non era abituato e che ovviamente non gli piaceva, quindi se li toglieva e urinava abbondantemente nel letto o nella stanza. Assieme a Liduvina e Amelia ci siamo messi d’accordo per educarlo e siamo riusciti a portarlo in bagno, ogni ora, giorno e notte. All’inizio si fermava molto tempo, o non riuscivamo ad arrivare al bagno perché urinava durante il percorso. Ma pian piano, con molta pazienza, siamo riusciti a insegnargli che doveva andare in bagno a fare i suoi bisogni. Adesso non usa nemmeno i pannoloni, e va da solo al bagno.
Poi man mano sono arrivati altri anziani. Don Geronimo, che è già nella pace del Signore, don Trinidad, don Coco e moltissimi altri. Don Trinidad era un vecchietto abbandonato, che passava le giornate buttato nella piazza di calle España y Artigas. In una notte particolarmente fredda i tassisti della piazza hanno avvisato la signora Cristina, responsabile della Casita de Belen, e lei assieme a padre Elder è andata a prenderlo. Ricordo che don Trinidad masticava “naco” e lanciava sputi per tutta la stanza, sulla parete, persino sul televisore, e ci dava molto da fare. Oggi continua a masticare “naco”, però ha capito che non deve sputare da nessuna parte. E che dire di don Juan Cancio, un nonnino accolto che versava nel peggiore stato di abbandono, che defecava in qualsiasi angolo della casa e si sporcava tutto?
Come quelli già citati, tutti gli altri anziani hanno la loro storia, una storia fatta di solitudine, povertà e abbandono. Con la presenza costante di padre Aldo, non si è mai applicato nessun castigo o sanzione disciplinare a nessuno, perché soltanto l’abbraccio amoroso al prossimo produce il cambiamento della persona. È passato un anno da quando la Divina Provvidenza ha indicato a padre Aldo di riconoscere in Ippolito il volto di Cristo solo, abbandonato, privo delle cose più elementari necessarie per vivere, e sono passati dalla San Joaquín molti anziani. Che oggi con l’aiuto della Divina Provvidenza ormai hanno nella loro casa la loro propria Cappella, col Sacrario e il Santissimo esposto ventiquattro ore al giorno, così possono assistere alla Messa e comunicarsi.
Carlos Osorio

Mi aggrappo forte alla mano di Dio. Questa frase di Blanca era la fonte della sua allegria e del suo entusiasmo, pur in mezzo al dramma del cancro che la stava consumando prima di portarla al cielo. Se n’è andata il giorno dopo la festa dell’Annunciazione, alle cinque e mezza del mattino, a 34 anni, lasciando alla cura di colui che l’ha chiamata sei figli, due gemelli e quattro bambine. La più piccola, che ha compiuto due anni il giorno in cui è morta sua madre, le assomiglia moltissimo.
Blanca non voleva mai lasciare quella tenera mano divina. Il suo viso sorridente e placidamente addormentato rifletteva l’autenticità delle sue parole. Il Signore della Gloria ha preso la sua mano per abbracciarla e introdurla al banchetto eterno, dove il suo cuore può già cantare con gli angeli e i santi. «Guariscimi e rendimi la vita. Ecco, la mia amarezza si è trasformata in pace! Il vivente, il vivente ti rende grazie, come io faccio quest’oggi» (Is 38,16-17.19). È davvero ammirevole il cammino di fede che Blanca ha percorso dal momento in cui ha iniziato ad accettare la sua malattia. All’inizio, come lei stessa raccontava, era disperata, depressa: si era arresa, nella tristezza e nella totale oscurità del futuro che le si presentava come un gigante che stritolava tutti i suoi sogni, facendo a pezzi i suoi progetti e riempendo il suo cuore di amarezza. Ma Dio nella sua infinita misericordia ha permesso che tramite l’insistenza di uno dei suoi fratelli, che stava al suo fianco e la incitava a lottare per amore (per Dio, per se stessa, per i figli), lei iniziasse a lottare. Mentre meditavo sul suo cammino di fede, ho avuto conferma di quanto sia importante per il paziente vivere la sua malattia con tutta la verità, spesso dolorosa, che essa porta con sé. È importante che niente sia nascosto, così che camminando nella verità del reale il malato possa, come Blanca, guardare Cristo in volto e appoggiarsi completamente a Lui, per poi godere dei frutti di questo abbandono già in questa vita terrena, come regalo del suo amore.
Da quando è arrivata alla clinica, Blanca non smetteva di dire che era in Paradiso, che si sentiva in pace. La sua fede e la sua speranza crescevano giorno dopo giorno, e la aiutavano a sopportare con allegria le sofferenze: teneva la mano di Colui che rende più dolce l’amaro, e più leggero ciò che è insopportabilmente pesante. Ogni volta che si trovava davanti al Santissimo si sforzava di tirarsi su dal letto, lo accarezzava e poi chiudendo gli occhi, con le mani giunte, si fermava in preghiera, in dialogo con Lui. Era molto entusiasta e affettuosa, come ricordano le sue compagne di camera. Le piacevano gli incontri in cui poteva distrarsi e condividere i pensieri con gli altri, come la catechesi, la pizza insieme il sabato sera, la Messa domenicale, il Rosario in gruppo e tanti altri momenti che nascono per trovare sollievo, o – come diceva lei – per «non pensare tanto al dolore».
Ogni volta che penso a lei, che aveva la mia stessa età, e sei figli, il cuore mi si riempie di amore. Mi spinge a darmi agli altri così come faceva lei. Il giorno dopo la commemorazione del “sì” di Maria all’Annunciazione dell’angelo, ho incontrato la bellezza del “sì” di Blanca. Un “sì” che la abbelliva dentro e la illuminava fuori. Che le permetteva di riposare in dolci prati e che risvegliava in me un semplice desiderio: “Anch’io vorrei morire così”. Che il suo “sì” alla volontà di Dio continui ad aprire i nostri cuori alla Luce che non cessa mai di brillare.
Sorella Sonia

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